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Lo spettacolo e l’amore per la sua Roma: il ricordo di Antonello Fassari, scomparso nei giorni scorsi

Domani alle 11 presso la Chiesa degli Artisti di Piazza del Popolo si terranno i funerali dell’indimenticabile Cesare de “I Cesaroni”

Antonello Fassari in una scena de I Cesaroni

Antonello Fassari in una scena de I Cesaroni

Antonello Fassari non è mai stato semplicemente un attore. Era uno di quei volti che, quando apparivano in scena, sembravano già raccontare qualcosa, prima ancora di pronunciare una battuta. È morto sabato 5 aprile all’età di 72 anni, lasciando un vuoto profondo nel mondo dello spettacolo italiano, e in chi lo ha conosciuto sul palco, dietro le quinte o attraverso uno schermo.

Antonello Fassari, una vita tra cinema e tv

Fassari era una figura che univa mondi apparentemente distanti: il teatro colto e la comicità popolare, la romanità verace e l’intelligenza critica, il cinema d’autore e la televisione generalista. Aveva una naturalezza rara, quella che nasce non solo dal talento, ma da una profonda consapevolezza del proprio mestiere e del proprio tempo.

Classe 1952, romano fin nel midollo, era figlio di Osvaldo Fassari, noto avvocato penalista, e Adriana Gambardella. Il suo percorso non fu improvvisato: si diplomò all’Accademia nazionale d’arte drammatica “Silvio d’Amico” nel 1975, una delle fucine più prestigiose del teatro italiano. Per Fassari, il palcoscenico fu prima di tutto disciplina, passione, fatica. Il suo era un teatro fisico, vissuto con il corpo prima ancora che con la voce.

Negli anni Ottanta e Novanta, pur restando attivo in teatro, iniziò a esplorare altri linguaggi: la televisione e il cinema. La sua cifra rimaneva inconfondibile: ironia tagliente, sguardo malinconico, voce roca che sapeva essere ruvida o dolce, a seconda del contesto.

Fassari, con I Cesaroni è entrato nel cuore delle famiglie italiane

Il grande pubblico imparò ad amarlo grazie ad “Avanzi”, il programma satirico cult firmato da Serena Dandini nei primi anni ’90. Fassari vi interpretava il “compagno Antonio”, con l’eschimo addosso e la borsa di Tolfa, un personaggio carico di nostalgia, contraddizioni e umanità. Era una comicità che non si accontentava della risata facile: sapeva essere pungente, politica, perfino filosofica.

Nello stesso periodo partecipò anche a “Tunnel”, un altro laboratorio creativo per la nuova comicità italiana. Fassari, con il suo stile asciutto e lo humour intriso di romanità, si muoveva con agio tra sketch surreali e satira sociale.

Dal 2006 al 2014, entrò definitivamente nell’immaginario collettivo grazie a “I Cesaroni”, la fiction familiare trasmessa da Canale 5 che segnò un’epoca per la tv generalista. Nei panni di Cesare, l’oste burbero ma di cuore, Fassari diede corpo a un personaggio che riusciva a essere al tempo stesso credibile e larger-than-life. Era uno zio, un fratello maggiore, un confidente per milioni di spettatori.

Il legame con Claudio Amendola, suo compagno di set, era autentico. Le parole con cui Amendola lo ha ricordato – “un pezzo di vita che va via” – raccontano più di quanto possano fare le interviste. Tra loro c’era una fratellanza artistica e personale che si percepiva anche attraverso lo schermo.

Sempre Roma nel cuore

Ma Fassari non fu mai solo un volto da piccolo schermo. Il cinema lo ha visto recitare in opere dense, spesso in ruoli di supporto, ma sempre incisivi. Marco Risi lo volle in “Il muro di gomma”, Marco Tullio Giordana in “Pasolini, un delitto italiano”, Michele Placido in “Romanzo Criminale”, e Stefano Sollima in “Suburra”. Registi che non scelgono a caso, e che vedevano in lui un interprete capace di restituire verità, anche nei dettagli minimi. C’era qualcosa di profondamente umano nella sua recitazione: ogni battuta sembrava provenire da una vita vissuta, più che da una sceneggiatura.

Nel 2000 si cimentò anche con la regia, firmando “Il segreto del giaguaro”, con protagonista il rapper Piotta. Un progetto atipico, forse non perfetto, ma sincero, in cui cercò di raccontare un altro volto della Capitale, tra folklore e modernità. Non tutti ricordano che nel 1984 incise anche un pezzo rap, “Romadinotte”, anticipando – con un’ironia profetica – quello che sarebbe diventato il crossover tra musica urbana e narrazione romana.

La Roma, per Fassari, non era solo uno sfondo: era un elemento identitario, quasi spirituale. Non a caso, uno dei suoi amori più grandi era l’AS Roma, che seguiva con la stessa passione con cui recitava. La città gli scorreva addosso come una seconda pelle.

“Che amarezza!”

La sua morte ha lasciato sgomenti colleghi, amici e fan. Francesca Reggiani, che con lui condivise l’esperienza di “Avanzi”, lo ha ricordato come “propositivo, generoso e spiritoso”. Verdiana Bixio, produttrice dei Cesaroni, ha parlato di un’amicizia vera, nata dietro le quinte e cresciuta nel tempo. Daniele Cesarano, capo della fiction Mediaset, ha sottolineato quanto Fassari fosse parte di una famiglia, prima ancora che di un cast.

Anche se sapevano della malattia, la sua scomparsa è arrivata come un pugno allo stomaco. Lo stavano aspettando sul set della nuova serie dei Cesaroni. E forse, nella mente di molti, continueranno ad aspettarlo, come si fa con gli amici veri, quelli che non si dimenticano e che continuano a vivere nei ricordi, nei dialoghi rubati, nei personaggi che hanno saputo interpretare senza mai fingere davvero. Perchè il personaggio di Cesare farà sempre parte dei Cesaroni. Oggi, più che mai, “Che amarezza!”.