Negazionisti: dal clima al Covid le ragioni di un dubbio istillato
L’effetto serra, il buco dell’ozono, le piogge acide, i danni da fumo. Poi il Covid e ora al cambiamento climatico: storia dei negazionisti
Un metodo ascientifico di comunicazione con il quale le lobby dell’energia ma prima ancora quelle del tabacco e di altri prodotti industriali, hanno potuto rallentare il blocco delle loro speculazioni a danno della società e dell’umanità intera.
Dove nasce il negazionismo
Il negazionismo è un metodo ascientifico ma con solide basi di strategia comunicazionale, che viene utilizzato ogni volta dalle compagnie di mercato interessate in un certo settore produttivo, per ritardare, e se possibile, evitare che vengano presi provvedimenti capaci di ridurre il loro potere di sfruttamento di un prodotto o di una prassi, in modo da poter continuare ad accumulare profitti a discapito della salute e del benessere della società e raggiungere i loro obbiettivi economici e di predominio.
Negli anni ‘60 i primi negazionisti sull’effetto serra
Il negazionismo climatico per esempio, era già conosciuto negli Stati Uniti degli anni ’60, quando alcuni studi, mostrarono al mondo il risultato dell’effetto serra e le sue conseguenze catastrofiche sulle calotte polari, qualora non fosse stato fermato in tempo.
Le compagnie petrolifere, che erano le prime indiziate per quel possibile disastro, cominciarono a condurre ricerche interne e segrete commissionandole a illustri scienziati, senza però mai pubblicarle o renderle accessibili al pubblico. Ora che sono state desegretate è emerso che venne dimostrato, già nel 1977, che esisteva un legame tra i combustibili fossili e l’aumento di CO2 in atmosfera. Da lì nasce il negazionismo che ancora oggi fa danni nella comunicazione contro l’ambientalismo.
Infatti per fermare le voci preoccupanti di quanti avevano saputo di quegli effetti possibili, le aziende inquinanti costituirono una lobby (che ha funzionato dal 1989) con l’intento di sviare il discorso per poter continuare indisturbate nella loro attività. Sostanzialmente fregandosene degli esiti dell’umanità e trattando come allarmisti chiunque denunciasse gli effetti della CO2.
I metodi del negazionismo: sviare il discorso, utilizzare il dubbio
Venne assunto un tale E. Bruce Harrison, esperto in relazioni pubbliche, che a tutti gli effetti può essere individuato come uno dei padri del negazionismo climatico, ma non certo l‘unico. La sua strategia si basò sul “riformulare la questione”, ossia sviare il pubblico rispetto al problema.
Pose il problema della eventualità incerta dell’effetto serra invece che una conseguenza certa. Si parlò di complotti, si organizzarono dibattiti e interviste in cui si mettevano in dubbio le tesi scientifiche, dicendo che il discorso non era chiuso. Il dubbio fa parte del discorso scientifico. È la base della ricerca stessa.
Il problema è che nel formulare dubbi bisogna proporre le tesi che questo scetticismo promuove, ma in chiave scientifica e su riviste accreditate, non in tv. Però allora come ora i negazionisti si guardarono bene dallo svolgere le loro tesi in ambito scientifico: nelle sedi universitarie o sulle riviste specializzate ma utilizzarono solo canali mediatici: giornali e tv. Ossia valore scientifico pari a zero. Tuttavia era sufficiente per disorientare il pubblico e i giornalisti, facendo leva su alcuni nomi ad effetto e sulla pratica del dubbio, se non proprio della menzogna.
Il metodo era stato già testato con altre campagne negazioniste che avevano ritardato le chiusure delle attività dannose
Il fenomeno non era nuovo. La stessa strategia era stata utilizzata con successo già altre volte in passato. Per esempio venne adottata dalle compagnie produttrici di sigarette per ritardare le leggi contro il fumo. Era provata la correlazione tra fumo di sigarette e cancro ai polmoni.
Nel 1953 venne pubblicato uno studio che dimostrava questa correlazione. Le quattro maggiori compagnie di tabacco finanziarono (con 54milioni di dollari) due scienziati per organizzare una controinformazione comunicativa.
Gli scienziati erano Frederick Seitz e Frederick Singer. Il primo era uno dei pionieri della fisica dello stato solido. Il secondo un austriaco naturalizzato americano, anche lui fisico. Tutti e due, una volta ritiratisi dall’attività accademica, sono diventati gli “scienziati” di punta nella negazione dell’origine antropica del riscaldamento globale. Pur non essendo climatologi. Ma la parola scienziato era sufficiente per convincere il pubblico della genuinità del loro scetticismo (finanziato).
Il negazionismo sugli effetti dannosi del fumo
Si trattava di seminare il dubbio sulle affermazioni preoccupanti della scienza medica riguardo al fumo. Il fumo fa male? Si ma allora quello che mangiamo? L’aria che respiriamo? La fabbrica dove lavoriamo? Bisognava insomma distogliere l’attenzione dal fumo delle sigarette, spostandola su altre possibili cause, in modo da non addossare la colpa tutta solo a chi produce sigarette.
Convinsero i mass media americani che sarebbe stato giusto ascoltare tutte le campane che esprimevano pareri sui pericoli del fumo. Un appello alla democrazia che fece molto effetto sul pubblico statunitense. Solo che la scienza non procede per votazioni democratiche. Non è che hanno ragione quelli che sono di più a pensarla in un certo modo, o sono più convincenti, come penserebbe il generale Vannacci.
Tutto questo non ha niente di “normale”, come potete vedere ma piuttosto di fraudolento. Insomma hanno ragione solo quelli che dimostrano delle basi scientifiche solide a sostegno delle loro tesi. È un concetto ben diverso.
Eppure riuscirono a spargere il dubbio. Interviste, articoli, servizi in tv. Tutte falsità o ingenuità che servivano a fare confusione. Anche i tribunali ne vennero influenzati. Poi quando arrivarono i dati scientifici sui danni del fumo passivo le cose risultarono più chiare. Non era più la volontà della vittima. Chi stava vicino a un fumatore poteva ammalarsi.
Mentre il fumatore era consapevole e poteva decidere di suicidarsi, chi sta vicino al fumatore no, non è informato, non l’ha scelto. Da lì cominciarono le pubblicità negative sui pacchetti di sigarette. Mentre fino ad allora si poteva promuovere la loro vendita in maniera palese (sulle auto di F1 o legandosi a marche di abbigliamento Marlboro Classic) o anche occulta (nel cinema per esempio).
Parole d’ordine: Negare, distogliere, nascondere la verità.
Un altro campo in cui venne adottata questa strategia, per rallentarne l’effetto di abolizione, fu quello del DDT. Era un insetticida che veniva usato contro parassiti e zanzare, per debellare la malaria. Ma provocava altre malattie. Si scoprì che una minima quantità di zanzare che non morivano per il DDT, ne uscivano immuni, riproducendosi ed essendo inattaccabili dal veleno stesso. I produttori si rivolsero ai soliti Seitz e Singer per mettere in atto una campagna tesa a non mettere fuori legge il DDT. Riuscirono a ritardarne l’abolizione per 15 anni.
Poi venne il problema delle piogge acide nel decennio 60-70. Le piogge cariche di residui di zolfo bruciavano le foreste del Nord America e della Scandinavia. Da dove veniva lo zolfo? Veniva dagli impianti di produzione di carburanti. Negli idrocarburi c’è sempre una quantità di zolfo impuro e quello zolfo finiva nell’atmosfera e poi nella pioggia.
Ancora Seitz e Singer orchestrarono la solita campagna di dubbi. Non siamo sicuri, bisogna fare altre prove, etc. Così passarono altri 20 anni prima che si potesse eliminare lo zolfo dagli impianti, un’attività che aveva dei costi notevoli. Avevano guadagnato però 20 anni di profitti.
Il buco dell’ozono? Il tentativo negazionista qui s’infrange
La lacerazione dello strato di ozono, ovvero il cosiddetto buco dell’ozono, diventa un altro obbiettivo dei negazionisti. Negli anni ’60 abbiamo cominciato a vedere che la pellicola di ozono che avvolge l’atmosfera terrestre si andava lacerando in alcune parti.
L’ozono è un ossigeno con tre atomi che ha la proprietà di schermare la terra dai raggi ultravioletti. Rompendosi sopra alcune zone della Terra si è visto che la mancanza di questa protezione faceva aumentare il cancro alla pelle. Alcuni animali come gli anfibi che hanno una pelle più delicata cominciavano a estinguersi.
Successe soprattutto in Australia. La colpa era dei CFC clorofluorocarburi. Un elemento che sta nelle bombolette spray e serve a emettere il prodotto in forma gassosa, liberandosi però sale in cielo e il cloro va a sposarsi con uno degli atomi di ossigeno dell’ozono, che si trasforma a sua volta in ossigeno. Questo rompe il velo di protezione.
La scoperta è da attribuire a tre scienziati. Nel 1995, Sherwood Rowland Mario Molina e Paul Crutzen vinsero il Nobel per la Chimica «per il loro lavoro nel campo della chimica dell’atmosfera, in particolare per quanto riguarda la formazione e la decomposizione dell’ozono». Era il CFC che creava il buco dell’ozono. Subito Seitz e Singer sollevarono dubbi. Il dibattito non è chiuso, dissero. Invece era chiuso, la ricerca sul CFC tagliava la testa al toro. Ma ci sono voluti 15 anni di battaglie sui media. Adesso che non ci sono più i CFC, tutte le lacerazioni dell’ozono si stanno richiudendo e nel 2040 non ce ne saranno più, tranne quello sopra l’Antartide, che si richiuderà nel 2060. La battaglia contro i negazionisti è servita a risolvere un problema e invertire la tendenza. È la dimostrazione che si può fare e la si può applicare ad altre battaglie.
Combustibili fossili e clima: lo sapevamo già
Che le fonti energetiche di origine fossile producano effetti negativi sulla presenza di CO2 nell’atmosfera con conseguente crescita in termini esponenziali del riscaldamento climatico, in un arco di tempo troppo limitato, lo sappiamo da molto tempo.
Ci sono studi che risalgono agli inizi del secolo scorso. Ma già nel 1965 gli americani ne erano stati informati. Chi sapeva benissimo gli effetti degli idrocarburi sulla presenza di CO2 nello spazio erano i responsabili della produzione di carburanti.
Exxon Mobile e Shell in particolare. Avevano commissionato uno studio negli anni tra i 70 e gli 80. Si chiedevano che succede se continuiamo a produrre idrocarburi? Nel 1982 gli scienziati che effettuarono la ricerca avevano previsto che l’anidride carbonica in atmosfera, intorno al 2020, sarebbe arrivata a 420 parti per milione. Esattamente dov’è arrivata. Allora venne tenuto segreto.
Il 99% degli scienziati è concorde sul riscaldamento globale
Ora, per fortuna, su questo argomento la conoscenza scientifica è arrivata ad un livello di consapevolezza, certezza e trasparenza pressoché totale. Uno studio pubblicato nel 2021 ha analizzato più di 88 mila articoli scientifici dimostrando che il 99% degli scienziati concorda che il cambiamento climatico esiste e sia stato causato dalle attività umane e in particolare, ad esempio, dalla combustione delle fonti fossili, promossa e portata avanti da aziende altamente inquinanti come Exxon o Shell. Nonostante ciò vediamo che esiste una consistente parte di popolazione, non di scienziati, che ritiene che il cambiamento climatico non sia un problema urgente. Anche perché altrimenti bisognerebbe mettere in discussione molte delle proprie abitudini e scelte di vita che, in qualche caso non si vogliono mettere in discussione (Stati Uniti) o non si possono mettere in discussione (Cina) pena una catastrofe economica o un forte rallentamento della propria economia.
La maggior parte di questi dubbi provengono da abitanti dei Paesi altamente vulnerabili alle conseguenze del cambiamento climatico, come Yemen, Bangladesh, Cambogia, Laos e Haiti.
Vorrebbero allentare un cambiamento dello stile di vita dell’umanità
Le strategie dei negazionisti mirano a screditare la ricerca scientifica. Per farlo usano queste tecniche. Si inventano falsi esperti. Si usa una persona o una istituzione non qualificata come fonte attendibile.
Per esempio la lettera dei 1200 scienziati che negano l’esistenza del cambiamento climatico. Nessuno di loro è un climatologo. Possono ingannare il pubblico ma non la scienza. Perché non pubblicano i loro dati sulle riviste accreditate? Dove vengono irrimediabilmente sempre smentiti? Se le loro tesi hanno una qualche validità è quello il campo in cui mostrarle, non nei talk show. Altrimenti siamo autorizzati a pensare male.
Si portano avanti argomenti che non seguono un filo logico: «Il clima sta cambiando perché è sempre cambiato». Certo ma qui si gioca sulla con fusione tra clima e meteo.
Il clima si misura in secoli o in ere, il tempo in ore o giorni. Giudicare il clima in base al tempo è un errore che può fare un bambino o un ignorante, non un climatologo. Il clima può cambiare in migliaia di anni, per via del Sole, delle correnti marine, dell’inclinazione dell’asse terrestre, per l’orbita terrestre o per la disposizione dei continenti ma questo avviene in epoche lunghissime.
Il clima sta cambiando in maniera troppo repentina, questo è quello che preoccupa. Non che cambi, ma che tutto avvenga in un tempo troppo breve. Negli anni 60 i giorni di calore eccezionale potevano essere 10, nel 2000 erano diventati 20, oggi sono trenta i giorni in cui si superano abbondantemente i 32°. Non è un cambiamento che lascia tranquilli. La fusione dei ghiacciai sta correndo troppo. Tutta quest’acqua dolce negli oceani può cambiare il corso delle correnti marine per la desalinizzazione del mare. La Corrente del Golfo già è rallentata. La conseguenza è un cambiamento repentino del clima nelle coste americane ed europee e un innalzamento del livello degli oceani, con il risultato che possiamo immaginare per isolotti come le Maldive o per città come Venezia, Giakarta, New York, Ferrara o la stessa Pianura Padana.
Si scelgono le notizie che servono e si tralasciano quelle che smentiscono
Un’altra manovra da negazionista del clima che cambia troppo alla svelta è quello di selezionare la notizia scegliendo quelle utili a supportare la loro teoria e ignorando le altre. Si chiama Cherry picking, letteralmente Selezionare le ciliegie.
Per esempio quando dicono che non esiste il riscaldamento globale perché oggi ha fatto freddo. Se ci fate caso ci sono giornali che ancora fanno di questi titoli, anche se sono stati più volte smascherati in questa stupida presa di posizione. Non conta nulla se un giorno fa freddo.
Le analisi si fanno su medie di secoli non sul meteo di un giorno. Poi è dimostrato che siccità e inondazioni sono frutto dello stesso fenomeno ma tanto è inutile, quando non si vuole capire. Sul Mediterraneo stanno arrivando gli uragani e la temperatura del mare sta facilitando la presenza di una fauna ittica tropicale. Sta succedendo un terremoto e c’è ancora chi non lo vuole vedere.
L’ultima tecnica è quella della cospirazione del complotto, come se il cambiamento climatico fosse frutto di un piano malvagio ordito da qualche miliardario folle che vuole suicidare l’umanità intera, perché?
La stessa cosa era accaduta con le interviste del Nobel Luc Montagnier, biologo e virologo francese, quando sosteneva che il virus del Covid era stato ingegnerizzato ed era colpa del 5G! Cercava di addossare ai cattivi cinesi la voglia di sterminare l’umanità. E lo avrebbero fatto cominciando a sterminare sé stessi?
Tra l’altro recentemente è stato pubblicato su Scientific American lo studio che dimostra che il Covid ha avuto origini naturali. Il discorso è chiuso.
Il fatto che avesse avuto il Nobel per la medicina, per aver scoperto il virus dell’HIV, non faceva di Montagnier l’esperto infallibile in questa materia, giacché le sue affermazioni non vennero mai pubblicate nelle riviste di scienza e vennero invece ampiamente contestate dalla comunità scientifica tutta, tra cui decine di altri premi Nobel. Montagnier venne accusato di aver sfruttato il proprio riconoscimento accademico per diffondere messaggi errati dal punto di vista scientifico.
Nonostante tutto ancora dobbiamo leggere e sentire chi vorrebbe avanzare dubbi
Quindi nonostante 50 anni di studi univoci. Nonostante che il 99% degli articoli scientifici pubblicati sul cambiamento climatico concordino sul ruolo responsabile della CO2, nonostante tutto questo, c’è ancora chi dice, come segnala Mario Tozzi: «eh ma la Groenlandia era verde, mia nonna dice che faceva caldo anche nel dopoguerra, il dibattito è aperto, ieri è grandinato».
Commenti in libertà, ma destituiti di validità scientifica. Se ne facciano una ragione e soprattutto chi scrive ed ha una responsabilità nel comunicare, si faccia un esame di coscienza, prima di prestare il fianco a baggianate utili solo a chi guadagna sulle disgrazie del mondo.