Mondiali femminili, l’ideologia di Infantino e la dura legge del business
Il Presidente FIFA contro le tv, che per i diritti della rassegna in rosa hanno offerto molto meno rispetto a Qatar 2022: perché gli sport maschili (tutti) sono molto più seguiti
Come i meno sanno, il prossimo 20 luglio scatteranno i Mondiali femminili di calcio, assegnati per il 2023 ad Australia e Nuova Zelanda. Intanto è esploso il caso relativo ai diritti televisivi della rassegna, soprattutto perché ad accendere la miccia è stato Gianni Infantino, Presidente della FIFA. Che si è praticamente inventato la singolare accusa di sessismo finanziario, probabilmente dimenticando che l’economia è del tutto sorda alle sirene dell’ideologia.
Infantino attacca le tv sui Mondiali femminili
Non è la prima volta che Gianni Infantino si genuflette al pensiero unico dominante, salvo essere riportato coi piedi per terra da un salutare bagno di realtà. Gli era già capitato nell’ambito di Qatar 2022, che peraltro riecheggia pure nell’occasione contingente, tornando come i “certi amori” di Antonello Venditti dopo giri immensi.
Nello specifico, scrive Sky News, il Nostro ha attaccato le emittenti pubbliche dei principali Stati europei – Inghilterra, Francia, Germania, Italia e Spagna. Colpevoli, aggiunge Rai News, di aver offerto per la copertura dei Mondiali femminili «solo 1-10 milioni di dollari contro i 100-200 proposti per gli uomini».
Il ras del calcio internazionale, come riporta Il Messaggero, ha bollato questa discrepanza come «uno schiaffo» alle giocatrici e a tutte le donne. E ha concluso che, «stando così le cose, il torneo potrebbe non essere visibile nei cinque Paesi in questione».
La dura legge del business
La filippica del dirigente italo-svizzero, però, trascurava due piccoli, insignificanti dettagli: il primo è che nel mondo reale i prezzi li fa il mercato. Il secondo che, con buona pace del politically correct, gli sport maschili (tutti) hanno un’attrattiva molto maggiore di quelli in rosa.
A tal proposito, c’è un interessante precedente che risale al 2016 e riguarda il tennis, in modo particolare il numero uno (allora come ora) Novak Djokovic. Il quale era stato sollecitato su una polemica analoga, innescata dall’ex giocatore sudafricano Raymond Moore, all’epoca direttore del torneo americano di Indian Wells. In merito, come rilevava Sky Sport, il fuoriclasse serbo aveva dichiarato che «è giusto che noi uomini guadagniamo di più, perché siamo più seguiti».
Nole era stato poi costretto a scusarsi per aver osato esprimere la sua opinione ma, come aveva scoperto Il Foglio, i numeri gli davano perfettamente ragione. Ed erano corroborati pure da pareri dal peso specifico notevolissimo, in primis quello dell’ormai ex campionessa belga Justine Henin. La quale, ancora nel 2003, aveva confessato di non guardare i match delle sue colleghe, perché non le piaceva il tennis femminile.
Tanto per dire che, al netto dell’Infantino furioso, ci sono diritti e diritti. E la legge del business è molto più dura di quella del gol.