Libertà di espressione, se ai progressisti serve un ripasso dell’abc
Polemiche sullo storico Canfora, che pretenderebbe fosse critica politica definire la Meloni “neonazista nell’anima”: e neanche una parola sul sindaco belga che blocca un convegno degli euro-conservatori
La galassia progressista internazionale ha urgente bisogno (di nuovo) di un ripasso dell’abc della libertà di espressione. I cui limiti, proverbialmente, sono dati soltanto dal rispetto dei diritti altrui, e non certo dall’opinione sulle loro opinioni. Fondamentali che i fondamentalisti del pensiero unico non sembrano esattamente avere ben chiari, come dimostrano due casi recenti e antitetici.
Libertà di espressione in pericolo
Il primo è la vicenda processuale che oppone il Premier Giorgia Meloni allo storico e filologo Luciano Canfora. Rinviato a giudizio a Bari, come riferisce Sky TG24, per diffamazione aggravata, perché nell’aprile 2022 definì il leader di FdI, allora parlamentare dell’opposizione, «neonazista nell’anima».
Come riporta Il Sole 24 Ore, il suo difensore ne ha (prevedibilmente) chiesto l’assoluzione, parlando di «processo per un giudizio politico». Diversa la versione dell’accusa citata dall’ANSA, secondo cui l’intellettuale ha «leso l’onore, il decoro e la reputazione» dell’inquilino di Palazzo Chigi. La quale ha chiesto all’accademico anche un risarcimento simbolico di 20.000 euro per la «ingiusta lesione» della «propria dignità» inviolabile.
A dispetto delle polemiche innescate tra gli altri da CGIL e ANPI (benché non si capisca a che titolo), i magistrati hanno evidentemente concordato. Riconoscendo, come d’altronde dovrebbe suggerire il semplice buonsenso, che c’è un abisso tra il sacrosanto diritto di critica politica e un preteso, ma inesistente, “diritto all’insulto”.
Dall’Italia al Belgio
Tutt’altra storia è quanto è avvenuto a Saint-Josse-ten-Noode, comune della regione di Bruxelles scelto dagli euro-conservatori, come rileva il Corsera, per ospitare la conferenza “National Conservatism”. Tra gli speaker attesi, Viktor Orbán, Primo Ministro ungherese, Éric Zemmour, leader del partito della destra francese Reconquête, e il Cardinal Gerhard Müller, prefetto emerito dell’ex Sant’Uffizio.
Sennonché, scrive Rai News, mentre stava già parlando Nigel Farage, “padre” della Brexit, la polizia belga ha bloccato la kermesse comunicando agli organizzatori la revoca dei permessi. Il pretesto ufficiale, aggiunge Il Giornale, era il rischio di disordini legati all’annunciata manifestazione di protesta di sedicenti gruppi antifascisti. Tuttavia, il borgomastro della cittadina Emir Kir si è fatto sfuggire su X la vera ragione: «A Etterbeek, Bruxelles e Saint-Josse, l’estrema destra non è la benvenuta».
Grattando la sicurezza appariva dunque la censura politica, come d’altronde indicava lo stesso atto chiusurista che faceva riferimento alla «visione eticamente conservatrice» e «all’atteggiamento “euroscettico”» degli organizzatori. E infatti il Premier belga Alexander De Croo, sottolinea LifeSiteNews, ha subito condannato la sospensione forzata del meeting, bollandola come «inaccettabile» e «incostituzionale».
Una presa di posizione condivisa, ancor più significativamente, dal Consiglio di Stato del Belgio, la più alta autorità giudiziaria del Paese. Il quale, con una decisione d’urgenza, ha annullato l’ordine esecutivo del Sindaco e stabilito che NatCon potesse continuare, come poi è effettivamente avvenuto.
L’abc della libertà di espressione
Naturalmente, dai paladini della libertà di espressione a targhe alterne non è arrivata neanche mezza parola su questo increscioso tentativo di bavaglio. Ecco perché giova ricordare la lezione di George Orwell: «Se la libertà ha qualche significato, significa aver diritto di dire ciò che la gente non vuole sentire».
Perché il free speech non si concede a colpi di mainstream: e la sola eccezione – lo ribadiamo – sono le offese. Capita ora la differenza?