L’insoddisfazione? Non è solo nella droga e depressione, riflettiamoci
L’insoddisfazione non è solo parte dei disturbi depressivi, ma un malessere diffuso e difficilmente identificabile, che causa comportamenti ambigui
Oggi vorrei parlare dell’insoddisfazione. Questo stato psicologico, con cui noi psicoterapeuti e neuropsichiatri abbiamo spesso a che fare, credo abbia due macro motivi per presentarsi: il 2020 ha portato nel mondo interno un grosso aumento della crudeltà, verso i singoli, i popoli, le categorie, le etnie, la natura. La tecnologia e le scoperte scientifiche avrebbero potuto ridurre le sofferenze in realtà hanno contribuito ad aumentarle. La sofferenza che sentiamo intorno a noi, da quella dell’orso polare a quella dei bambini africani, siriani, delle api, degli adolescenti, è in crescita.
Si sono rinnovate vecchie tirannie e imposte di nuove. Una volta un tiranno si riconosceva facilmente, oggi lo riconosciamo con maggiori diffcoltà. Le nuve tirannie sono più impalpabili, meno identificabili, sono legate ai social, al web, alla gestione della distibuzione delle opportunità e delle ricchezze. Potentati giganteschi che si confondono nel marasma di informazioni e spot pubblicitari. Essi sanno tutto di noi anche se non li vediamo. Ci condizionano ma non ne conosciamo i volti. Questo ci porta incertezza e senso di impotenza.
La fonte dell’insoddisfazione è incerta e violentemente pervasiva. Una specie di muro di gomma invisibile che non possiamo combattere perché non lo identifichiamo. Non risciamo a percepire in noi stessi il motivo del malessere e purtroppo neppure le mete e gli obiettivi per superarlo.
L’insoddifazione si esprime in modi che ci sembrano scontati come la tossico dipendenza o l’aumento dell’uso di psicofarmaci come depressivi o ansiolitici, violenza sulle donne, disabili e animali.
L’insoddisfazione e le sue manifestazioni
Ma ci sono anche modi più subdoli come l’acquisto continuo, diete feroci, imbottiture di silicone, torture in palestra, sforzi di carriera, rapporti sentimentali usa e getta, autolesionismo in famiglia o sul lavoro. È un masochismo dai contorni labili, mascherato da cura di se. Se ci pensiamo forse ciascuno di noi ne soffre.
Ci sono poi le insoddisfazioni collettive: ricordo che prima della pandemia avremmo benedetto un’ora sul divano e dopo una settimana ci è diventata una condizione insopportabile. Da “casa dolce casa” a “prigione di cristallo” è stato davvero un attimo. Adesso che possiamo uscire di nuovo soffriremo di agorafobia?
Riflettere su questa profonda e ambigua insoddisfazione individuale e collettiva è già un inizio per un nuovo benessere che possiamo davvero coltivare.