Momento fatale, Stefan Zweig ottant’anni dopo
Zweig fu un grande umanista e raccontò i momenti e le vite che hanno fatto grande la cultura occidentale
Ci sono, nella tradizione europea, esperienze artistiche, estetiche, letterarie che, per la loro qualità e per il loro livello spirituale, risultano impensabili nel momento presente. Da questo punto di vista, il Novecento – al netto di drammi e tragedie incalcolabili – si è espresso, dal punto di vista culturale, con opere di indubbia grandezza. Il caso di Stefan Zweig (1881-1942) è, da questo punto di vista, estremamente significativo.
Ebreo cosmopolita, esule per necessità oltre che per scelta e vocazione, astro della cultura e della letteratura della Mitteleuropa, grande umanista, Zweig si spegneva ottant’anni fa, nel 1942. Morendo suicida insieme alla seconda moglie, nel suo esilio brasiliano.
Un giardino del sogno
Fu, quello della Mitteleuropa, un mondo culturale e artistico ricco, potente, complesso. Dalle pennellate di Klimt, alla musica dodecafonica di Schönberg, alle riflessioni incisive e abissali di Freud e Wittgenstein, alla micidiale satira di Karl Kraus, alle stupende costruzioni narrative di Arthur Schnitzler, Hugo von Hofmannsthal, Joseph Roth, Robert Musil, Hermann Broch, Elias Canetti. Senza dimenticare quei giganti a latere, che furono Rainer Maria Rilke e Franz Kafka.
Certamente si tratta, almeno a nostro modesto avviso, della più bella letteratura novecentesca, in un secolo ricco di grandi esperienze letterarie, come l’italiana, la francese, la tedesca, nonché l’anglo-americana.
Non solo artigiani, dunque, ma maestri del pensiero e della parola. Basta osservare i loro ritratti fotografici. Magri, scarni, asciutti, al pari della leggerezza aerea e sovrana delle loro composizioni. L’apice della sapienza dell’Occidente e dell’Europa, prima del crollo e della fine. Dunque, inevitabilmente, da questo ossessionati. Dal vedere arrivare la fine del loro mondo, della loro grande tradizione di civiltà.
La fine che ha i volti della Prima guerra mondiale, di Hitler, di Stalin, dei milioni di anonimi ebrei gassati nei forni crematori.
Le porte di accesso a quel grande mondo scomparso sono molte e alcune devono essere sempre rievocate. Si può trattare degli aforismi di Kraus, disponibili in italiano con il titolo “Detti e contraddetti” (Adelphi). Dei “Racconti” di Kafka, disponibili in molte edizioni italiane, tra cui ci sembra da preferire quella Mondadori.
Delle sinfonie di Gustav Mahler o della magnifica pittura di Klimt. Oppure dell’autobiografia in tre volumi di Elias Canetti, tradotta in italiano da Adelphi, con i titoli di “La lingua salvata. Storia di una giovinezza”, “Il frutto del fuoco. Storia di una vita (1921-1931)”, “Il gioco degli occhi. Storia di una vita (1931-1937)”. O, per chi ama e studia il pensiero teorico, del “Tractatus logico-philosophicus” (ed. it. Einaudi) di Wittgenstein o di “L’interpretazione dei sogni” (ed. it. Boringhieri) di Freud.
Ma, anche, di “Danubio” (Garzanti) di Claudio Magris. Nonché, per chi ama il connubio di letteratura e cinema, di “Doppio sogno” (Adelphi) di Schnitzler da associare con “Eyes Wide Shut” di Kubrick.
Ore stellari
Per quanto concerne Stefan Zweig, “Momenti fatali. Quattordici miniature storiche” (trad. it. D. Berra, ed. it. Adelphi), uscito postumo nel 1943, è particolarmente meritevole e degno di attenzione e studio. Idealmente stretto tra Thomas Mann e Benedetto Croce, Zweig fu un grande umanista e raccontò spesso i momenti e le vite che hanno fatto grande la cultura occidentale.
Letteralmente si tratta di “ore stellari”, di quei momenti in cui la storia europea ha avuto un sussulto, una svolta particolarmente decisiva e significativa.
Se, come ci è capitato di fare in precedenza, in Thomas Mann si intravede il gesto dell’aquila e in Kafka quello del martin pescatore, in Stefan Zweig emerge la modalità e il fare del cigno. Sottile e profondo, tanto verso la psiche quanto verso la storia, la sua pagina è travolgente per acume, sottigliezza, attenzione agli elementi essenziali.
A dominare, nelle sue miniature storiche, è l’attenzione a quell’elemento dell’universalmente umano che ha dominato nei venticinque secoli di tradizione europea e occidentale, da Sofocle a Fidia, a Cicerone e Orazio, a Pico della Mirandola e Michelangelo, fino a Goethe, Stendhal e alle più recenti esperienze della cultura contemporanea, che pure hanno oltrepassato i confini dell’umanesimo classicamente inteso.
Momento fatale fu, dunque, anche quello in cui, ottant’anni fa, Stefan Zweig si abbandonava alla fine, in Brasile, con la sua seconda moglie, il 23 febbraio 1942. Schiacciato dall’esilio, dall’incombere dei totalitarismi europei aspiranti al dominio mondiale, dalla guerra, forse anche dalle sue tare personali, come spesso accade in questi casi.
Occorre ricordarsene, quando sentiamo inveire contro l’Europa, quando vediamo soffiare il vento dell’intolleranza e della guerra. Ma anche quando ci sentiamo poco rappresentati da una classe dirigente non all’altezza della situazione. Occorre rammentare che l’Europa ha avuto uomini di questo spessore e di questo calibro…