Milano e non solo. Edilizia speculativa, con la scusa dei nuovi stadi di calcio
Inchiesta del Fatto Quotidiano: terreni destinati “ad attività sportive” in procinto di essere ceduti a società che mirano solo a espandere i profitti
A Roma se ne parla da anni. A Torino la Juve il suo nuovo stadio se l’è già fatto da un pezzo e lo usa stabilmente dalla stagione 2011-12. A Milano sono, o sembrano, in piena accelerazione.
Il Fatto Quotidiano di oggi apre a caratteri cubitali con un approfondimento su quest’ultimo caso. Titolo “Stadio abbuffata: terreni pubblici e guadagni privati”. Sottotitolo (tenetelo a mente perché poi ci torneremo) “250mila mq destinati ad attività sportive diventano edificabili per Milan e Inter”.
Già. Le due squadre del capoluogo lombardo che mettono da parte la storica rivalità e ragionano insieme del nuovo impianto che dovrebbe sostituire il glorioso San Siro, alias Giuseppe Meazza. Di quella “storica rivalità”, d’altronde, c’è da chiedersi quanto interessi – se non come fattore di marketing – agli attuali proprietari dell’una e dell’altra società: lo statunitense Elliott per i rossoneri e il cinese Zhang per i nerazzurri. Elliott gestisce dei fondi di investimento ad alta vocazione speculativa, Zhang significa Suning Holding Group, che è un arcipelago di imprese eterogenee e operanti in settori diversi, dall’immobiliare alle vendite al dettaglio e a molto altro che non è sempre agevole individuare.
Yes: le vie del profitto sono mutevoli e chi ne ha la possibilità non esita a cambiare direzione, se gli conviene.
C’era una volta il calcio (sano)
Il punto è proprio questo. Si continua a definirlo sport ma ormai è innanzitutto business. All’origine era roba da appassionati, le cui implicazioni economiche rimanevano collaterali: una sorta di festa popolare che riversava nelle sfide calcistiche il senso di appartenenza a una comunità locale. Poi ha cominciato a modificarsi in peggio. L’importante era vincere, o almeno andarci vicino, e il legame con il territorio e con la relativa popolazione si è andato attenuando.
Tuttavia, per molto tempo ancora, una serie di limiti sono sopravvissuti: l’aspettativa generale era che il presidente fosse anch’egli un tifoso e il cambio di casacca, specie tra le squadre della stessa città o comunque segnate da un antagonismo viscerale, era praticamente impensabile.
Negli ultimi decenni, invece, questo rapporto si è via via sbilanciato a favore dei quattrini. E oggi il rovesciamento è pressoché completo: lo “sport” si è trasformato in uno spettacolo “a base atletica”. Che dello sport vero e proprio conserva solo le apparenze, ossia le regole della competizione. Regole che peraltro non si esita a cambiare al solo scopo di rendere il tutto più avvincente.
I tifosi, a loro volta, sono sempre di più solo un pubblico pagante. Che avalla qualsiasi stravolgimento pur di non rinunciare al suo trastullo preferito. Sperando di gratificarsi con l’ebbrezza della vittoria o, almeno, di riempirsi la vita con le emozioni delle imprese altrui. E con le relative, interminabili, inconcludenti discussioni su ciò che è stato, su ciò che non è stato, su ciò che avrebbe potuto essere.
Il calcio a 9 (o dodici) zeri
Torniamo all’articolo-inchiesta del Fatto Quotidiano, al quale ovviamente rimandiamo per una lettura completa.
All’interno di un paragrafo il cui titolo è già inequivocabile, “Macché sport, largo ai grattacieli”, si legge tra l’altro: “se ristrutturi il glorioso Meazza ottieni soltanto uno stadio rinnovato. Se invece lo abbatti e lo edifichi nuovo, grazie alla legge sugli stadi puoi costruire un sacco di roba attorno che con gli stadi non c’entra nulla, ma che fa incassare una montagna di soldi. Ecco dunque i nuovi progetti, che permettono di realizzare il vero affare, che non è lo stadio: 180 mila metri quadrati di spazi commerciali, 66 mila di uffici, 15 mila di hotel, 13 mila per intrattenimento, 5 mila di spazio fitness, 4 mila di centro congressi.
Interesse pubblico? Non esattamente… Anche perché è complicato definire d’interesse pubblico un’operazione immobiliare privata su terreni pubblici dopo aver abbattuto uno stadio pubblico: sia i terreni sia il Meazza sono infatti proprietà comunale.”
Ci siamo: la puntualizzazione sul significato delle parole diventa determinante. Se certe aree pubbliche sono destinate “ad attività sportive” deve essere chiaro e indiscutibile che per sport non si intende né il calcio iper professionistico di oggi, né qualsiasi altro “spettacolo a base atletica”. Lo sport autentico è quello che si pratica in prima persona. E a nessuna pubblica amministrazione deve essere consentito di giocare sull’equivoco: se è business, si utilizzino per gli stadi e affini le zone industriali o comunque a destinazione economica. Se è sport, si riempiano le aree a ciò preposte di impianti, gratuiti o semi gratuiti, al servizio dei cittadini.