MES: ecco cosa si muove realmente dietro le baruffe tra i vari Conte, M5S e Lega
Uno strumento creato nel 2012 ed entrato nel linguaggio mediatico con il nome, ingannevole, di “Fondo salva Stati”. Un marchingegno che adesso si vorrebbe rendere ancora più insidioso
Complicata, vero, l’economia finanziaria?
Eccome. Ma è proprio lì che si trovano i meccanismi fondamentali per condizionare i singoli governi. E quindi i singoli popoli. E quindi tutti noi che o prima dopo ne subiremo le conseguenze. Quando più e quando meno. Ma di solito “più”.
A proposito di meccanismi: il MES, che di colpo è tornato alla ribalta per le diatribe fra i partiti di casa nostra, significa appunto “Meccanismo Europeo di Stabilità”. Una definizione che a prima vista sembra del tutto neutra, ma che in effetti mira a renderne positiva la percezione collettiva. Chiaro: se lo scopo è la stabilità, come si fa a non essere d’accordo?
Quello che sfugge, a chi non stia bene attento, è che in via preliminare ci si dovrebbe chiedere che cos’è, esattamente, che deve rimanere stabile. I conti pubblici o l’intero sistema bancario che lucra sulla gestione del denaro? Se i due aspetti vi sembrano coincidenti, il consiglio è di approfondire un po’. Ad esempio, leggendo un articolo che risale all’epoca in cui il MES stava per essere introdotto – nel settembre del 2012 – e in cui si spiegava per bene quali ne fossero i reali obiettivi.
Già all’epoca, d’altronde, un ulteriore specchietto per le allodole lo aggiunsero i media, cominciando a chiamare il MES “Fondo salva Stati”. Dalla dicitura tecnica, rassicurante in quanto tecnica, alla formuletta giornalistica, accattivante in quanto più discorsiva. Un “secondo nome” che riassumeva in modo arbitrario le finalità del Fondo e le trasformava in una lode permanente e indiscutibile. Voilà: a forza di essere ripetuta, la nuova denominazione finì ben presto con il prevalere sulla prima. Era più ricorrente, era più facile da memorizzare. E quindi era più efficace. La manipolazione iniziale si era ampliata: che bello, se l’obiettivo è salvare gli Stati.
Ricordato tutto questo, tanto per ricordarci quanto si debba stare con le antenne alzate quando ci si addentra in questi ambiti (che tutto sono tranne che asettici e scientifici), veniamo alla stretta attualità.
MES: la discussione/polverone
Il dibattito dovrebbe concentrarsi sulla natura del MES, sia quella originaria, sia le modifiche che si vorrebbero introdurre.
Detto molto in breve, e quindi con un certo grado di approssimazione, l’impianto generale è questo: se un singolo Stato europeo rischia il default, ossia l’insolvenza nei confronti dei creditori, può richiedere dei finanziamenti straordinari, che però saranno subordinati a degli impegni specifici di riorganizzazione interna. Traduzione ancora più immediata: se vuoi i soldi devi metterti in riga. Ossia, seguire scrupolosamente i diktat di chi quei soldi te li concede.
In pratica, la nazione traballante perde ulteriore sovranità e si sottomette ai modelli decisi dai “salvatori” esterni: i quali – c’è da dirlo? – utilizzano la situazione di debolezza per imporre le proprie logiche. Vedi alla voce “Fondo Monetario Internazionale”, che usa da sempre questo tipo di aut-aut per mettere a segno dei pesantissimi condizionamenti di natura politica attraverso la leva economica. Vedi, qui in Europa, l’introduzione dei capziosi parametri di Maastricht. Vedi, qui in Italia, le ripetute “riforme” che hanno falcidiato i diritti sindacali dei lavoratori dipendenti, che hanno cambiato in maniera fortemente peggiorativa il sistema pensionistico, e via ridimensionando i preesistenti sistemi di welfare.
Questo è lo scenario, nonché lo scempio incombente su un Paese come il nostro che viaggia da tempo sul filo del dissesto (anche se poi ci sarebbe molto da aggiungere, visto che ormai da anni il deficit interno è dovuto agli interessi sui debiti e non al prevalere delle spese sulle entrate), e di questo bisognerebbe ragionare. Con la massima chiarezza e con la massima assiduità. In Parlamento e sui media.
Viceversa, e come al solito, tende a prevalere il battibecco tra i diversi soggetti coinvolti. Che sono innanzitutto, almeno in questa fase, il presidente del Consiglio, il M5S e la Lega. Gran parte della controversia si impernia su chi sapesse delle innovazioni alle quali si sta andando incontro, e se le avesse avallate oppure no, e da quando.
Di Maio: no a «una riforma che stritola l’Italia»
Una buona sintesi, al riguardo, è quella apparsa ieri sul Corriere della Sera, a margine dell’articolo di Lorenzo Salvia. Punto uno: “Le condizioni che si applicano ai salvataggi sono state oggetto di discussione all’Eurogruppo del giugno scorso. Sono state valutate modifiche, volute da francesi e tedeschi, e ritenute penalizzanti per il sistema italiano, a cui il premier Giuseppe Conte, allora alla guida del governo gialloverde, avrebbe dato il proprio assenso informale”.
Punto due: “La Lega, che a suo tempo aveva messo in guardia il premier, ha sollevato la polemica. Il presidente del Consiglio ha replicato di non aver firmato nulla. Il M5S ha chiesto un vertice di maggioranza. Il ministro dell’Economia Gualtieri si è detto disponibile a riferire in Aula”.
Sempre sul CdS di ieri, è stata pubblicata anche un’ampia intervista a Luigi Di Maio, che sulla questione ha chiesto un vertice di maggioranza, già in programma per domani. Il “capo politico” del MoVimento ha detto un paio di cose che sarà bene tenere a mente, in vista degli sviluppi alle porte: «In Europa siamo stati abituati a colpi bassi in passato, che non abbiamo più intenzione di subire. (…) Conte non ha firmato nulla e questo non è un vertice contro di lui, anzi lo sosteniamo. Ma è giusto fare il punto. Una riforma del Mes che stritola l’Italia non è fattibile».
Sia come sia, la resa dei conti si avvicina. L’esame ufficiale è previsto per dicembre: e lì si vedrà chi farà muro e chi invece si scanserà, arrampicandosi sugli specchi delle più varie motivazioni. Alias scuse. Alias alibi.