Mattarella dixit: “La scorta a Liliana Segre dimostra che il pericolo è reale”
Il presidente della Repubblica lo dà per scontato, ma scontato non è. E così i deliri degli odiatori online vengono messi sullo stesso piano delle minacce dei veri gruppi terroristici
«L’intolleranza è concreta», dice Sergio Mattarella.
In realtà la frase è una sintesi giornalistica e lui l’affermazione la fa in maniera un po’ meno diretta, ma il succo è davvero questo. Secondo il presidente della Repubblica, gli insulti arrivati online a Liliana Segre (che lo stesso Mattarella ha nominato senatrice a vita il 19 gennaio dell’anno scorso) non sono i tipici vaneggiamenti dei soliti “leoni da tastiera” ma i bagliori di un pericolo reale.
Della serie: oggi si sbraita, domani si aggredisce. Oggi si delira con le parole, domani si delinque con le azioni.
A prima vista può sembrare un ragionamento che non fa una grinza. Ma a guardare meglio non lo è. Perché dà per scontato ciò che scontato non è. Perché confonde una mera eventualità con una minaccia effettiva. O addirittura incombente.
Vi chiediamo un piccolo sforzo di attenzione, adesso. Salendo di livello. Da normali lettori che vanno sempre un po’ di fretta, a investigatori che si prendono tutto il tempo necessario per ragionare a fondo.
Ripartiamo dalle parole che il presidente della Repubblica ha pronunciato davvero. E che, così come le riporta il Corriere della Sera, sono queste: «se è necessario per una persona anziana come Liliana Segre, di avere una scorta, significa che gli interrogativi dei bambini, che chiedono solidarietà contro intolleranza e odio, non sono astratti né retorici, ma sono concreti».
Sostiene Mattarella…
Il percorso logico è evidente, ma per comodità di analisi rendiamolo ancora più esplicito. In modo da far risaltare la sequenza di premesse e di conclusioni che attraversa le parole del presidente della Repubblica.
I passaggi sono tre: siccome le è stata data una scorta, pertanto vuol dire che ce n’era bisogno, e quindi che il rischio di un’aggressione era/è reale.
Ed ecco l’inghippo: viene dato per indiscutibile un qualcosa che così indiscutibile non è.
Come? Per mezzo di un circolo vizioso di cause e di effetti. Che si sostengono soltanto se li tieni insieme a forza. Invece di essere tre elementi distinti che si comprovano a vicenda, sono tre “legnetti” che si appoggiano l’uno all’altro: se ne togli uno, cadono tutti.
Il punto debole del discorso è che Mattarella dà per scontato che l’assegnazione della scorta implichi l’esistenza di un pericolo concreto. Ma questa, in effetti, è solo un’ipotesi. E come tutte le ipotesi può essere tanto fondata quanto arbitraria.
Quantomeno in linea di principio, bisogna ammettere che il provvedimento potrebbe anche essere stato eccessivo: le minacce non sono affatto concrete, e men che meno incombenti, e perciò si tratta di nulla di più che una misura prudenziale. Magari sproporzionata. Ma utilissima, guarda caso, per sostenere la tesi di un rinfocolarsi dell’antisemitismo e, più in generale, di quella cultura dell’odio che si mira a sanzionare per legge. Vedi appunto la Commissione Segre. Vedi appunto l’idea, o la pretesa, di espandere a dismisura la rilevanza penale di quelli che di per sé sono solo dei concetti, o persino dei sentimenti. Come abbiamo spiegato in lungo e in largo nell’articolo di ieri.
Insomma: sia chi ha disposto l’assegnazione della scorta, sia Mattarella che ci ha imbastito sopra la pseudo dimostrazione che abbiamo analizzato, si comportano come se non si trattasse di farneticazioni spicciole – di quelle che si trovano a migliaia, o a milioni, nella “terra di nessuno” dei social – ma di intimidazioni deliberate. Manco fossero contenute nel comunicato ufficiale di un’organizzazione terroristica che esiste davvero. E che ha già dimostrato di poter colpire gli obiettivi della propria ostilità.
Le Teste Calde scambiate per le Avanguardie Armate del Neonazismo. Le Teste Vuote scambiate per gli Arsenali Pieni.
Dagli inquirenti, ora, ci aspettiamo che trovino dei riscontri oggettivi ai timori che sono stati sbandierati. In pratica, dei soggetti armati che stessero pianificando un attentato specifico ai danni di Liliana Segre.
Altrimenti, trattasi solo ed esclusivamente di chiacchiere da bar. Poiché questo sono in moltissimi casi i social odierni: l’equivalente contemporaneo di ciò che in passato erano i bar, le piazze, i muretti, e ogni altro luogo di incontro e di sfogo delle persone qualsiasi.
I terroristi veri si riuniscono altrove. Si organizzano nell’ombra. E quando escono allo scoperto con dei proclami pubblici, lo fanno come gruppi con denominazioni precise e altisonanti: non come Tizio e Caio e Sempronia che si aggirano per Internet e pisciano dove capita.