Mattarella “rilegge” Manzoni (e ne fa un’icona politically correct)
Il Colle reinterpreta l’autore de “I promessi sposi” secondo i canoni della modernità, come da cancel culture: versione 2.0 della censura asburgica contro cui si batté lo scrittore…
In occasione del 150simo anniversario della morte di Alessandro Manzoni, lo scorso 22 maggio, Sergio Mattarella ha omaggiato il grande scrittore nella sua patria, Milano. Lo ha fatto però con un intervento in cui ne ha riletto la figura, adattandola ai canoni della modernità e dell’attualità. Un azzardo che lascia sempre, per usare un eufemismo, estremamente perplessi.
Il discorso di Mattarella su Manzoni
Dal “discorso del re” di colinfirthiana memoria al discorso del Presidente il passo è breve, benché Mattarella rischi di averlo fatto più lungo della gamba. L’occasione era il 150° della scomparsa di Alessandro Manzoni, che però il Capo dello Stato ha voluto reinterpretare in ossequio all’odierno pensiero unico dominante.
A riprova, basti considerare, a titolo meramente esemplificativo, la sintesi di TGCom24, che poi è la stessa dei principali media mainstream che hanno individuato due “passaggi fondamentali”. Quelli in cui l’uomo del Colle sottolineava come la Costituzione vieti «nefaste idee di supremazia sulla razza» ed esortava il potere a non compiacere «le folle anonime».
Tutto vero, sia chiaro, ma tutto marginale nel pensiero dell’autore de I promessi sposi, che ruotava piuttosto attorno a concetti che Mattarella ha toccato solo di sfuggita. Il primo e più imprescindibile è la sua fede cattolica, senza la quale, semplicemente, non si può capire nulla della produzione letteraria manzoniana. E senza la quale l’attenzione per i diritti umani che il Quirinale gli ha un po’ pretestuosamente attribuito rientrerebbe nell’ambito della pura retorica.
Il secondo è il nazionalismo, declinato come aspirazione all’Unità d’Italia, come ha ricordato il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, sollecitato da La Repubblica. Né peraltro si può trascurare il fondamentale contributo che Manzoni diede all’unificazione linguistica del neonato Belpaese mediante l’adozione del dialetto fiorentino.
Omettere questi piccoli, insignificanti dettagli lascia la sgradevole sensazione che il Presidente della Repubblica volesse anzitutto trasformare il pater patriae in un’icona politically correct ante litteram. Un’operazione in pieno stile cancel culture che, en passant, non è che la versione 2.0 della censura asburgica contro cui Manzoni si batté a lungo. Ma non diciamolo a Mattarella.