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Manifesto di Ventotene: la Bibbia posticcia dei filo UE

Si inneggia a Gramsci e si approda a Veltroni. Ci si appella alla lotta partigiana e si finisce a fare i lobbisti a Bruxelles

Bandiera europa

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Nominato e celebrato? Moltissimo. Letto davvero? Pochissimo. E soprattutto: quasi mai citato in un modo che non sia capzioso e propagandistico. Esibendolo come un riferimento inattaccabile e nobilissimo al quale ci si può solo inchinare con la massima riverenza.

Chi conosce davvero il Manifesto di Ventotene?

Vietato, al contrario, dissentire ed entrare nel merito.

Impensabile, e insolente come una bestemmia, tenere conto di quello che sosteneva realmente, in aggiunta e tutto intorno all’idea che il federalismo europeo fosse la soluzione ottimale e definitiva alle tendenze inique e guerrafondaie dei nazionalismi.

La prassi corrente è questa. E infatti lo si è visto anche in ciò che è accaduto mercoledì scorso alla Camera. Quando Giorgia Meloni ne ha letto alcuni estratti – di quelli che vengono sistematicamente lasciati nell’ombra dai fervidissimi sostenitori della mitologica “Europa unita”, spacciata per la somma garanzia di democrazia, pace e prosperità – e ha detto chiaro e tondo che lei non ci si riconosce affatto.

Testuali parole: «Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia».

Sì, c’è scritto, però…

Cosa dicono i passaggi in questione su Il Manifesto?

Eccoli.

“La rivoluzione europea dovrà essere socialista”. “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso”. “Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente”. “Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni”. “La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”. 

E ancora: “Il partito rivoluzionario attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato, e attorno ad esso la nuova vera democrazia”. 

A proposito: chi volesse verificare, e magari espandere l’esame al testo integrale del Manifesto, lo può trovare e scaricare qui. Sul sito del Senato.

Come si permette di dire… la verità?

Le opposizioni sono insorte, sia in aula che fuori. Figurarsi. La premier aveva osato mettere in discussione uno dei loro santini prediletti, puntando il dito su un aspetto tanto sostanziale quanto ignorato, e i sagrestani dell’esaltazione permanente si sono infuriati.

Invece di replicare nel merito, ammesso che ne fossero in grado, si sono rifugiati nell’invettiva. Tra scandalo e monito.

Il florilegio è ampio e non vale la pena di dilungarsi. Basta capire l’aria che tira e per farlo è sufficiente riportare, a mo’ di esempio, l’intervento più che mai accalorato del Pd Federico Fornaro. Che al termine è addirittura scoppiato a piangere, commosso e travolto dalla sua stessa “eloquenza”.

“Non è accettabile fare la caricatura di quegli uomini, lei presidente Meloni siede in questo Parlamento anche grazie a loro, questo è un luogo sacro della democrazia e noi siamo qua grazie a quei visionari di Ventotene che erano confinati politici. Si inginocchi la presidente del Consiglio di fronte a questi uomini e queste donne, altro che dileggiarli. Vergogna! Vergogna! Vergogna!

Sugli stessi toni, manco a dirlo, Elly Schlein. Non lontano i vari Nicola Fratoianni, Giuseppe Conte, Matteo Richetti, e compagnia cantante.

Idealisti a parole, cinici di fatto

Sullo sfondo c’è un’enorme bugia, su cui se ne innestano innumerevoli altre. Una bugia-schema, diciamo così. Nel senso che la si utilizza a oltranza, adattandola di volta in volta ai diversi casi.

Filo conduttore: fare finta che vi sia una sostanziale continuità tra certe eminenti figure del passato e i loro pallidi/infidi surrogati che sono sopravvenuti in seguito.

Lo scopo è duplice. O se preferite “a doppio taglio”. Da un lato serve a cristallizzare nell’immaginario collettivo la valutazione positiva di quegli individui e delle loro idee. O per meglio dire di quelle parti di esse, più o meno limitate e strumentalizzate, che sono funzionali agli sviluppi e alle finalità che si vogliono raggiungere e legittimare.

Dall’altro lato, appunto, mirano a perpetuare quella suggestione estendendola a coloro che vi si richiamano, anche quando la distanza dalle formulazioni originarie sia talmente grande da sconfinare nella contraddizione. E quindi, superato un certo limite, nell’usurpazione.

Si inneggia a Gramsci e si approda a Veltroni. Ci si appella alla lotta partigiana e si finisce a fare i lobbisti a Bruxelles. Si auspica la giustizia sociale e si ripiega sull’ossequio ai mercati. Marx rimane Marx (togliersi il cappello, prego) ma l’aggiornamento porta a Draghi (omaggiare il “bazooka”, please).

Il caso del Manifesto di Ventotene è esemplare

Si è estrapolata una singola istanza – il federalismo europeo – e se ne è fatto un dogma. In realtà i suoi artefici collocavano quell’obiettivo in un’analisi assai più ampia, che andava al di là del nostro continente e si proiettava su scala mondiale, ma nella vulgata successiva si sono tralasciati quegli aspetti complessi e costitutivi. Fingendo che invece si trattasse di elementi collaterali e contingenti, determinati dal particolare momento storico e passibili, perciò, di essere rimossi a piacimento.

Oplà. Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi avevano inquadrato la soluzione all’interno di processi ben precisi, ma nelle mani dei loro spregiudicati cantori quelle analisi sono svanite. Lasciando solo il “tetto” delle istituzioni federali e privandolo dell’edificio socioeconomico per cui era stato immaginato. Asservendo uno slancio idealistico, sul quale si può essere d’accordo oppure no, agli obiettivi ben più prosaici che sono stati via via perseguiti. E in larga misura (ahinoi) anche realizzati.

Il gioco di parole è fin troppo facile: del Manifesto di Ventotene è rimasto ben poco di manifesto. Mentre il resto è stato accuratamente relegato nel dimenticatoio.

Un paradosso, perché come abbiamo già ricordato il testo integrale è a disposizione di tutti, gratuitamente e online.

Un calcolo ignobile ma purtroppo efficace, perché quasi nessuno si prende la briga di andare a leggerlo da cima a fondo. E poi di cercarne, sempre in Internet, le rare ma puntuali confutazioni della versione dominante.

Come questa, per indicarne solo una.

Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia