Monumenti e strade solo se coerenti con antirazzismo. Ecco i nuovi censori
Il Sindaco di Londra ha deciso di creare una task force per vagliare che monumenti e strade siano coerenti con l’adesione ai valori dell’anti razzismo
Monumenti e strade. Aveva quasi fatto sorridere la notizia della stuatua dedicata a Zlatan Ibrahimovic abbattuta a inizio anno a Malmoe, la città natale del fuoriclasse svedese. La sua colpa? Aver acquistato quote societarie dell’Hammarby, il club rivale di Stoccolma. Un fatto di calcio, i soliti teppisti, il mondo senza senso del tifo senza regole.
La caduta di un ‘dio’ del pallone e dell’opera a lui dedicata ha fatto da preludio, anche se le ragioni sono ben diverse, con il rito che invece si sta consumando in questi giorni in tutto il mondo dove ad esser travolti sono icone della storia e non personaggi dello sport più popolare. Al grido di “A morte le statue”, le proteste antirazziste divampate ovunque nel nome di George Floyd, l’afroamericano morto per soffocamento a Minneapolis durante un arresto, hanno ormai preso di mira i monumenti dedicati a personaggi scomodi, discussi o discutibili
Monumenti e strade: è giustizia sommaria
Il fenomeno non è certo nuovo, negli Usa si parla di “cancel culture“, l’idea di far “giustizia sommaria” facendo cadere le statue divampata dopo la strage di Charleston del 2015. Già allora il primo a farne le spese fu il “nostro” Cristoforo Colombo e le statue a lui dedicate in diverse città americane. Ora come allora. Colombo, il grande esploratore ricordato sui libri di storia per la scoperta dell’America, oggi invece passa per un colonizzatore imperialista, sterminatore dei nativi americani. Il tirar giù i monumenti o imbrattarli come sta accadendo negli Stati Uniti, da Minneapolis a Richmond, da Boston a Houston, è solo un ulteriore tassello del fermento antirazzista che si è scatenato in quel paese.
Rimuovere il passato per chiudere il conto
La rimozione dell’odiato passato è un conto che ogni popolo ha dovuto fare nel corso della propria storia. La caduta di regimi e dittatori è stata spesso accompagnata dall’abbattimento di statue e monumenti eretti per propaganda e onnipotenza. Per i sopravvissuti, quelle statue non potevano rappresentare un patrimonio artistico e culturale, ma solo il simbolo di sofferenze e oppressione. Così è stato per la statua di bronzo di Saddam Hussein a Baghdad, tirata giù grazie a un carro armato al termine della guerra in Iraq nell’aprile 2013. O per la statua dell’ex presidente Assad a cui i ribelli siriani appiccarono il fuoco a Damasco nel 2011. E nello stesso anno, la decapitazione della statua di Gheddafi da parte dei ribelli libici. A Kharkiv, nell’est dell’Ucraina, qualche anno fa è stata abbattuta la più grande statua esistente di Lenin.
Non c’è rapporto tra manifestare contro le ingiustizie sociali e la furia iconoclasta
Anni addietro anche quella di Stalin non fece miglior fine nella sua città natale, Gori, in Georgia, all’indomani della guerra con la Russia. Dall’altra sponda del Mediterraneo, in Albania, nel 1991 la gigantesca statua di bronzo del dittatore Enver Hoxha fu abbattuta nella piazza centrale di Tirana da una enorme folla. Storie che hanno in fondo una radice comune, ma può dirsi lo stesso per le statue di Colombo negli Stati Uniti? Cosa lega la furia e la rabbia liberatoria di un popolo oppresso con il revisionismo storico che anima la vandalizzazione di questi giorni? Cosa c’entra il fermento legittimo contro le ingiustizie sociali e razziali con la furia iconoclasta che colpisce anche l’Europa quasi fosse una moda?
La task force per controllare monumenti e strade coerenti con l’antirazzismo
Churchill a Londra, Leopoldo II in Belgio ma gli obiettivi non finiscono più. Siti internet e social media additano statue, busti, targhe da rimuovere. Anche le istituzioni sembrano travolte dallo spirito giustizialista. Il Sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha deciso di creare una task force per vagliare che monumenti e toponomastica siano coerenti con l’adesione ai valori dell’anti razzismo. In Italia, la statua di Montanelli potrebbe non restare un episodio isolato. Su Twitter, sotto bersaglio ci sono la statua di Gabriele D’Annunzio a Trieste, i monumenti dedicati a Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II.
Macron a difesa della storia francese
Il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, in un discorso televisivo ha parlato di una “odiosa, falsa riscrittura del passato: la Repubblica non cancellerà alcuna traccia o nome dalla sua storia. Non dimenticherà nessuna delle sue opere. Non ribalterà alcuna statua”. Il dibattito è aperto. Ma che senso ha prendersela con la nostra memoria, il nostro passato, la nostra storia, sebbene lastricata anche di episodi ben poco positivi. Chiunque tra noi (o quasi) rigetta l’epoca colonialista e fascista, ma non per questo si è mai pensato di mettere al rogo l’architettura fascista, il Museo della Civiltà Romana o il Foro Italico. “I nostri spazi urbani sono luoghi stratificati, dove coesiste il meglio e il peggio di ciò che siamo stati: non possiamo fare a meno delle nostre cicatrici.
Monumenti e strade e la ricetta di Bansky
Le sculture servono a ricordarci chi siamo stati, anche se oggi siamo diversi”, ha ben ricordato Vincenzo Trione, storico dell’arte, intervistato da Fanpage. Bansky, il più famoso street artist al mondo, ha pubblicato sul suo account Instagram un disegno che raffigura la rimozione a Bristol della statua di Edward Colston, un mercante di schiavi del diciassettesimo secolo. E ha proposto che la statua venga rimessa al suo posto e al suo fianco raffigurati in altrettante statue di bronzo i manifestanti mentre la rimuovono. Un piccolo compromesso per documentare la narrazione della storia di un paese, protagonista un tempo del più ardito imperialismo e colonialismo, oggi ispirato a valori e ideali lontani da quel mondo lontano. Quella di Bansky può essere una ricetta?
Se con il calcio siamo partiti, col calcio chiudiamo. Ad Ereken, siamo in Belgio, a nord di Anversa, è stata lanciata una petizione per erigere una statua in onore del difensore del Tottenham, Toby Alderweireld, originario di questo piccolo paese. I suoi concittadini non ne vogliono sapere, anche qui, della statua di Leopoldo II. Togliamo quella e tiriamone su una nuova per un illustre figlio di questa terra che non ha dimenticato neppure durante l’emergenza coronavirus, donando tablet agli ospedali della zona. “Pensavo fosse uno scherzo – ha dichiarato Alderweireld al “The Guardian” – sono onorato, ma non firmerò la petizione”.
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