Magistratopoli 2, la conferma che Palamara era la polvere sotto al tappeto
I verbali secretati consegnati all’ex consigliere Davigo e poi alla stampa fanno scoppiare un nuovo scandalo in toga: e ora il Csm non può più nascondersi dietro al “tonno espiatorio”
Se per caso qualcuno aveva creduto che i problemi delle toghe fossero riconducibili a una “mela marcia”, ci pensa Magistratopoli 2 a riportarlo alla realtà. Un nuovo scandalo (quasi) tutto interno al Consiglio Superiore della Magistratura, i cui altarini iniziano appena a essere svelati. E che, in una sorta di contrappasso, ha per protagonista (suo malgrado) un campione del giustizialismo come l’ex Pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo.
Magistratopoli 2
La bomba l’ha fatta scoppiare l’icona antimafia Nino Di Matteo, dichiarando davanti al plenum del Csm di aver ricevuto un «plico anonimo, tramite spedizione postale». All’interno c’era il verbale di un interrogatorio in cui si menzionavano «in forma evidentemente diffamatoria, se non calunniosa, circostanze relative a un consigliere di questo organo».
Il consigliere in questione era l’ex davighiano Sebastiano Ardita, mentre l’inquisito era Piero Amara, avvocato siciliano condannato e pluri-indagato, per di più coinvolto nel Palamaragate. Il caso delle designazioni di alcuni Procuratori pilotate da Luca Palamara, ex Presidente dell’Anm radiato dalla magistratura nell’ottobre 2020, e dal sistema delle correnti.
La rivelazione della toga palermitana ha scoperchiato il vaso di Pandora. Perché il dossier Amara è coperto dal segreto istruttorio ma, come è emerso rapidamente, da oltre un anno era nella disponibilità di Davigo. Che adesso è in pensione per raggiunti limiti di età, ma all’epoca era membro dello stesso organo di autogoverno dei magistrati.
I documenti gli erano stati consegnati dal Pubblico ministero milanese Paolo Storari, che vi vedeva una forma di autotutela nei confronti della sua stessa Procura. Colpevole, a suo dire, di eccessivo immobilismo, laddove le dichiarazioni del faccendiere siculo contenevano reati gravissimi o gravissime calunnie.
Tra l’altro, il leguleio aveva tirato in ballo l’allora Premier Giuseppe Conte, che grazie a lui avrebbe ottenuto consulenze per 400mila euro nel 2012 e 2013. Inoltre, aveva riferito dell’esistenza di una misteriosa loggia, denominata “Ungheria”, che mirerebbe a condizionare le nomine delle toghe. E di cui farebbero parte alti esponenti delle istituzioni, politici e magistrati, tra cui Ardita, che però ha già smentito con prove concrete le illazioni.
Le ambiguità di Davigo
Il comportamento di Storari (che in seguito ha comunque avuto l’ok dei vertici della Procura meneghina per avviare gli accertamenti richiesti) era quantomeno irrituale. «Se un magistrato lamenta delle scorrettezze» ha sottolineato l’ex Procuratore di Torino Armando Spataro, «scrive al Procuratore Generale della Corte d’Appello». Non è «accettabile presentarsi a un componente del Csm e consegnare» documenti apocrifi e secretati. Anche se per Davigo «il segreto non è opponibile ai consiglieri del Csm».
L’idolo dei manettari ha liquidato il tutto affermando di aver «informato chi di dovere», perifrasi che pare stia per il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Di certo ha accennato la questione al vicepresidente del Csm David Ermini e al Pg della Cassazione Giovanni Salvi, ma senza presentare un esposto formale.
Dall’ottobre scorso, poi, le testimonianze del Mr. Wolf di Trinacria sono state spedite anonimamente ad alcuni quotidiani – oltre che a Di Matteo. E adesso la Procura di Roma avrebbe identificato il “corvo” in Marcella Contrafatto, impiegata del Csm nella segreteria dell’allora membro (pensionando) Davigo. Ora indagata per calunnia nei confronti degli inquirenti di Milano in relazione al contenuto della missiva di accompagnamento. Situazione paradossale per il Dottor Sottile, celebre per aver sostenuto che «non esistono innocenti, ma solo colpevoli che non sono stati ancora scoperti».
«Sono certo che il giudice Davigo – che da anni ci fa la morale» ha ironizzato il leader italovivo Matteo Renzi, «saprà spiegare questa strana vicenda». Che, senza dubbio, è solo al primo atto.
Magistratopoli 2 e il “tonno espiatorio”
Il Procuratore Generale Salvi ha definito Magistratopoli 2 «una grave violazione dei doveri del magistrato», su cui il suo ufficio aprirà un’inchiesta disciplinare. L’ex deputato del Pd Ermini ha invece denunciato «un’opera di delegittimazione e condizionamento tesa ad alimentare la sfiducia dei cittadini verso la magistratura». Come se ci fosse bisogno di interventi esogeni.
La realtà è che, dopo la deflagrazione dell’affaire Palamara, le istituzioni hanno lasciato intendere che fosse un caso isolato, risolvibile con la rimozione del “reo”. Laddove il problema di fondo è quella che il Quirinale, citando il giurista Vladimiro Zagrebelsky, ebbe a definire «modestia etica» delle toghe.
Come già argomentato, insomma, i campioni del diritto si sono limitati a nascondere sotto al tappeto la polvere che ora è tornata, prepotentemente, ad affacciarsi. Di buono c’è che ora il terzo potere ha una seconda occasione per fare pulizia al proprio interno. Anche perché, questa volta, non ci sarà alibi del “tonno espiatorio” che tenga.