Milarepa, una gemma che viene da lontano
Milarepa, figura sapienziale del Tibet dell’XI secolo, rappresenta l’immensa, sconfinata, tradizione dell’Oriente
Milarepa, figura sapienziale del Tibet dell’XI secolo, rappresenta l’immensa, sconfinata, tradizione dell’Oriente, da una posizione non di secondo piano.
Ciò che rende difficile, per noi europei, rapportarsi al pensiero, alla religione, alla letteratura dell’Oriente è che essi, considerando India Cina Giappone e culture limitrofe, sono almeno altrettanto vasti della cultura occidentale, nei suoi circa ventotto secoli di storia e tradizione.
Esiste un ulteriore ostacolo ed è questo. Nella tradizione europea siamo immersi fin da bambini, grazie alla scuola e alla cultura diffusa. Per cui, se una persona che ha fatto il liceo decide di leggere “Candido” di Voltaire o “I Promessi sposi” di Manzoni, non dovrebbe impiegare molto a venire a capo della faccenda. Quanto meno in termini di godibilità e comprensione immediata.
Una torbida nebbia
Non è la stessa cosa per l’Oriente. Le cui tradizioni hanno radici in un mondo molto lontano dal nostro. Inevitabile far cominciare tutto dall’antichissima India. Qui due testi ci vengono in soccorso, entrambi di Roberto Calasso. Si tratta di “Ka” (1996, Adelphi) e di “L’ardore” (2010, Adelphi). Ambedue gettano luce sull’antico pantheon indiano, sul politeismo indù, permettendoci di capire come esso non sia lontano dal culto degli dèi vigente in Grecia e a Roma. Nemmeno dal punto di vista delle funzioni rituali e liturgiche.
Poi si apre il capitolo relativo al buddhismo. Ma un aspetto non secondario della cultura contemporanea, rende il contatto con questa tradizione capitale della storia dell’umanità ancora più complesso. Ossia che il buddhismo è diventato un articolo di fede a buon mercato, per molti occidentali che non sanno dove sbattere la testa. Chi ha un po’ di comprensione per i fatti di natura spirituale, sa benissimo che non c’è niente di peggio che le sette, di qualunque natura esse siano.
Gente che non ha mai sentito parlare della “Bhagavadgītā” – il grande testo sapienziale dell’antica India, collocato al centro ideale del poema denominato “Mahābhārata” – pretende, grazie anche ad approfittatori senza scrupoli, di far cambiare colore al semaforo, recitando una vecchia formula orientale. A questo è ridotto il buddhismo in Occidente. Certo, si potrà replicare che Scientology non è molto meglio delle varie sette del buddhismo occidentale. Ma, appunto, parliamo del livello di manipolazione che le sette aspirano a realizzare sulle menti deboli.
L’importanza della chiarezza
Da questo punto di vista, la lettura della “Vita di Milarepa. I suoi delitti, le sue prove, la sua liberazione” rappresenta un’occasione straordinaria. Di apertura e contatto con l’Oriente autentico. Nato e vissuto assai prima di S. Francesco, S. Tommaso d’Aquino, Dante e Averroè, egli ci introduce in un mondo, quello del buddhismo tibetano, di straordinaria ricchezza. Il testo dell’edizione Adelphi (1971-2007), è rigorosamente curato da Jacques Bacot. Poiché qui siamo di fronte al medesimo problema.
Se una cura filologicamente corretta del testo è importante per i grandi libri della cultura greca e latina, ma anche per quelli della cultura medioevale, rinascimentale e moderna, non è difficile immaginare che questo elemento cresca, in misura esponenziale, per la tradizione orientale. Le grandi case editrici italiane – e Adelphi in modo particolare, diretta da Calasso che, abbiamo detto, è stato un significativo studioso del mondo orientale – offrono qualche garanzia in più.
Un’occasione particolare
Ora, queste brevi considerazioni hanno l’ambizione di restare ai margini di questo grande testo, ancor più di come facciamo di solito. Basti dire che esso condivide, con il buddhismo classico, molto dei suoi presupposti. Detto questo, le ragioni dell’enorme interesse suscitato dalla “Vita di Milarepa” sono, sostanzialmente, due. E ci sembrano enormi.
La prima: l’Oriente come specchio. Un mondo straordinariamente vasto, per quanto concerne la forza, il vigore, la profondità spirituale, è lì di fronte a noi e ci offre la possibilità di riflettere su noi stessi, con strumenti che la globalizzazione neo-liberista e la sua cultura, rappresentata dai social network, ignorano completamente.
La seconda, connessa con la prima è inevitabilmente legata a quel successo popolare, e fuorviante, della cultura orientale, cui prima si accennava. Se Nietzsche, poi Heidegger e Adorno, e altri, hanno mostrato che la cultura occidentale è profondamente implicata con la volontà di potenza, per quanto concerne la cultura orientale, il discorso cambia. La saggezza orientale diffida della volontà di potenza. Il suo gesto fondamentale tende a liberarsi da essa.
Umanesimo universale
Mentre è possibile dire – forse forzando un po’ la mano ai testi, ma con un grado plausibile di veridicità – che al culmine dei sistemi metafisici di Aristotele o di Hegel, di Platone o di Kant, sia ancora l’antico vizio occidentale a fare capolino: la volontà di potenza, appunto. Vizio che, per la “Dialettica dell’illuminismo” di Horkheimer e Adorno, scritta e pubblicata negli anni ’40 del Novecento, era già visibile per l’Ulisse omerico, per non parlare di Achille o di Agamennone.
Viceversa, il rifiuto di questa molla fondamentale dell’agire umano, che è una caratteristica orientale, si è presentata, in Occidente, soltanto alla conclusione della parabola culturale europea, nella cultura filosofica occidentale contemporanea. Quando Heidegger parla di essere, radura, evento, oltrepassamento della metafisica.
Oppure quando Adorno teorizza concetti come l’utopia, la redenzione, il non identico. Allora è possibile dire, in fondo, che essi intendano quella sfera del Semplice, della cui dimensione la cultura orientale è maestra insuperata. La “Vita di Milarepa” in modo particolare.
L’ultima lotta
Si aggiunga, inoltre, che un confronto competitivo tra le tradizioni spirituali dell’Occidente e dell’Oriente, ammesso che in passato abbia mai avuto un senso, poteva sussistere solo quando perduravano tradizioni spirituali forti. Ora che i social network stanno per spazzare ogni residuo di spirito, non resta, ad Occidente e Oriente, che unire le forze.
Proprio su quella breccia di resistenza culturale che, una volta, li vedeva divisi o contrapposti. Se non fosse abbastanza chiaro, non solo rischiamo di distruggere tutta la natura di cui siamo circondati. Ma, nello stesso tempo, lo spirito che ci attraversa e di cui siamo fatti. Nessuno può permettersi questo rischio. Neppure il più convinto assertore dei valori globali e occidentali…