Libri: “Il cibo a pezzi” e il rischio di un’alimentazione senza identità
Nel libro, si sostiene che l’Europa, con la sua tradizione agroalimentare, abbia il dovere di difendere il proprio modello produttivo e non cedere alle multinazionali
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Di fronte a un pianeta sempre più popoloso e a una produzione alimentare in continua trasformazione, la vera battaglia del futuro non si combatterà solo nei mercati finanziari o nei laboratori biotecnologici, ma direttamente nei nostri piatti.
È questa la tesi centrale di “Il cibo a pezzi”, il nuovo libro di Vincenzo Gesmundo, segretario generale di Coldiretti, scritto insieme a Roberto Weber e Felice Adinolfi. Un volume che non si limita a descrivere le nuove tecnologie applicate all’alimentazione, ma si spinge a interrogarsi sulla loro etica, sulla loro sostenibilità e sul loro impatto sociale ed economico.
Il libro sarà presentato ufficialmente giovedì 27 febbraio alle ore 16 presso la Camera di Commercio di Roma, nella Sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano. All’evento interverranno gli autori Vincenzo Gesmundo, Roberto Weber e Felice Adinolfi, mentre a moderare l’incontro sarà il giornalista Francesco Giorgino.
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Dalla carne coltivata agli alimenti ultraprocessati: il nuovo volto del cibo
Negli ultimi anni, il concetto stesso di cibo ha subito una trasformazione senza precedenti. Se per secoli il nutrimento è stato indissolubilmente legato alla terra, oggi lo scenario sta cambiando rapidamente: hamburger senza carne, latte senza mucche, uova senza galline. Il boom degli alimenti biotecnologici – dalla carne coltivata in laboratorio ai prodotti sintetici derivati da fermentazioni microbiche – è il simbolo di un’industria alimentare che si sta ripensando in chiave iper-tecnologica.
I sostenitori di questa rivoluzione vedono nelle proteine alternative la risposta a problemi urgenti: la crisi climatica, l’eccessivo sfruttamento del suolo, la deforestazione e le emissioni di gas serra. Secondo questa prospettiva, produrre carne in laboratorio o derivare proteine direttamente dai funghi e dai batteri significherebbe ridurre drasticamente l’impatto ambientale dell’allevamento intensivo.
Ma a quale prezzo? Qui emerge il dilemma etico ed economico sollevato da Gesmundo e dai suoi coautori. Se la produzione del cibo diventa un’operazione di laboratorio controllata da pochi giganti del tech-food, quali saranno le conseguenze per il mondo agricolo, per la qualità degli alimenti e per la nostra stessa sovranità alimentare? La questione non è solo gastronomica, ma profondamente politica.
Il rischio di un’alimentazione senza identità
Nel libro, l’analisi di Gesmundo si spinge oltre, evidenziando il pericolo di una progressiva omologazione del cibo. La globalizzazione ci ha già abituati a prodotti standardizzati, distribuiti in ogni angolo del mondo da una manciata di multinazionali; ma se il futuro sarà dominato da alimenti progettati e sintetizzati in laboratorio, cosa resterà delle nostre tradizioni gastronomiche, della cultura alimentare, delle tipicità locali?
L’agricoltura non è solo produzione di cibo, ma anche custodia della biodiversità, tutela del paesaggio, mantenimento di equilibri ecologici millenari. Una bistecca coltivata in vitro potrà forse ridurre le emissioni di CO₂, ma potrà sostituire il valore sociale ed economico di un territorio fatto di piccoli produttori, di comunità rurali e di filiere corte?
Questa è la domanda che il libro pone con forza: il progresso deve per forza significare sostituzione della natura con processi artificiali? O possiamo immaginare una strada diversa, che integri innovazione e tutela della terra?
L’agricoltura del futuro tra sostenibilità e nuove tecnologie
Una terza via esiste, e passa attraverso un uso intelligente e responsabile delle tecnologie. L’innovazione non deve necessariamente significare la scomparsa dell’agricoltura tradizionale, ma può diventare uno strumento per migliorarla. Agricoltura di precisione, blockchain per la tracciabilità, biofertilizzanti, pratiche rigenerative: sono queste le tecnologie che potrebbero garantire una produzione più sostenibile senza sacrificare la qualità e l’identità del cibo.
Nel libro, si sottolinea come l’Europa, con la sua tradizione agroalimentare millenaria, abbia il dovere di difendere il proprio modello produttivo e non cedere alla pressione di multinazionali che vedono nel cibo solo un prodotto di sintesi.
Uno dei temi più dibattuti è quello della sovranità alimentare: dipendere da poche aziende globali per la produzione di proteine artificiali significa perdere il controllo sulle nostre risorse. Chi possiede il cibo, possiede il potere, e il rischio è che le future generazioni non abbiano più la libertà di scegliere cosa mangiare, perché il cibo sarà deciso da pochi player economici.
Il consumatore come protagonista del futuro del cibo
Ma chi può determinare la direzione del futuro alimentare? La risposta è chiara: noi, i consumatori. Ogni volta che scegliamo cosa acquistare, influenziamo l’intero sistema produttivo. Privilegiare cibi freschi, locali, non ultraprocessati significa sostenere un modello più sano e sostenibile.
L’industria del food-tech è in piena espansione e l’innovazione è inevitabile. Ma possiamo e dobbiamo pretendere che le nuove tecnologie non cancellino la storia, la cultura e la biodiversità alimentare.
Come sottolinea Massimo Cacciari nell’ultima parte del libro, il nutrimento non è solo un atto fisiologico, ma un’esperienza sacrale e identitaria. Il cibo è storia, è tradizione, è un racconto che attraversa le generazioni.
Il futuro dell’alimentazione è ancora tutto da scrivere. Ma se vogliamo che il cibo rimanga cibo vero, e non solo un insieme di nutrienti ricostruiti in laboratorio, la scelta deve partire da noi.