Il prezzo della libertà: vita e morte di Virginia Tonelli
La storia di Virginia Tonelli, della partigiana “Luisa”, è emozionante e straziante, vale la pena rileggerla
Il merito dell’infaticabile lavoro dell’ANPI – l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – è quello di conservare la memoria delle tante storie individuali che formarono la Resistenza. Queste storie hanno contribuito a formare la Storia e, a volte, dentro di essa si perdono. Poiché il cammino storico di un’epoca non è fatto solo dalle grandi personalità e dai leader, ma anche dal lavoro infaticabile e silenzioso di tutti coloro che certe cose le hanno rese possibili.
Così, non senza imbarazzo, l’autore di queste righe confessa di aver ignorato l’ardimentosa storia di Virginia Tonelli – partigiana, nome di battaglia “Luisa”, Medaglia d’oro al Valor militare alla memoria – fino a non molto tempo fa.
Anni di lotte
Di umili origini, Virginia Tonelli fa la sua scelta di campo per il comunismo, in un momento in cui, in Europa, l’ascesa dei fascismi sembrava inarrestabile. Sposa un uomo con cui condivide la passione politica, che combatterà nella guerra di Spagna, vive anni intensi in Francia, in cui la sua casa sarà luogo di riunione e rifugio per resistenti e rivoluzionari.
Poi torna in Italia per partecipare alla lotta di liberazione. Da questo momento in poi la sua storia diventa straordinaria, ha un’impennata, seppure nella tragedia e nel dolore, come accadde a moltissimi suoi contemporanei in quegli anni, Pilo Albertelli ad esempio.
La misura del coraggio
Poiché la caratura, caratteriale e morale, di un uomo o di una donna, si vede dal modo in cui si pone di fronte al dolore. Virginia Tonelli viene catturata dai nazi-fascisti e torturata per dieci giorni. Una cosa difficile da immaginare per noi che, seduti nel salotto di casa, abbiamo da eccepire sulla legittimità del green-pass.
La compagna Luisa non parla, non rivela nulla di quelle tante informazioni che sarebbero state fatali ai suoi compagni di lotta. I suoi aguzzini, esasperati la bruciano viva. La violenza e la ferocia, la ferocia della violenza, che in quegli anni infuriò a tanti livelli e a tante latitudini, è in quei due particolari macroscopici: dieci giorni di torture e il corpo di una donna bruciata viva, per la rabbia impotente degli aguzzini, che non erano riusciti a fare breccia nel coraggio di Virginia-Luisa.
Le pieghe del Male
Proprio da qui, dalla specificità di una storia come quella di Virginia, si comprende perché insistere sulla necessità della memoria non è solo un esercizio di vuota retorica e mantiene intatto il suo senso. Innanzitutto ottant’anni, rispetto ai tempi lunghi della Storia, non sono molti. In secondo luogo, certamente i momenti di inaudita ferocia, nella storia umana, sono stati innumerevoli.
In tutte le epoche della storia occidentale e mondiale, troviamo stragi, stupri, massacri, angherie verso bambini e indifesi. Eppure, ogni volta che si apre il capitolo dei crimini del nazi-fascismo si ha l’impressione di un salto di qualità. Nella ostinazione e nella pervicacia con cui il Male veniva ricercato, attuato, compiuto, reso possibile.
La fine del mondo
La storia di Virginia Tonelli, della partigiana “Luisa”, è emozionante e straziante perché racconta di una generazione di uomini e donne che, nel momento del pericolo supremo per la sopravvivenza di un qualunque barlume di civiltà, si alza in piedi e lotta con uno spirito di sacrificio che ha pochi eguali nella storia contemporanea. Ecco perché il confronto con quella generazione di uomini, forti nella testa e nel cuore, è per noi uomini di oggi tanto duro e impietoso, a volte impossibile.
Una frase di Adorno, tratta dalla prima parte di “Minima Moralia. Meditazioni della vita offesa” (ed. it. Einaudi) e risalente al 1944, può aiutarci a capire meglio cosa accadde davvero in quegli anni, per la capacità che hanno le parole dei filosofi e dei poeti di illuminare la natura profonda degli eventi. Scrive Adorno: “Karl Kraus fece bene a intitolare il suo dramma ‘Gli ultimi giorni dell’umanità’. Ciò che accade oggi dovrebbe intitolarsi ‘Dopo la fine del mondo’” (aforisma 33).