Mascherine cinesi, così i Servizi segreti e Draghi inguaiano Arcuri e Conte
Mario Benotti, pietra dello scandalo, rivela che Palazzo Chigi avvisò Der Kommissar delle indagini degli 007. La cui delega, ora in mano a Gabrielli, l’ex Premier tenne sempre per sé…
Cos’hanno in comune 800 milioni di mascherine cinesi, i sottosegretari appena nominati dal neo-Premier Mario Draghi e il commissario straordinario per l’emergenza coronavirus Domenico Arcuri? Sembra una barzelletta, eppure c’è una sottile linea rossa (e il colore non è casuale) che lega questi improbabili protagonisti. E arriva a lambire con le sue (non nitidissime) trame anche l’ultimo tratto del precedente Governo guidato da Giuseppe Conte.
L’affaire mascherine cinesi
La Cina, si sa, è vicina, ma nel caso del supercommissario Arcuri l’aggettivo assume i connotati di un eufemismo. Questo, almeno, racconta l’inchiesta della Procura di Roma sull’affaire dei dispositivi di protezione individuale acquistati dal Nostro in piena crisi da Covid-19.
Una commessa costata complessivamente 1,25 miliardi di euro, per cui la struttura commissariale ha usufruito dell’intermediazione di alcune imprese italiane. Le quali, per questo servizio, hanno percepito commissioni per decine di milioni di euro da parte dei consorzi orientali affidatari delle forniture. Questa almeno la ricostruzione dei Pm di Piazzale Clodio, che hanno disposto una serie di misure cautelari per cinque accusati, tra cui spicca Mario Benotti. L’imprenditore – e giornalista Rai in aspettativa – attorno a cui ruota l’intero scandalo delle mascherine cinesi.
Va subito precisato che le indagini non riguardano Der Kommissar, la cui posizione è già stata archiviata. I magistrati hanno infatti appurato che «allo stato non vi è prova che gli atti della struttura commissariale siano stati compiuti dietro elargizione».
Però i verdetti politici non coincidono con quelli giuridici, e c’è un particolare (palesato dallo stesso Benotti e tangenziale alla vicenda delle mascherine cinesi) che imbarazza Arcuri. Un particolare che ha a che fare con uno dei fiori all’occhiello dell’Italia – che non sono le ridicole primule del supercommissario, bensì i Servizi segreti.
Ombre rosse
«Arcuri mi incontrò e mi disse che c’era una difficoltà: da Palazzo Chigi lo avevano informato che c’era un’indagine, un approfondimento in corso su tutta questa situazione, forse dei Servizi».
L’uomo delle mascherine ha sganciato la bomba in diretta televisiva mentre spiegava perché dallo scorso 7 maggio Der Kommissar avesse tagliato i ponti con lui. «Mi pregò di interrompere qualunque comunicazione con lui e io l’ho fatto».
Troppo tardi, però. Anche perché questa rivelazione permette una lettura retroattiva anche di uno dei fatti più controversi della fase finale dell’esecutivo Conte-bis. Ovvero l’ostinazione con cui Giuseppi ha conservato la delega ai Servizi segreti fin (quasi) all’ultimo. Cedendola poi al suo consigliere diplomatico Pietro Benassi solo dopo che il leader italovivo Matteo Renzi aveva già innescato la crisi di Governo.
«Quando dicevamo che sulla gestione dei servizi segreti di Conte c’era qualcosa di poco chiaro, ci prendevano per matti! Invece, a quanto pare…». Così, secondo indiscrezioni, si sarebbe sfogato il leghista Giancarlo Giorgetti, neo-Ministro dello Sviluppo economico e braccio destro del segretario Matteo Salvini. Il quale continua a invocare decisamente le dimissioni – o il licenziamento – di Arcuri, che recentemente ha bollato come «monarca assoluto».
Per il momento, il Premier ha fortemente ridimensionato il ruolo del supercommissario, per esempio escludendolo dalla riunione in cui si discuteva del nuovo Dpcm anti-Covid. Dev’essere il nome Mario che non porta bene a Der Kommissar.
Intanto l’ex Governatore della Bce ha affidato la delega della discordia sugli 007 al Capo della Polizia Franco Gabrielli, che certamente cercherà di dissipare tutte queste ombre. Ombre rosse, ça va sans dire.