Marino e il PD, uno scontro di cui a nessuno interessa nulla
E dunque, alla fine, è andata proprio così: Marino ha ritirato le dimissioni. E, almeno formalmente, per Roma non cambia nulla. Ma nella sostanza, le cose sono ben diverse
E dunque, alla fine, è andata proprio così: Marino ha ritirato le dimissioni. E, almeno formalmente, per Roma non cambia nulla – tanto più se si considera che il sindaco, in questi giorni, non ha arretrato di un passo e, anzi, era pronto a far approvare due provvedimenti, quello della pedonalizzazione dei Fori Imperiali e quello degli aumenti delle strisce blu. Dunque, a oggi, è come se l’annuncio delle dimissioni di Marino non fosse mai stato dato – con buona pace di Orfini, Renzi e tutti gli avversari politici che già erano pronti a candidarsi. Nella sostanza, però, le cose sono ben diverse: lo stallo politico resta e, sebbene fosse palese ormai da tempo, ora lo scontro, tutto interno al PD, è ciò che caratterizza questa parte dell'era Marino all'ombra del Marc'Aurelio.
Il sindaco, intanto, si dice pronto a un confronto – "aperto, limpido e trasparente" – in Aula, ma che verosimilmente gli sarà negato e, ove anche gli fosse concesso, non porterebbe da nessuna parte, perché le ipotizzate dimissioni in blocco di esponenti a vario titolo di questa maggioranza, potrebbero comunque decretare la morte di questa consiliatura. La mossa di Marino, dunque, lungi dall'essere una reale dichiarazione di "cessate il fuoco", appare invero come una dichiarazione di guerra. Guerra al "suo" partito – le virgolette sono d’uopo – ma soprattutto a Renzi, che nel frattempo si è portato dalla sua Orfini, che è lo stesso Orfini che fino a qualche settimana fa difendeva Marino a denti stretti. Insieme a Orfini, molti altri son passati lì dove, almeno all'apparenza, spira il vento della vittoria: è il caso di Esposito, che se qualche mese fa redarguiva i "compagni", che volevano far fuori Marino, è stato poi il primo a muovere le fila di quella storia che circa 20 giorni fa ha portato all'annuncio delle dimissioni del sindaco, annunciando le sue, di dimissioni.
Marino, però, soldato rimasto solo in trincea, ha deciso di morire (politicamente parlando, s'intende) affrontando a viso aperto il nemico. E gliene va dato atto: finalmente lo scontro, iniziato con quel sondaggio "killer" commissionato proprio dal PD romano, si consumerà e probabilmente porterà alla deflagrazione totale del PD e alla totale rottura del rapporto tra Marino e i Dem. Tuttavia la guerra, che apparentemente il PD si illude di poter vincere contro Marino, sarà invece letale per tutti: nessuno si salverà e Renzi sarà costretto a cedere il passo all'opposizione, che si aggiudicherà la guida del Campidoglio. E, ancora peggio – "peggio" lo si intende nell'ottica del premier – cederà il passo ai 5 Stelle. E gli conviene allenarsi tanto, a Renzi, in quel di Cuba, perché la corsa al Campidoglio, per il PD, richiede ora grandi sforzi.
Non ci sarà dunque spazio per la catarsi, di alcuno degli attori in campo. E non c'è spazio nemmeno per il ricongiungimento politico: sebbene Marino voglia, almeno a parole, cercare il confronto in Aula, non c'è spazio per nuovi accordi, motivo per cui è più legittimo credere che quello di Marino sia l'atto finale di un reality show, senza trama, di dubbio gusto, e per questo con molti spettatori, tra l’incredulo e l’invettiva.
Marino crede forse di poter trarre forza dai romani che per lui sono scesi in piazza, e che hanno firmato in suo favore una petizione. Si tratta però della minoranza, benché decisa e convinta, dei romani; tutti gli altri non lo vogliono e sono pronti a cambiare pagina. Che la fine di Marino non si dovesse decretare per mano del PD, è una verità: gli eletti si sfiduciano col voto (e quindi col non-voto) dei cittadini, non certo perché così recita il “Vangelo secondo Matteo”. Ma ormai il dado è tratto e, in effetti, non si capisce bene quale sia la strategia sottesa alle mosse di Marino che, in quasi tre anni, stratega politico non si è mai dimostrato.
È quindi solo una farsa? Un apparente contromossa per far credere di essere pronto ad andare avanti, perché possibile? Ma non è possibile, con ogni evidenza: se non lasceranno gli esponenti della maggioranza, ci penserà l'Aula a sfiduciarlo – e in quel caso sarebbe una doppia sconfitta per il PD e per Marino, perché sarebbero le opposizioni a rivendersi politicamente la dipartita, dalla politica romana, di Marino. E allora, ben ci saremmo potuti evitare la trafila delle dimissioni e saremmo potuti andare in Aula venti giorni fa. Invece, in questi venti giorni, abbiamo raggiunto livelli di comicità tali che persino Totò se li sarebbe sognati. Il tutto perché? Per logiche partitiche, in questo caso tutte interne al PD. Di cui, francamente, a nessuno importa nulla.