Made in Italy? Quasi tutti i prodotti sono di provenienza straniera
Ha senso parlare ancora di Made in Italy riferendosi ai prodotti? Quasi tutti sono di provenienze o origini estere, assemblati poi in Italia. Quel che più conta è la conoscenza, il saper fare, quello è certamente italiano e non si può copiare
E se il Made in Italy non fosse che un’invenzione? Recentemente un’intervista del Financial Times ad Alberto Grandi, docente di storia dell’alimentazione all’Università di Parma, ha scatenato delle polemiche. Non è nuovo a sorprendere il professore, con le sue ricostruzioni storiche sul cibo italiano.
In linea di massima ritiene che l’80% del Made in Italy sia frutto di invenzioni nel dopoguerra. Prodotti che, sostenuti con un abile marketing, sono spacciati come prodotti della tradizione. Il quotidiano americano ha quindi buon gioco a sostenere, con Alberto Grandi, che ormai il Parmigiano originale si trova solo nel Wisconsin. La carbonara praticamente l’hanno inventata gli americani durante la guerra e il panettone e il tiramisù sono invenzioni industriali degli anni’60.
Made in Italy: se il parmigiano migliore è quello del Wisconsin
Nell’intervista di Marianna Giusti al professor Alberto Grandi si distruggono dei miti e si sfatano leggende della nostra tradizione gastronomica, basandosi su dati storici che tuttavia a me paiono confutabili, almeno in parte.
Che il parmigiano, così come lo facevano i nostri nonni, lo si trovi ormai solo nel Wisconsin non deve stupire. La storia del più famoso tra i nostri formaggi, uno dei più esportati assieme al Grana Padano, e dei più imitati, è vecchia di almeno 1000 anni.
Nell’ultimo dopoguerra le forme di parmigiano, al massimo, raggiungevano i 10 chili e la crosta era nera. La pasta era più grassa e morbida di quella attuale. Il formaggio tipo grana è ormai a pasta dura o durissima, dovuta all’invecchiamento e ha la crosta chiara.
Il perché è presto spiegato. Sono i soliti emigranti italiani che, quando vanno all’estero, si mettono a riprodurre i nostri prodotti, perché ne conservano il “saper fare”.
Non abbiamo più le condizioni migliori per l’allevamento
Se trovano, o si procurano, gli stessi ingredienti, il gioco è fatto. Bisogna rendersi conto che la Pianura Padana, anche se non si può dire, è uno degli ambienti più malsani e inquinati al mondo. Verificate voi stessi, se non mi credete. Procurarsi latte di qualità, da vacche allevate in maniera corretta, laddove i pascoli sono vasti e abbondanti, come nelle pianure del Wisconsin, non è difficile.
Da noi si è progressivamente scivolati verso la mungitura delle pezzate olandesi, che possono produrre fino a 50 litri al giorno di nettare bianco. Però più latte fa una vacca e di minor qualità (grassezza) sarà rispetto a una bruna alpina o a una pezzata rossa, che ne produce 5-6 litri. Dal punto di vista dell’industria agricola alimentare non c’è dubbio alcuno che sia meglio chi ne produce di più ma come qualità se ne perde parecchia. Già negli anni ’80 o ’90 si diceva, tra gourmet e chef, che negli Stati Uniti c’erano parmigiani (o parmesan) più buoni dei nostri, ma non bisognava dirlo per non compromettere il made in Italy. La ricetta dei nostri emigrati italiani è rimasta sempre la stessa, non c’è stata evoluzione e le forme che facevano agli inizi del ‘900 sono rimaste le stesse.
Il Wisconsin: natura, acqua, latte e formaggi
Se un giorno visiterete il Wisconsin, vi troverete immersi in un grande polmone di verde, fatto di pascoli, divisi da strade, che seguono le onde delle colline, arrotondate dall’era glaciale. Campi dove le vacche pascolano libere nei recinti di bellissime fattorie. Centinaia di laghi e laghetti testimoniano che non c’è penuria di acqua. Se seguite le coste del lago Michigan, che sembra un mare, arriverete alle spiagge del Lago Superiore, contrassegnate da insenature e fari, come se foste sull’Oceano. Un paesaggio che parla di natura, aria limpida, grande freddo e belle primavere.
Per comprendere che cosa sia questo stato, pensate che il 90% del latte prodotto dalle oltre 1.700.000 vacche finisce nei formaggi, un giro d’affari di oltre 43 miliardi di dollari. Se fosse uno stato sovrano, il Wisconsin sarebbe uno dei massimi produttori per quantità, anche prima dell’Italia, grazie ai 1.200 cheesemaker (casari), quasi tutti di famiglie di origine europea: tedeschi, belgi, svizzeri, irlandesi, italiani, greci, turchi, danesi, francesi, tutti che producono, o riproducono i loro formaggi storici.
Troviamo il cheddar, la fontina, il brie, il gorgonzola, l’emmenthal, la mozzarella, il gouda, la feta e il parmesan! I formaggi che si dividono il mercato americano sono la mozzarella (in realtà il fior di latte vaccino) con il 35,1% e il 9,3% per tutti gli altri italiani che hanno quindi il 44,4 % del mercato. Il 28,3 per il cheddar americano, il 15,9 per gli altri europei, francesi compresi. Agli altri americani resta l’11,4%, quasi tutti formaggi spalmabili industriali.
Made in Italy: Il Panettone fu un’invenzione industriale o artigianale?
Il professor Grandi svela anche il passato di un altro mito, il Panettone. Prima degli anni ’20 era una focaccia sottile farcita con uvetta, dice lui. Fu un certo signor Angelo Motta a farlo diventare un impasto a forma di cupola, un prodotto industriale che venne abbinato al Natale e fu la sua fortuna.
Oggi sono tantissimi i panettoni artigianali, carissimi, fatti con tanta maestria e fantasia, che vengono esportati ovunque e che stanno sostituendo il prodotto industriale. Stessa cosa è accaduta al Pandoro, il cugino di Verona del Panettone, ideato da Domenico Melegatti, che ormai lo sta insidiando in tutti i mercati, ma resta ancora secondo tra i dolci italiani natalizi più venduti.
Ci sono fonti che tuttavia sembrano smentire il professore. Lo dico con il beneficio d’inventario. Risulta per esempio che il nome del panettone derivi dal Pan de Ton, o pane dei signori. Nel 1500, in Veneto, si usava mettere per Natale delle fette di pane sul ceppo di legno sul fuoco. Quel pane aveva un significato speciale perché era fatto con la farina di frumento, proibita la popolo e riservata ai Signori. Una volta all’anno però il permesso veniva esteso a tutti e il Pan de Ton o Pan de Sciori era per tutti. Un pane arricchito con zucchero, burro e uova, Poi nel 1599 arrivarono le uvette. La ricetta più antica del Panettone è del 1549. Cristoforo di Messisbugo, cuoco ferrarese, ne elenca gli ingredienti cui aggiunge latte e acqua di rose, oltre al fatto di farlo lievitare a forma tonda. Sull’origine del Panettone le leggende si inseguono. C’è chi lo fa risalire al 1495, alla Corte di Ludovico il Moro, dove lavorava un garzone, Toni, che preparava questo nuovo dolce, per il cenone natalizio. Da qui il Pan de Toni.
Le leggende sull’origine del panettone sono diverse
Non sembra affatto che torni con la storia del Panettone, inventato negli anni ’20 da Angelo Motta. Il dolce era già presente da almeno 400 anni, anche sei in forme, dimensioni e ricette diverse. Tutte artigianali. I panettoni sia alti che bassi hanno poi convissuto con il prodotto industriale, che ha avuto una diffusione nazionale e internazionale, mentre quelli artigianali si erano fermati alle realtà locali. Recentemente, sull’onda del successo commerciale del Panettone, anche le versioni artigianali hanno preso il via delle strade del mondo, quando si è potuto contare su una produzione che di artigianale aveva ormai ben poco.
Il Tiramisù: nasce a Treviso o a Milano?
Ho sempre saputo che l’origine del Tiramisù fosse trevigiana, nella seconda metà dell’Ottocento. Lo chiamavano lo Sbatudin: tuorlo d’ovo sbattuto con lo zucchero, fino a farlo montare in una crema spumosa. Ogni famiglia lo personalizzava: aggiungendovi caffè, vino bianco, biscotti, burro, ricotta, panna, cacao e liquore. Pellegrino Artusi, la fonte storica più autorevole della cucina italiana, parla di un dolce simile al Tiramisù, nella settima edizione (1902) del suo famoso libro: “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” edito già nel 1891. Vi si parla di una ricetta di biscottini puerperali di Conegliano Veneto. Biscottini che si mangiano col cucchiaio, tanto sono intrisi di bagna, e almeno tre degli ingredienti ci sono tutti: uova, zucchero e cacao. Alla crema dello Sbatudin si sono aggiunti il cacao e il burro. Nell’ottocento, nelle varie case trevigiane, le massaie hanno completato l’opera aggiungendo agli ingredienti basici il caffè, il mascarpone e i savoiardi.
Per il professor Grandi, nell’intervista citata invece, il Tiramisù è apparso sui libri di cucina solo negli anni ’80 e il suo ingrediente principale, il mascarpone (ma ritengo che caffè e cacao siano anch’essi fondamentali) difficilmente si trovava fuori di Milano. Ma se lo avevano inventato a Treviso!
Made in Italy, anche la Carbonara è americana?
Su questo si può essere abbastanza d’accordo. Gli ingredienti uovo e bacon sono quelli del breakfast yankee. La pasta e il parmigiano-reggiano no. Sono più propenso a credere alla versione che vuole la carbonara nata dall’incontro fortunato degli ingredienti portati dai marines sbarcati ad Anzio, con quelli dei cittadini che andarono ad accoglierli come liberatori.
Per la Coldiretti si tratta quasi di blasfemia: “Un attacco surreale ai piatti simbolo della cucina italiana, proprio in occasione dell’annuncio della sua candidatura a patrimonio immateriale dell’Umanità.” Come ho già detto il professore non è nuovo alle polemiche.
Ne era stato investito quando aveva fatto uscire un suo libro e una serie di video dal titolo: “Denominazione di origine inventata“. Grandi ha pensato di usare l’esempio della carbonara per spiegare l’idea dello storico Eric Hobsbawm sull’invenzione della tradizione. Ma sfonda una porta aperta. La storia è risaputa. Non c’è nessun problema a datare la carbonara nel ’45.
Sicuramente però negli anni ’70 c’è stata la nascita del fenomeno Slow Food. La riscoperta delle nostre tradizioni, attraverso la salvaguardia delle produzioni agricole e degli allevamenti che si stavano abbandonando. Molti aspetti del Made in Italy che sono venuti dopo non convincono, è vero, tanti ingredienti importati per reggere produzioni che via via crescevano sono una realtà. Basti pensare all’olio extravergine di oliva fatti con olive africane o turche, ai vini pugliesi che tagliavano quelli toscani, al latte tedesco che arriva in Puglia per produrre burrate e trecce. Ma sono polemiche sterili, che lasciano il tempo che trovano. Quello che conta è la qualità dei prodotti, delle ricette, è il gusto. La cucina italiana funziona nel mondo e se funziona c’è un motivo fondamentale, la capacità di chi l’ha costruita nel tempo. Se non vuoi chiamarla tradizione che cos’è? Invenzione? Bene le tradizioni sono invenzioni che si sono affermate.