Migranti, il piano Piantedosi fa acqua da tutte le parti
Per il Ministro dell’Interno, chi arriva via nave dev’essere preso in carico dal Paese di cui il natante batte bandiera: ma è impossibile senza accordi bilaterali (o con Bruxelles)
Le cosiddette “navi umanitarie” tornate a far capolino al largo delle coste siciliane hanno riportato in primo piano la questione migranti. Rispetto alla quale, anche in considerazione del conseguente braccio di ferro internazionale, il Governo Meloni ha reso nota la strategia elaborata dal neo-Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Che però, per usare un sottile eufemismo, lascia estremamente perplessi sotto vari punti di vista.
Il piano Piantedosi sui migranti
Fare accordi con i Paesi d’origine dei migranti «per governare i flussi» e considerare ogni natante come un’estensione territoriale dello Stato di cui batte bandiera. Sono questi, scrive Il Giornale, i capisaldi del piano Piantedosi per contrastare gli sbarchi irregolari nel Belpaese. Insieme al principio per cui i profughi dovrebbero chiedere asilo direttamente a bordo delle imbarcazioni.
Tutto questo non comporterebbe comunque lo stop ai soccorsi italiani in mare. Nel mirino del titolare del Viminale, infatti, ci sono “solo” le navi private delle Ong, alle quali verrà vietata la sosta nelle acque territoriali nostrane. Come ha cinguettato il Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, co-firmatario del provvedimento assieme allo stesso Piantedosi e al Ministro della Difesa Guido Crosetto.
Con le nuove linee guida, per fare un esempio pratico, la gestione delle persone raccolte dalla Humanity 1, che batte bandiera tedesca, spetterebbe alla Germania. L’Italia, al massimo, si farebbe carico dei soggetti fragili (come minori e donne incinte) e di quanti si trovano in condizione di oggettiva emergenza sanitaria.
Una strategia utopistica
Tuttavia, queste direttive sono fortemente utopistiche. Per esempio, perché i comandanti degli scafi appartenenti a Organizzazioni non governative si rifiutano di identificare gli stranieri che imbarcano. Ma soprattutto perché, come ricorda Il Riformista, la normativa che regola la presentazione delle domande di protezione internazionale è il Regolamento di Dublino III. Che stabilisce che lo Stato Ue competente a esaminare le richieste di asilo è quello in cui i naufraghi mettono piede per la prima volta. Nessun criterio fa riferimento alla Nazione di cui batte bandiera un’imbarcazione soccorritrice.
La Convenzione irlandese sarà inefficiente quanto si vuole – e a Bruxelles ne sono perfettamente consapevoli. Ma, finché non si riuscirà a riformarla, resta in vigore. E dunque l’unico, flebilissimo appiglio dell’ex Prefetto di Roma riguarda la possibilità di accordi bilaterali con Paesi “volenterosi”, eventualmente anche per ripartire le domande di protezione internazionale. Visti i precedenti di euro-solidarietà, tanti auguri.
I migranti sono persone in carne e ossa
Fin qui gli aspetti tecnico-giuridici, utili per capire l’(in)efficacia della misura viminalizia: a monte, però, c’è qualcosa di molto più importante. Spesso, infatti, si tende a “dimenticare” che i migranti non sono numeri o entità astratte, bensì esseri umani in carne e ossa. Con le loro vite, le loro storie, sovente i loro drammi. E che vengano usati come pedine in uno squallido gioco di potere (al netto degli ignobili interessi dei trafficanti) è semplicemente vergognoso.
Poi, magari, il protocollo di Piantedosi finirà per essere modificato come si prospetta per il Decreto anti-rave party – che ha lo stesso autore. Ma intanto, visto il tema in oggetto, c’è davvero da stupirsi se… fa acqua da tutte le parti?