Mafia Capitale, un sistema mafioso di corruzione e criminalità
La relazione della DNA. Mondo di Mezzo ha costituito “un capitale istituzionale”
Organizzazioni mafiose “autoctone”, sul territorio laziale, quindi non facenti capo – secondo la qualifica della DDA – come “associazioni di stampo mafioso con riferimento ai sodalizi tradizionali del sud Italia”. Così, il documento che riassume le attività della Direzione nazionale antimafia, presentato alla biblioteca del Senato dal procuratore nazionale Franco Roberti e dalla presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi.
Al centro delle indagini della DNA, anche Mafia Capitale, e quindi le attività di Massimo Carminati. Per la DNA, “l’indagine, che ha avuto vastissima eco sui mezzi di diffusione, ha messo in evidenza uno spaccato delle istituzioni romane davvero sconfortante e preoccupante”. Ovvero: “L’organizzazione, oltre alle condotte tipicamente criminali dell’usura e delle estorsioni, ha realizzato una sistematica infiltrazione del tessuto imprenditoriale attraverso l’elargizione di favori, e delle istituzioni locali attraverso un diffuso sistema corruttivo”.
Un sistema di corruzione e criminalità, secondo il rapporto della DNA. Corruzione sul fronte “per così dire imprenditoriale, trattandosi di un’associazione che opera in una città con caratteristiche che comportano la necessità di limitare l’uso della forza e di altri metodi violenti. Su tale versante perciò l’associazione privilegia lo strumento della corruzione rispetto a quello dell’intimidazione, al quale comunque ricorre in caso di necessità”. A Roma, infatti, essendo una “città di servizi e di attività terziarie”, “gli affari più lucrosi si fanno attraverso l'acquisizione e il controllo di tali servizi e attività, e dunque attraverso l'infiltrazione sistematica nei settori economici e commerciali e nei servizi pubblici, e dunque negli appalti pubblici”.
"Avvalendosi del legame con alcuni personaggi dell’estrema destra romana divenuti negli anni importanti personaggi politici o manager pubblici, e attraverso alcuni esponenti del mondo imprenditoriale, l’organizzazione di Carminati ha potuto condizionare pesantemente il contesto politico ed amministrativo romano, determinando la nomina di personaggi ‘graditi’ in posizioni strategiche”, creando quello che quello che “i pubblici ministeri definiscono un capitale istituzionale, consistente in un articolato sistema di relazioni arrivato a coinvolgere i vertici delle istituzioni locali, grazie al quale ottenere appalti o accelerare pagamenti, o comunque individuare fonti di arricchimento in favore delle aziende controllate, e realizzare così ingentissimi guadagni”. Si legge ancora: “In definitiva dunque, l’indagine della DDA ha rivelato un vasto mondo di malaffare, un articolato e diffuso sistema corruttivo, una penetrazione criminale in alcuni dei più delicati ed importanti settori istituzionali, nonché il controllo criminale di imprese che pure danno lavoro a numerosissime persone”.
In questo modo Mafia capitale, continua la relazione dell'Antimafia, ha costituito quello che i pubblici ministeri definiscono un “capitale istituzionale”, ovvero “un articolato sistema di relazioni, arrivato a coinvolgere i vertici delle istituzioni locali, grazie al quale ottenere appalti o accelerare pagamenti, o comunque individuare fonti di arricchimento in favore delle aziende controllate, e realizzare così ingentissimi guadagni”. Grazie a questo capitale istituzionale, “costantemente alimentato da un imponente circuito corruttivo”, l'organizzazione di Carminati è riuscita ad ottenere per le imprese da lei controllate (società cooperative sociali e ditte operanti nel movimento terra e nello smaltimento dei rifiuti), solo per quanto fin qui accertato, affidamenti particolarmente redditizi dal Comune di Roma e dall'Ama, tra i quali quelli nella gestione dei campi nomadi, delle strutture riservate agli stranieri e ai minori non accompagnati, gli appalti nella raccolta dei rifiuti, nella manutenzione del verde pubblico e nella raccolta delle foglie. Parimenti, “il sodalizio è riuscito ad ottenere lo sblocco di fondi destinati alle citate cooperative sociali interferendo sulla programmazione del bilancio di Roma capitale e ad orientare l'assegnazione dei flussi di immigrati verso le strutture gestite dalle cooperative controllate”.
Per la Dna “non si tratta però di uno dei tanti scandali a cui ormai siamo purtroppo abituati. In questo caso la regia di tali gravissimi fatti appartiene ad una organizzazione in cui la DDA e il Gip hanno individuato le caratteristiche della mafiosità, un’organizzazione che ha saputo adattarsi alle esigenze del territorio su cui si afferma, e modulare il proprio agire evitando un ricorso indiscriminato a forme di pressione violenta, ma avvalendosi del circuito corruttivo quando si rivolge al contesto amministrativo e politico, e dell’intimidazione mafiosa quando opera nel perimetro più prettamente criminale”.
Infine: “L’espressione ‘Mondo di mezzo’ che dà il nome all’indagine e che è utilizzata da Carminati in un’intercettazione, sintetizza appunto il contesto in cui agisce il sodalizio, un’area di confine tra due diversi mondi, quello istituzionale ed imprenditoriale da un lato, e quello criminale dall’altro, e al tempo stesso evidenzia la capacità di tale sodalizio di garantire le relazioni tra tali diversi mondi per le finalità dell’associazione stessa”.