Me Too, Omofobia, Razzismo: le rivendicazioni e il pensiero unico progressista
Me Too, Omofobia, Razzismo: richiedere leggi ad hoc significa sottolineare la diversità delle persone che si vogliono tutelare
Me Too, omofobia e razzismo. Ciclicamente nella storia degli USA avvengono episodi di abusi nell’uso della forza da parte degli agenti di polizia, con conseguenze mortali ai danni di cittadini americani di colore o ispanici. L’esito è sempre una successione di proteste violente di piazza, che mettono in crisi la gestione dell’ordine pubblico e lo stesso governo americano. E’ già successo in epoche precedenti, anche durante la presidenza di Barack Obama (l’uccisione di un ragazzo nero nel marzo 2015, nell’anniversario della marcia di Selma di M. L. King).
Poi, dopo un periodo più o meno lungo, gli scontri di piazza cessano e tutto sembra tornare alla normalità. Stavolta, dopo la morte violenta di George Floyd, avvenuta il 25 maggio scorso, gli sviluppi sembrano, anzi sono, profondamente diversi.
Proteste, incidenti e rivendicazioni: le vite dei neri contano
Il movimento di protesta nato subito dopo ha preso il nome di Black Lives Matter. Cioè: Le Vite dei Neri Contano e non accenna a spegnersi, anzi cresce sempre più.
La stessa scelta del nome non ha semplicemente un mero valore di protesta o di rivendicazione di giustizia. Esprime anche una forte affermazione ideologica. Non è soltanto la denuncia di un trattamento diverso riservato ai neri, derivato di una concezione razzista archiviata dalla Guerra di Secessione, ma ancora presente nello sfondo dei rapporti sociali, bensì appunto la dichiarazione che il black people oggi è importante, molto più di altri. Una sorta di razzismo al rovescio.
In effetti, non si può certo pensare che la società americana sia ancora ferma al tempo storico di J. F. Kennedy e di Martin Luther King. Entrambi vittime del progresso civile e del potere economico connesso con le cospirazioni reazionarie.
Da allora i neri hanno fatto enormi passi avanti, fino ad occupare posti rilevanti in tutti i settori della società, della politica e della finanza. Nasce un’alta borghesia di colore, insieme a una classe media e ad un popolo di lavoratori dipendenti. Riproducendo così lo sviluppo storico della società dei colonizzatori.
La rivalsa contro i bianchi e l’integrazione
In più, è cresciuto un senso di rivalsa contro i bianchi, che spesso sottendeva una volontà di affermazione sugli eredi degli antichi dominatori. Basti ripensare alle idee espresse da Malcolm X e Stokely Carmichael, contemporanei di Martin Luther King.
Quest’ultimo, pastore di fede battista, era divenuto il massimo leader della rivendicazione non violenta per l’integrazione delle comunità. I primi due invece propugnavano una lotta che non escludeva la violenza, ma soprattutto affermava la contrapposizione tra neri e bianchi.
Entrambi avevano abbracciato la fede islamica. Malcolm credeva che quella fosse la religione originaria dei negri deportati come schiavi nel secolo precedente. Perciò la considerava un fondamento rivoluzionario, avverso alla religione cristiana dei dominatori , nella quale i neri erano stati educati per accettare la disuguaglianza, quindi la discriminazione.
L’epiteto più offensivo rivolto a un nero pacifista era quello di zio Tom.
Ricordiamo pure che il grande pugile Cassius Clay divenne musulmano, assumendo il nome di Muhammad Alì. Alle Olimpiadi del Messico del 1968, due atleti neri, saliti sul podio come vincitori, alzarono il braccio teso con il pugno chiuso in un guanto nero. Era il simbolo dei Black Panthers, pugni alzati nel momento in cui partiva l’inno americano.
Questo tipo di protesta esiste ancora oggi, quando giocatori neri di football si inginocchiano alla fine del match mentre suona l’inno.
In ginocchio di fronte ai neoiconoclasti
Oggi però le parti sembrano essersi invertite: di fronte alle violente proteste del Black Lives Matter, sindaci bianchi e altri esponenti delle istituzioni chiedono perdono al popolo nero per le sopraffazioni subite. L’atto sarebbe comprensibile se eseguito qualche volta per il caso specifico Floyd; ma viene invece ripetuto costantemente negli USA e da noi, in Italia. A ciò si aggiungono poi gli abbattimenti di statue di grandi uomini della storia: dal generale Lee ai presidenti Jefferson e Lincoln, Cristoforo Colombo, Churchill, etc. Si colpiscono, ovviamente, anche scrittori e giornalisti; a Milano è stata imbrattata con vernice rossa la statua di Montanelli, di cui un comitato (I Sentinelli!) pretenderebbe la rimozione.
Tutta questa furia iconoclasta è motivata da giudizi di razzismo, antisemitismo, maschilismo, appiccicati agli uomini del passato superficialmente e senza il minimo senso storico.
Dulcis in fundo, a questa irrazionale campagna non poteva mancare l’istituzione di un elenco di films e libri da proibire e ritirare dal commercio. Un nuovo indice, peggiore di quello che fu della Santa Inquisizione. A quei tempi (e bisogna considerare il momento storico), per condannare un libro o un pensatore come eretico, si svolgeva un processo secondo il diritto canonico, certamente di parte, ma comunque con argomentazioni teologico-filosofiche di una certa coerenza.
Oggi invece basta uno strillo su Twitter. Solo per fare un esempio, mi è parsa ridicola, oltreché assurda e ingiustificata, la condanna di un romanzo come Il buio oltre la siepe, scritto da una brava autrice nera (Harper Lee), dal quale fu tratto quel bellissimo film interpretato da Gregory Peck.
Cancellare la storia e la cultura classica
Tutto questo insieme di atti, comportamenti e giudizi dissennati costituiscono il movimento non a caso denominato Cancel Culture, il cui intento è appunto quello di cancellare la cultura storica nella sua complessità, mettendone in risalto gli aspetti giudicati peggiori e contrari all’affermazione dei bisogni, diritti o capricci di gruppi o di individui. Inoltre, la condanna del passato viene usata come arma contro i nemici attuali; ricordiamo che “to cancel” significa anche eliminare, annullare (come si usa nel gergo informatico).
Ma quali sono le motivazioni di fondo, le giustificazioni ideologiche del movimento?
Pochi giorni fa, il 7 luglio, a New York si è avuto notizia di una lettera firmata da 150 intellettuali che sarà ufficialmente pubblicata l’ottobre prossimo sulla rivista Harper’s Magazine, dal titolo:
A Letter on Justice and Open Debate, il cui scopo dichiarato è difendere la libertà di espressione, minacciata dalla caccia alle streghe che si è scatenata.
Trump e le proteste di piazza
Il discorso svolto appare però contorto e poco chiaro. Partiamo da una generica approvazione di proteste che reclamano riforme di giustizia sociale e razziale, che consentano a tutti di accedere ai più alti gradi dell’istruzione e della carriera nelle professioni. Nella lettera le responsabilità dell’esplosione delle proteste di piazza ricadono sulla “miope politica conservatrice di Trump“. Poi la lettera depreca il fatto che la necessaria reazione alla politica del Presidente sfoci in espressioni di “accecante certezza morale” che non ammette repliche, e perciò imbavaglia il libero dibattito.
Di seguito, senza fare nomi, leggiamo esempi di giornalisti e docenti ostacolati nell’esercizio della professione e addirittura licenziati, o costretti ad allontanarsi dal proprio ambiente di lavoro, se la loro posizione discorda da quella dominante.
Infine, dopo aver denunciato l’atmosfera soffocante e le restrizioni del libero dibattito, gravi sia che provengano da un governo repressivo che da un clima di intolleranza diffuso nella società, la lettera afferma che il solo modo di sconfiggere le idee nocive è quello della libertà di espressione e di confronto, non quello di imporre il silenzio. Conclude con la necessità che i lavoratori intellettuali difendano se stessi, non potendo fare affidamento sullo stato o sulla società.
Il ruolo del Politically Correct e il pensiero unico progressista
Come già detto, nello scritto non appare, neppur citato per nome, il motivo fondamentale: il Politically Correct, ovvero il criterio di giudizio “politicamente corretto” che domina da dentro, l’intellettualità di sinistra, il pensiero unico “progressista” secondo cui ogni soggetto ha il diritto incoercibile di affermare le proprie peculiarità, condannando come reazionario o passatista chiunque lo intralci.
Proprio questo pensiero, che domina ormai da alcuni decenni, è quello che giustifica le pretese di qualsiasi gruppo, non importa se maggioritario o minoritario, di ottenere giustificazione politica e protezione per legge (quindi, coercitiva) dei propri diritti, veri o presunti.
Pensiamo per esempio al movimento Me Too, messo in campo dal femminismo più oltranzista. Qualsiasi atto di un uomo, magari con una certa influenza o potere, viene condannato come stupro o prevaricazione verso la donna. Anche se compiuto in un lontano passato e perciò difficilmente giudicabile oggi. Però, è sufficiente la testimonianza del denunciante e lo sdegno suscitato con l’on line shaming. In fondo, sembra che l’obiettivo sia la sottomissione dell’uomo maschio.
Ricordiamo che il femminismo estremista aveva posto il conflitto dei sessi al posto di quello di classe.
Oppure, si pensi alla richiesta di punire per legge l’omofobia, fobia che non esiste nel senso che vuole affermare chi la propaganda.
Le offese gravi o aggressioni dei fatti di cronaca sono opera di gruppi di individui malati o esaltati, perseguibili come reati gravi contro la persona. Richiedere una legge ad hoc significa sottolineare la diversità del soggetto oppresso; inoltre, qualsiasi opinione riguardo la sua natura e le sue richieste, pur se espressa correttamente, potrà essere censurata.
Al proposito, la scrittrice J.K. Rowling, femminista e firmataria della lettera dei 150, è stata vergognosamente denigrata su Twitter perché aveva difeso una ricercatrice licenziata per aver dichiarato la sua preferenza riguardo il concepimento naturale all’interno di una coppia etero.
Conclusione amara
Abbiamo così tentato di dare una spiegazione del clima di intolleranza diffuso nella società e denunciato dalla lettera che, tra l’altro conclude con l’autodifesa degli intellettuali firmatari, mentre il problema riguarda l’individuo in generale, anche l’uomo della strada.
Ma vogliamo sottolineare che il revisionismo più deformante e mistificatorio riguarda oggi la storia, gli uomini e le loro opere. Fino appunto, all’annullamento totale della cultura con la quale siamo cresciuti, anche con gli strascichi di male che trasciniamo e di cui siamo coscienti.
L’uomo che oggi si inginocchia contribuisce attivamente a questo misfatto, rinnegando secoli di conoscenza critica e di bellezza.