L’Italia è razzista: una serie di studi dimostra l’arretratezza culturale degli italiani
L’Italia è un paese razzista. Che poi non lo siano tutti gli italiani è chiaro ma che questo sia un fenomeno presente nella nostra società è incontestabile
Una serie di studi con dati, prove circostanziate, dimostra il livello di arretratezza culturale di buona parte degli Italiani, caduti nella propaganda anti immigrazione, come emergenza e pericolo. La realtà invece è un’altra e il rischio è di perdere opportunità di sviluppo, per via di chiusure mentali e sociali.
Paola Egonu, la 24enne pallavolista azzurra di origini nigeriane, una delle giocatrici più forti al mondo, spina dorsale della Nazionale Italiana di Volley, con all’attivo tre Champions League conquistate con altrettante maglie, l’ultima quella del VakifBank di Istanbul, torna a Milano, dopo una stagione vincente in Turchia, per giocare nelle file della Vero Volley, squadra meneghina con grandi aspirazioni.
In Italia c’è razzismo? Si
Paola è un bel personaggio, una ragazza semplice, una campionessa, una persona integerrima. Fece discutere e non poco la sua affermazione al Festival di Sanremo di quest’anno, dove fu conduttrice per una sera, accanto ad Amadeus, che “l’Italia è un paese razzista, ma non tutti sono razzisti o tutti cattivi, ma se mi chiedete se c’è razzismo la risposta è sì“. Era la Conferenza Stampa del festival il 9 febbraio. Parte degli Italiani si sentirono offesi, come sempre succede, quando vengono accusati di essere razzisti.
Adesso che Paola torna, ancora da Campione, ancora da italiana che sa farsi valere nel mondo dello sport, c’è chi si ricorda di quell’accusa e tenta di macchiare la sua dignità con il fatto che non le faccia schifo tornare per guadagnare molti soldi. Lei è italiana e che sia felice di tornare nel suo Paese è sacrosanto. Che c’entrano i guadagni di una campionessa con la sua esperienza e la sua opinione su un fatto incontestabile? L’Italia è un paese razzista. Che poi non lo siano tutti gli Italiani mi pare scontato ma che questo sia un fenomeno presente nella nostra società è ugualmente incontestabile.
Il razzismo è un filo nero che lega la storia italiana dal fascismo a oggi
C’è un dato storico nel nostro Paese. Le Leggi razziali del ’38 volute dal Fascismo e la visione fascista che è sempre stata profondamente razzista verso ebrei, neri, zingari e stranieri in senso lato. L’Italia ha visto negli anni ’60 il fenomeno del razzismo interno verso i meridionali, un concetto dominante che poi ha trovato nella nascita della Lega Nord, che voleva la separazione dal Sud, il suo sfogo politico. Dai cartelli “Non si accettano meridionali” sulle case in affitto nella Torino del dopoguerra, agli slogan contro i napoletani e i meridionali in genere, dei seguaci di Bossi, Borghezio e Salvini poi, c’è una continuità di pensiero innegabile. Poi Salvini si è rimangiato lo slogan Prima il Nord sostituendolo con Prima gli Italiani e spostando il razzismo dai meridionali agli immigrati. Ma il meccanismo è lo stesso.
Negli stadi si rinnovano offese razziste contro neri e slavi
Chi meglio di una donna di colore, giovane e omosessuale può sapere se nel proprio Paese viene trattata con rispetto o se ha vissuto episodi di razzismo? Più volte Paola ha subito attacchi di bullismo, è stata vittima di atti razzisti fin dalla sua infanzia e anche come campionessa e personaggio pubblico sempre in vista.
“Egonu? Grande sportiva, grande pallavolista, ma spero non venga a fare una tirata al Festival sull’Italia Paese razzista, perché gli Italiani possono avere tanti difetti ma non sono razzisti”, aveva detto il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini a suo tempo, prevedendo le domande dei giornalisti. Altri personaggi dello sport e dello spettacolo, di colore come Paola, prima di lei, hanno subito il razzismo di parte degli Italiani. Liliam Thuram, ex difensore della Juventus, del Parma e della Francia ha dichiarato il 31 marzo scorso che “L’Italia è molto più razzista di prima, quando non c’era questo governo” Che ci sia razzismo negli stadi, non solo d’Italia, è cosa nota. Ne hanno fatto le spese Romelu Lukaku attaccante dell’Inter e nazionale belga, Mario Balotelli ex Inter, Koulibaly ex Napoli, lo stesso capocannoniere e vincitore dello scudetto di quest’anno Osimhen, con il suo compagno Anguissa.
Il portiere Maignan del Milan e tanti altri. I giocatori africani e sudamericani non sono le uniche vittime del tifo xenofobo. La stessa sorte è toccata a ex giocatori come Mihajlovic e Stankovic, in quanto serbi e associati al mondo dei rom. È successo anche a Ibrahimovic, benché giocatore con passaporto svedese ma di chiare origini bosniache e più recentemente è toccato a Vlahovic, la punta della Juve. Il razzismo non è solo contro i neri. Il razzista pensa di essere superiore soprattutto alle etnie non bianche e cristiane: agli ebrei, agli islamici, ai rom, sovente irrisi, in tono dispregiativo, come “zingari”. Le offese non sono l’unica espressione dei razzisti, quando agiscono vigliaccamente distanti, dagli spalti di una tribuna.
Quello che accade negli stadi succede anche per strada
Ottobre, Roma, quartiere San Lorenzo. Jamilton, 26 anni, ha origini brasiliane ma è romano acquisito. Verso le 2 del mattino esce dalla discoteca e saluta. Arrivato alla macchina sente una voce:”Guarda se sto negro de merda m’ha rubato er cellulare, mo lo pisto”. Poi un branco di quattro uomini lo circondano, gli spaccano una bottiglia in testa e lo massacrano gridandogli: “Brutto negro”. Un caso?
L’UNAR, Unione Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, che opera agli ordini della Presidenza del Consiglio, rileva che da 913 episodi di discriminazione razziale nel 2020, si è passati a 1.379 con un aumento delle aggressioni fisiche. Dalle offese siamo arrivati alle aggressioni di gruppo (vigliacchi!) contro persone singole. Ora sono l’82% contro il 65% del 2020.
La discriminazione non è più solo sui social e nelle vicende familiari ma arriva nelle strade, nei luoghi di vita pubblici. Una guerra strisciante con “degli aggressori e un aggredito”, tanto per usare una formula cara al main stream, che riguarda l’etnia ma anche l’orientamento sessuale o religioso, il far parte di una minoranza.
Troppe aggressioni: quasi due al giorno!
La piramide dell’odio tracciata dall’UNAR mette al primo posto le persone aggredite per motivi etnico-razziali: il 2021 ha registrato 709 casi rispetto ai 545 del 2020. Di queste 499 vittime sono straniere. Seguono poi le persone aggredite per il “colore della pelle” (137), a cui vengono rivolti insulti che ricalcano un copione rigido e caro al vocabolario razzista: negro di merda, marocchino di merda, clandestino, vattene, ritorna da dove sei venuto. Parole che manifestano un sentimento di odio e un pregiudizio di inferiorità basato sulla presunta “razza”, una categoria che sappiamo scientificamente inesistente. Le culture sono diverse, la razza è unica. La razza umana.
Sono invece 241 i casi denunciati di discriminazioni per “Religione o convinzioni personali”, rispetto ai 183 del 2020. In Italia è l’antisemitismo a crescere a dismisura. Si contano 170 casi rispetto agli 89 del 2020. Una recrudescenza del pregiudizio antisemita, oggi come in passato, che si esprime in forme cospiratorie, additando nelle persone di religione ebraica qualsiasi colpa. Già il rapporto della Wzo, l’Organizzazione sionista mondiale, e dell’Agenzia ebraica per Israele, aveva sottolineato come il 2021 fosse stato l’anno più antisemita dell’ultimo decennio.
Un’aggressione contro omosessuali e trans ogni 2 giorni
Insulti a Liliana Segre, diffusione di teorie complottiste sulla pandemia e sui vaccini, ritenuti inefficaci. Manifestazioni no vax, aggressioni e atti di bullismo a varie singole persone per via della origine culturale o della fede religiosa, fake news, giudizi stereotipati di genere e pregiudizi, tutti atti che stanno crescendo di numero. C’è un attacco contro omosessuali e trans ogni due giorni, secondo le rilevazioni UNAR. Da 93 episodi si è passati a 238 nel 2021. A questi episodi si aggiungono anche gli aumenti degli atti contro i disabili da 49 a 141. A tutto questo si aggiunga, secondo i dirigenti dell’UNAR che la gente ha poca fiducia nelle istituzioni o non sa della esistenza di un organismo apposito che contrasta il razzismo. Teme che denunciare sia addirittura controproducente.
La campagna d’odio poteva sfociare in qualcosa di peggio
Un caso gravissimo di aggressione razzista, al limite del terrorismo, si è verificato a Macerata il 3 febbraio 2018. Un candidato alle comunali con la Lega Nord ma con un presente legato al nazifascismo, Luca Traini, a seguito di una campagna elettorale che vedeva negli immigrati un problema di sicurezza nazionale, sparò addosso a un gruppo di cittadini di origine africana, ferendone gravemente sei. Traini assunse il ruolo di vendicatore per l’assassinio di Pamela Mastropietro, 18 anni, da parte di un immigrato nigeriano.
Su Il manifesto del 1° giugno di quest’anno si cita in proposito un libro curato da Marcello Maneri e Fabio Quassoli dal titolo “Un attentato quasi terroristico”, dove si cerca di analizzare la specificità di un fenomeno che da razzista si evolve in terrorismo. Un pericolo sempre presente se non si arginano queste pulsioni. La paura degli immigrati era alla base di quel gesto. Gli slogan propagandistici anti immigrati vengono raccolti sui social network, dove trovano un terreno disponibile ad accettare queste opinioni. Si rafforzano, invece di scardinarli, pregiudizi, luoghi comuni e odi preconcetti e la politica ne è spesso la maggior responsabile.
Facile definire pazzo chi poi perde il controllo e spara
È più facile e più conveniente per certa politica associare l’immigrazione alla criminalità, anche se non esistono dati a suffragare questa ipotesi. Basta esaltare certe notizie e nascondere o sottostimarne altre. È quello che è successo con i social network e con la stampa e le tv in cerca di facili consensi, audience e lettori. Dopo il fatto criminoso il “povero” Traini viene categorizzato come folle e il suo gesto depoliticizzato, decontestualizzato. Un fatto sporadico di un pazzo. È il meccanismo classico che deresponsabilizza chi istiga all’odio razzista.
In 18 anni 7.426 episodi di ordinario razzismo
Che l’Italia non sia un Paese accogliente lo si deduce da un’altra indagine. Il libro bianco dell’associazione Lunaria, che raccoglie le segnalazioni dal 1° gennaio 2008 e il 31 marzo 2020. Si tratta di 5.340 casi di violenze verbali, 901 aggressioni fisiche contro la persona, 177 danneggiamenti alla proprietà, 1.008 casi di discriminazione. In 18 anni ci sono stati 7.426 episodi di ordinario razzismo. I dati sono stati pubblicati il 15 luglio 2020 su La Repubblica. Nell’indagine si prende in considerazione tutto: siti, blog, i pareri sui social network. Le dichiarazioni saltuarie, i manifesti, gli striscioni allo stadio, tutto. Se ne avete voglia potete andare a verificare di persona, è tutto documentato. Documentato. Non sono opinioni, sono fatti compiuti da nostri concittadini.
“C’è un clima tossico – ha affermato Riccardo Noury portavoce di Amnesty International Italia – ed abbiamo una enorme preoccupazione. Si è detto che da questa esperienza devastante della pandemia usciremo migliori: io ci ho creduto per qualche settimana ma vedo purtroppo che c’è invece la tendenza ad essere peggiori, c’è la caccia al migrante untore: dobbiamo stare attenti a che non riprenda la caccia alle streghe“.
Quanto possa fare la lodevole Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio non lo sappiamo. Certo è una battaglia necessaria ma che non si combatte solo con la repressione, i daspo, i fermi e gli arresti. Occorre creare un clima culturale sano e tollerante e la condizione socio politica ed economica mi pare non lo favorisca per niente.
Non mi voglio far visitare da un medico negro
“Non voglio farmi visitare da un medico negro.” “Fermo, mi attacchi le malattie, preferisco due costole rotte anziché essere curato da un negro come te”. Su L’Avvenire del 24, novembre 2022 ho trovato questi insulti, con cui è stato attaccato Enock Rodrigue Emvolo, originario del Camerun, appena nominato titolare di un ambulatorio a Fagnano Olona, Varese. Le offese dai suoi pazienti, il dottor Emvolo, 48 anni, laureato alla Sapienza di Roma, le ha ricevute per iscritto, e a raffica, sui social: “Torna a pascolare le pecore”, è una delle più leggere. “Sono venuto qui per curare – è stata la sua risposta – ma se la situazione è così grave andrò altrove”. Poi, però, a seguito dell’ondata di solidarietà, ha deciso di rimanere al suo posto di medico di base. Non tutti reagiscono alla stesso modo. E cresce il numero dei sanitari che, mortificati dalle offese subite, se ne vanno dall’Italia.
Professionisti stranieri abbandonano l’Italia: è un brutto segnale!
“Negli ultimi cinque anni, più di 300 professionisti della salute stranieri hanno lasciato l’Italia per colpa dei pregiudizi sul colore della pelle, l’abito e l’origine – denuncia Foad Aodi, presidente dell’Amsi (Associazione medici stranieri in Italia) – e nonostante la grave mancanza di personale sanitario esistente nel Paese”. In effetti, in questo campo, le discriminazioni razziali negli ultimi tempi sembrano molto più frequenti.
E non finisce qui. Aodi riferisce di dottoresse dello Yemen e di otto ginecologhe somale che se ne sono andate a lavorare in Francia, Olanda e Belgio perché discriminate in Italia a causa del velo o della pelle scura. “Ma episodi hanno riguardato anche medici e infermieri africani, musulmani, ucraini, russi, albanesi e rumeni – aggiunge il presidente Amsi – per la lingua o la religione e ci sono state persino molestie sessuali”.
C’è da vergognarsi e non poco, di connazionali come questi. Gli ignoranti, i selvaggi, i pericolosi, quelli che frenano la crescita del Paese, sono loro.