Marco Rizzo (PC): “Indipendenza energetica, uscire dall’UE e stop al Green Pass”
La nostra intervista a Marco Rizzo, segretario del PC su transizione ecologica, caro bollette, Green Pass
Dalla transizione ecologica posticcia (che fa contenti e ricchi sempre gli stessi), al tema urgente del Green Pass che sta emarginando dal lavoro migliaia di persone, fino all’uscita dall’UE. La nostra intervista a Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista.
L’intervista a Marco Rizzo
“Bollette luce e gas, arriva la stangata per le imprese. Nel primo trimestre di quest’anno le imprese saranno chiamate a pagare, rispetto al 2019 (anno pre-pandemia), ben 14,7 miliardi di euro in più di energia elettrica e gas” scrive AdnKronos.
Molti giornali parlano di bollette shock, ma se si prova a riflettere su un po’ di geopolitica attuale non sta accadendo nulla di sorprendente. Stiamo raccogliendo i frutti amari delle scelte politiche fatte negli ultimi anni e delle ingerenze che subiamo da parte delle politiche imperialiste e belligeranti Usa, con impatti enormi sulla nostra economia reale.
Mi sembra che questo sia sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere la realtà per quella che è e non secondo la convenienza della propaganda a convenienza degli Stati Uniti.
Quello a cui stiamo assistendo è la tempesta perfetta in cui tutte le contraddizioni del capitalismo ha portato. Vediamo nel dettaglio.
La transizione ecologica: una trasformazione solo apparente
La transizione ecologica. Al di là delle belle parole, non c’è dubbio che dietro si nasconde una guerra all’ultimo sangue tra due settori capitalistici. Il primo, chiamiamolo “nero” per comodità, che è più legato ai vecchi sistemi produttivi, il secondo, chiamiamolo “verde”, che invece cerca nuovi spazi per fare profitti.
La “transizione” si sta rivelando basata sulla riproposizione di vecchie tecniche dannose e obsolete, come il fracking per ricavare il gas, il nucleare, le perforazioni in mare o su terraferma.
Tutte cose che col rinnovabile non c’entrano niente e che restituiscono energia a costi nettamente superiori a quelli del gas e con tempi del tutto incompatibili con l’emergenza attuale. D’altro lato l’elettrico non è certo in grado di sostituire al momento l’enorme necessità che viene dal trasporto, dal riscaldamento e soprattutto dalla produzione. È una transizione che va accompagnata, ma non a spese dei consumatori e dei contribuenti, ossia di tutti noi che lavoriamo.
La crisi energetica sotto le pressioni USA
La crisi energetica. Al di là della pressione sui prezzi che l’improvvisa ripresa ha causato in tutto il mondo, guardando ai fondamentali, per molti anni l’unica cosa sicura ed economica che potrà accompagnare un uso sempre più elevato delle vere rinnovabili (acqua, vento e sole) è il gas che ci proviene dai gasdotti e non dalle gasiere. Per questo, andare a compromettere i rapporti con la Russia, ma anche con tutti gli altri paesi produttori, è una follia. Significa consegnarci mani e piedi alla vera dipendenza politica, che è quella dagli USA, e compromettere quel poco di ripresa che il nostro Paese sta vedendo. I piccoli produttori sono al collasso e le famiglie più povere già staccano i riscaldamenti. La Russia lo ha detto chiaro: non abbiamo diminuito le nostre forniture e con nuovo gasdotto sottomarino siamo pronti a vendere a prezzi di mercato all’Europa tutto il gas che le occorre. Da questo punto di vista l’enorme richiesta che viene dalla Cina non è confliggente, ce n’è per tutti. Le frizioni o le provocazioni della NATO servono solo a mettere in crisi questa politica.
Nel confronto col resto del mondo gli USA agiscono in modo talvolta convergente, talvolta conflittuale. Per esempio, rispetto alla Germania si vuole far sì che essa collabori meno con la Russia nel campo energetico e dipenda di più dal gas nordamericano, che commerci meno con la Cina e acquisti più prodotti dagli USA per riequilibrare la bilancia commerciale. Nei confronti della Francia li si espelle dallo scacchiere del Pacifico nella competizione contro la Cina.
Governo Draghi: una propaganda senza pudore
Il 26 febbraio a Roma e in molte altre città italiane si scenderà in piazza per il No Draghi Day.
Sì, A questo punto i cittadini italiani, a cominciare dai lavoratori tutti, devono stabilire se continuare a farci del male accettando queste politiche, o se finalmente si deve mettere un freno a questa follia.
Speriamo che si sbricioli la “luna di miele” di cui ha goduto Draghi – grazie a una propaganda senza pudore, come i recenti sondaggi fanno presagire – e che si possa cominciare a ragionare in termini di interesse nazionale. Ma questa classe politica non ne è in grado. Riescono al massimo a fare qualche imboscata parlamentare per difendere questo o quell’interesse, ma non esprimono una “visione”. Tutti, da destra a sinistra, hanno dimostrato di non avere la benché minima autonomia dagli USA e dai centri dell’UE. Dal Berlusconi che va a fare la guerra “suo malgrado” a Gheddafi, a Salvini inginocchiato a Washington, alla Meloni che non perde occasione per manifestare “stima” per Draghi. Della sinistra neanche parlo, tanto il loro comportamento è visceralmente filoatlantico e filoeuropeista.
Green Pass: strumento per militarizzare la società
“Sulle dinamiche geopolitiche c’è l’inganno della comunicazione” ha affermato lei, infatti molte testate e tutti i telegiornali ci rifilano informazioni e paradigmi costruiti appositamente per orientarci ad abbracciare certe idee e prese di posizione.
Accade per questione sanitaria e il Green Pass; sui cittadini viene scaricata la responsabilità di decenni di tagli alla sanità pubblica e territoriale. E avviene sul tema dei diritti civili, ad esempio, che ci vengono presentati come conquiste di emancipazione mentre ci distraggono dai diritti sociali sempre più calpestati dal Governo Draghi…e accade per ciò che riguarda la crisi Ucraina.
Queste tre cose sono intimamente legate: Green Pass, diritti sociali e crisi internazionale sono tre facce dello stesso dado.
Il Green Pass viene usato per “militarizzare” la società, come esperimento per vedere fino a che punto si può passare sopra i diritti della gente comune. Mi ricorda quando scoppia la guerra in cui è impossibile persino fare domande, senza essere accusato di disfattismo. Si inculca nelle persone un tale terrore per cui l’“appestato” è visto in ogni altro vicino.
Diritti civili: un dibattito tutto “artificiale”
La polemica al color bianco sui diritti civili. Guardavo i giornali di oggi.
Pagine e pagine di polemiche sui referendum – per carità, che sollevano temi importanti – ma che rilegano in fondo al “dibattito” del tutto artificiale, creato dagli strumenti più potenti (giornali, televisioni, influencer sui social), i temi assolutamente più scottanti e urgenti: il lavoro, le bollette, la sanità quella vera che coinvolge milioni di persone (non il bollettino del comando generale). Leggevo che ormai gli ospedali sono in crisi non per i casi di Covid, ma per le normali emergenze. C’entrerà qualcosa il fatto che negli ultimi decenni sono stati tagliati migliaia e migliaia di posti letto?
E poi la situazione internazionale. Mi piace ripetere questa immagine, che secondo me è molto efficace. Se un marziano venisse sulla Terra e vedesse dove sono dislocate le basi militari USA e NATO, dove sono dislocate le loro bombe atomiche, le loro flotte…non avrebbe esitazione a dire dove è il pericolo, chi aggredisce e chi è aggredito. Ma come si fa a mettere in questo modo la realtà?
Si inventano servizi lacrimosi sui poveri manifestanti di Hong Kong, che assaltano e distruggono il Parlamento, e nessuno parla di una legge liberticida che hanno messo ora in Canada che priva i camionisti che manifestano, perché non vogliono sottostare a regole di trasporto per loro inapplicabili, dei loro risparmi in banca e dell’assicurazione sul camion. Del fatto che in Francia la polizia picchia selvaggiamente i manifestanti, così come in Italia succede contro i giovani che manifestano.
Marco Rizzo: l’attualità di Lenin e della legge del “carbone”
Lei ha detto che Lenin ci aveva visto bene quando affermò che “In un paese senza carbone non ci sarebbe mai stata la rivoluzione socialista”, cosa significa?
Quella affermazione oggi è più vera che mai! Senza l’indipendenza energetica, non c’è indipendenza di nessuna nazione. Ti possono chiudere i rubinetti dall’oggi al domani. Si ferma tutto.
L’Unione Sovietica ebbe la possibilità di iniziare un percorso indipendente di costruzione del socialismo perché aveva grandi risorse minerarie e agricole – e comunque negli anni Trenta si avvalse di una notevole opera di tecnici e ingegneri occidentali.
Altri paesi l’hanno potuto fare appoggiandosi ad essa, finché era in vita e fungeva da grande retroterra di tutte le rivoluzioni e movimenti anticolonialisti del mondo.
Ma per esempio la Cina, dopo che Krusciov le tagliò i contratti e ritirò gli enormi aiuti che precedentemente gli avevano dato, dovette cercare altre strade certo molto più impervie.
Oggi immaginare una rivoluzione socialista in Italia per l’uscita dal capitalismo e dalle subordinazioni militari, economiche e politiche, costituite dalla NATO dall’euro e dall’UE, deve passare innanzitutto dal coinvolgimento di grandi strati di popolazione che possono in ultima analisi avere questo interesse, ma che poi devono mediare nel breve termine su tanti altri problemi. E poi non si può fare se non cercando alleanze e accordi commerciali con tutto il resto del mondo, che per fortuna è molto grande. Rapporti economici equilibrati e scambi commerciali convenienti per entrambi i partner. Un futuro pacifico e prospero non può che partire da questo. Il tempo del bullismo statunitense si devono mettere in testa che è al tramonto.
Uscire dall’Europa: sì, ma quali alternative?
In questo quadro come si situa l’uscita dall’Unione Europea, che il PC auspica per l’Italia? Molti cittadini sono favorevoli ma anche spaventati da cosa ci aspetterebbe nel caso di una Italexit.
Come dicevo, nessuno immagina “salti nel buio”. Una potente crisi politica in Italia, che facesse crollare il castello di carte che hanno predisposto, non potrebbe essere disgiunto da analoghe crisi in tutta l’Europa. Già ce ne sono le avvisaglie. Certo, questo non significa che dobbiamo aspettare che partano gli altri, altrimenti non partirà mai nessuno. Infatti noi diciamo sì di sciogliere la NATO, ma intanto di uscirne fuori noi.
In una crisi siffatta, che non possiamo prevedere che natura assumerà, l’importante è che ci siano dei dirigenti politici, dei “capitani” come li chiamava Gramsci, che siano in grado di orientare gli eventi. E in questo il nostro partito è impegnato, studiare la situazione politica e fare conoscere le nostre proposte al numero maggiore possibile di persone.
Di certo l’Italia non è la Gran Bretagna, ma, al di là degli allarmismi, non è che essa con la Brexit sia fallita dall’oggi al domani. E pensiamo che i loro problemi maggiori sono derivati da una situazione complicata tra le due Irlande che noi non avremmo. Detto ciò, essendo un processo che è stato guidato dal grande capitale inglese, i lavoratori hanno visto ben poco, come era da aspettarsi. E come se noi uscissimo dall’euro guidati dalla Lega. A parte l’inaffidabilità dei dirigenti, il fatto è che essi non hanno proprio la visione di cosa significa una prospettiva di vera “rivoluzione sociale”, come la chiamava Marx. Ossia di un governo che metta al primo ed unico posto l’interesse del popolo.
Un’alleanza sociale per riprenderci il paese
Noi pensiamo a una grande alleanza sociale tra tutti i lavoratori, in cui attraverso la loro forza e coesione si può costruire un governo che garantisca l’indipendenza della nazione e i diritti di chi lavora.
Che cacci le multinazionali e gli speculatori che sfruttano o delocalizzano, che faccia riappropriare allo stato, sotto il controllo trasparente del popolo, le proprie funzioni a cominciare da quelle di orientamento e programmazione economica e riprenda la propria funzione di controllare i settori produttivi strategici e la moneta.
È un primo passo verso quella società di “liberi e uguali” di cui parlavano i nostri grandi predecessori. Una società che certo non si costruisce in un battito di mani. Ma ci crediamo ancora, anzi più che mai, che sia non solo possibile ma anche ormai indifferibile.