Lo evocano come una soluzione: splendori e miserie del “senso di appartenenza”
Impietosa analisi del familismo e dei suoi nessi con la mentalità mafiosa…
La nostra è una riflessione a puntate e a piccole dosi su familismo, campanilismo, regionalismo, passioni sportive, sette, partiti e movimenti, nazionalismo, etnocentrismo, razzismo. Utili, forse, a capire meglio chi siamo; con particolare riferimento all'Italia e agli Italiani.
Il Senso di appartenenza, prima parte: "Li mortacci tua". Analisi del familismo e dei suoi nessi con la mentalità mafiosa
L'aggressiva e macabra locuzione ("Li mortacci tua"), priva di verbi, non per questo rimane oscura nel suo significato e nel suo intento provocatorio. Ciò che è sottinteso è una maledizione indiscriminata, un simbolico assassinio replicato post mortem dei defunti dell'interlocutore, sprezzantemente degradati a soggetti loschi o repulsivi, indegni d'essere lasciati in pace perfino dopo la loro dipartita. A seconda del tono utilizzato e dei buoni o cattivi rapporti interpersonali tra oltraggiante e oltraggiato, l'effetto psicologico può andare da un sorriso indulgente verso una scherzosa espressione paradossale ad una reazione violenta innescata dal crudo senso letterale della frase. Ma ciò che implicitamente è veicolato da quelle tre parole, se intese in senso non scherzoso, è anche e soprattutto la rivendicata dignità della famiglia dell'offensore di contro all'indegnità dell'offeso e del suo intero mondo familiare. E' del resto ben noto come l'ingiuria all'ambito di provenienza o di appartenenza di una persona sia recepito in termini assai più gravi rispetto all'ingiuria rivolta alla singola persona in quanto tale. Se mi si apostrofa come “imbecille” posso rimanere indifferente, addirittura riderci sopra oppure al limite irritarmi fino a rischiare uno scontro fisico, a seconda dei casi: ma se mi sento dire “imbecille come tuo padre e tuo nonno” vado sempre e soltanto su tutte le furie; dalla rabbia “non ci vedo più”.
E' normale che un sano senso di appartenenza alla propria famiglia rappresenti un valore soggettivamente molto sentito e di ampio significato identitario, tanto più plausibile quanto più sorretto da consolidata armonia di affetti e da comportamenti intrafamiliari generosamente solidaristici. E il valore soggettivamente sentito, se supportato da condizioni di fatto plausibili e costruttive, diviene anche oggettivamente un valore sociale, incontestabilmente favorevole alla civile convivenza. Una positiva e serena coesione familiare è in effetti un efficace antidoto contro le devianze e il malessere psicologico, oltre che un fattore di positiva apertura e comprensione empatica verso le altre famiglie e -prospetticamente- verso l'intera collettività.
Altra cosa è il “familismo”, ovvero il privilegiamento acritico e pregiudiziale degli interessi e degli stili di vita della propria famiglia, in ostile contrapposizione ad altre famiglie e alle entità sociali difformi dagli schemi mentali e dai desiderata del familista. La famiglia che si pone cinicamente, egoisticamente, o rancorosamente, invidiosamente, vendicativamente in perenne conflitto con le altre, viste solo come moleste concorrenti nella ricerca del benessere, del lavoro, dell'inserimento sociale, dell'esibizione di consumi appetibili, costituisce un temibile se non dirompente fattore antisociale. In termini estremi ma comunque eloquentemente rappresentativi, la famiglia mafiosa è quella che spinge il familismo sino al conflitto fisico -anche armato- con famiglie rivali e con qualsiasi pubblica entità o istituzione che a torto o a ragione venga ritenuta ostacolo all'affermazione del prestigio sociale, del potere di fatto e degli interessi economici della famiglia cui si appartiene. Il deprecabile e forse, ahimè, inestirpabile predominio economico delle organizzazioni mafiose, da un lato mostra la loro proteiforme capacità di adattamento alle risorse della modernità; dall'altro, continua a mostrare il contesto storico-ambientale d'origine.
Il familismo mafioso reca incancellabili tracce del suo sorgere in territori e momenti storici contraddistinti da penuria produttiva in rapporto ad una popolazione in crescita, da crisi irreversibile degli antichi poteri incidenti capillarmente sul tessuto sociale (indiscussa autorevolezza del clero e della nobiltà feudale e post-feudale) e da eccessiva distanza del potere accentratore dello Stato moderno (in Italia, quello post-risorgimentale) rispetto ai problemi economici e sociali delle popolazioni presenti in territori economicamente meno efficienti, meno fortunati, più periferici. Penuria di risorse e disagio sociale generano per forza di cose fenomeni di feroce competitività tra famiglie o alleanze di famiglie, sino al prevalere dei gruppi più forti, i quali costituiranno centri di contro-potere destinati a perpetuarsi nel tempo e ad espandersi nello spazio, formando sempre più ampie alleanze che di fatto detteranno legge, sia per quanto riguarda certe modalità arcaiche di presunta giustizia (ad esempio, costringendo il seduttore riluttante a sposare la ragazza sedotta o eliminando con atroci esecuzioni esemplari le mogli infedeli degli affiliati), sia per ciò che riguarda il condizionamento corruttivo dei pubblici poteri, l'assegnazione degli appalti, la praticabilità di attività economiche e finanziarie legali e illegali: queste ultime, alla fine, largamente predominanti e fonti di devastanti conseguenze sull'intera collettività.
Tra grandi organizzazioni mafiose e famiglie disfunzionali c'è dunque un nesso definibile come rapporto tra macrocosmo e microcosmo. Le radici della grande devianza attecchiscono in modo significativo anche e soprattutto nel malfunzionamento delle famiglie nucleari.
Di contro al lavaggio del cervello cui sin da piccoli sono sottoposti i rampolli delle famiglie mafiose, occorre impegnarsi (da parte della famiglia e della scuola) nell'azione educativa, promuovendo una convinta adesione ai valori prosociali ed una sana visione eticamente corretta delle relazioni intercorrenti tra famiglia e società: compito non impossibile ma estremamente arduo, in questa convulsa fase storica nella quale l'unica cosa che conti, tale da distogliere da doverose alternative, sembra essere la perpetuazione meccanica del ciclo iperproduzione-iperconsumo. Rischioso puntare sulla decrescita. Opportuno invece, e urgente, utilizzare ogni minimo spazio e tempo praticabili per una corretta educazione estremamente attenta alla dimensione delle relazioni interpersonali e alle attitudini civiche e morali del discente.