Matteo Falcinelli, la “violenza di Stato” e l’ipocrisia della politica
L’arresto shock dello studente italiano da parte dalla polizia della Florida è peggio del caso di Ilaria Salis: ma quanti strepitano contro il Governo di Orbán chiudono un occhio sull’amministrazione Biden
La vicenda di Matteo Falcinelli, lo studente italiano 25enne brutalmente fermato dalla polizia della Florida, è estremamente emblematica sotto vari punti di vista. A un livello più epidermico, perché apre anche gli occhi del Belpaese sull’assurda “violenza di Stato” che negli Usa, intollerabilmente, è quasi all’ordine del giorno. E più in profondità, perché squarcia il velo dell’ipocrisia di una politica per cui, parafrasando George Orwell, ci sono vittime “più uguali di altre”.
L’arresto shock di Matteo Falcinelli
Quella che doveva essere una tranquilla serata yankee è divenuta un incubo per Matteo Falcinelli, giovane spoletino che frequenta un master presso la Florida International University. E che, come ha ricostruito il Quotidiano Nazionale, ha subìto un arresto shock da parte delle forze dell’ordine del Sunshine State.
Il ragazzo, lo scorso febbraio, ha avuto un alterco col buttafuori di un locale di North Miami Beach perché credeva gli avessero rubato i suoi due cellulari. Aveva bevuto, e si è rifiutato di collaborare con gli agenti che volevano identificarlo.
Questi ultimi, come immortalato dalle loro bodycam, lo hanno quindi sbattuto a terra, premendogli il volto contro l’asfalto, con un ginocchio premuto contro il collo. La stessa manovra che, nel 2020, era costata la vita al povero George Floyd, il cui allucinante omicidio aveva scatenato le proteste indignate della comunità afroamericana.
Una volta tradotto in centrale, l’universitario è stato sottoposto al cosiddetto hogtie che, come spiega l’Adnkronos, corrisponde sostanzialmente a un incaprettamento. In quattro, infatti, con una cinghia gli hanno legato i piedi alle manette dietro la schiena e hanno tirato per tredici lunghissimi minuti. Quando c’è chi, in quella posizione, smette di respirare dopo appena 150 secondi.
Alcune vittime sono “più uguali di altre”?
Si tratta, com’è evidente, di un caso ben peggiore di quello di Ilaria Salis. L’insegnante accusata di aver aggredito dei (presunti) neonazisti in Ungheria, e condotta in tribunale con le manette e le catene ai piedi e ai polsi.
Questo trattamento aveva comprensibilmente suscitato una vasta ondata di rimostranze, anche di partiti (e leader) che strepitavano contro lo stesso Governo di Budapest. Ma che, curiosamente, restano ora silenziosi di fronte alle palesi disfunzioni del sistema giudiziario d’Oltreoceano. Un doppiopesismo che, a pensar male, si potrebbe anche considerare derivante dall’opposta prossimità ideologica verso il Premier magiaro Viktor Orbán e verso Sleepy Joe Biden.
E sì che basterebbe ricordarsi un paio di princìpi base della civiltà e del diritto. Per esempio, che è legittimo processare quanti sono accusati di un reato là dove lo avrebbero commesso, riconoscendo però loro – sempre – l’inviolabile dignità di esseri umani. Non dovrebbe essere così complicato, no?