Negazionisti e lager, è tempo di moderare (tutti) le parole
L’appello di Ruth Dureghello, presidentessa della Comunità ebraica di Roma, a politici e media: “Certi termini usateli in modo corretto, per non svilire la Storia”. Ineccepibile
In questi giorni caldi sotto vari punti di vista, il dibattito pubblico ha rispolverato termini legati a un oscuro passato, come negazionisti e lager. Parole strappate al contesto originario da cui sono scaturite – quello drammatico della Shoah – per essere ammantate di un’aura meno tragica e inquietante. E, tuttavia, questa operazione non ha tenuto conto che il linguaggio è un’arma affilata, da usare con cautela. Perché è notoriamente in grado di uccidere più della spada.
Lo ha ricordato urbi et orbi Ruth Dureghello, la presidentessa della Comunità ebraica di Roma. Che ha lanciato un appello a politici e media affinché adoperino certi concetti nell’accezione che è loro propria, evitando così di svilire la Storia.
Ineccepibile. E all’elenco si potrebbero aggiungere anche termini quali fascista e antifascista, sempre più spesso utilizzati altrettanto a sproposito. La reductio ad Hitlerum, infatti, sarà pure efficace sul piano pratico – non certo su quello argomentativo -, ma di certo (s)qualifica quanti vi ricorrono. E, guarda caso, è una strategia retorica molto simile a quella adottata nelle discussioni sui temi di più stretta attualità.
Negazionisti e lager
Il caso paradigmatico riguarda il coronavirus, a proposito del quale la disputa ha probabilmente raggiunto il suo nadir. Si prenda, ad esempio, il convegno tenutosi in Senato a fine luglio, dal titolo “Covid-19 in Italia, tra informazione, scienza e diritti”.
Gli indignati speciali a senso unico e targhe alterne avevano subito bollato l’evento come un ricettacolo di negazionisti. Col risultato paradossale di affibbiare l’epiteto anche a personaggi che col virus hanno avuto direttamente a che fare. Al giornalista Nicola Porro che ne è stato affetto, per esempio. Ma, soprattutto, a quanti lo hanno combattuto in prima linea per mesi – come i dottori Alberto Zangrillo e Matteo Bassetti. Il quale si era infatti detto amareggiato e «schifato dalla macchina del fango», laddove il medico personale del leader di FI Silvio Berlusconi minacciava querele.
Ora, è chiaro che nessuno sano di mente può contestare l’esistenza di una pandemia che ha fatto quasi un milione di morti in tutto il mondo. Però si può criticare – fino a prova contraria – la gestione politica dell’emergenza sanitaria, e anche discettare sull’opportunità che abbia violato alcune libertà costituzionali. Come ha fatto, nell’occasione, il giurista e costituzionalista Michele Ainis.
Ma, ancora a monte, è sbagliato proprio l’accostamento tra una delle più grandi tragedie dell’umanità – l’Olocausto – e fenomeni neppure lontanamente comparabili. Che non includono solo l’epidemia, ma anche dei vaneggiamenti collettivi come i cambiamenti climatici – di origine antropica. E perfino, mutatis mutandis, la questione immigrazione.
L’immigrazione e gli eccessi verbali
Altrettanto sgradevole, infatti, è stato il paragone in cui si è lanciato il Governatore siciliano Nello Musumeci nel corso dell’ormai mitologica diatriba col Viminale. Casus belli era l’ordinanza con cui il Presidente della Sicilia aveva blindato l’isola e imposto lo sgombero degli hotspot per ragioni di tutela della salute pubblica. Compresa quella dei migranti, che erano stati ammassati in tendopoli prive dei minimi requisiti igienico-sanitari. Strutture che il numero uno della Trinacria, per attaccare il Governo rosso-giallo e il Ministero dell’Interno, ha equiparato a dei campi di concentramento.
Ecco, questo è esattamente ciò di cui parlava Ruth Dureghello. La banalizzazione del male, per parafrasare Hannah Arendt, una che Nazismo, negazionisti e lager – quelli veri – li ha purtroppo conosciuti fin troppo bene.
Per questo è il caso che prendiamo tutti un bel respiro e torniamo – tutti – a moderare le parole, restituendole al loro significato originario. Perché la lingua sa essere tagliente e, se magari non uccide, comunque può ferire.
Eppure, basterebbe un po’ di attenzione in più – da parte di tutti. Basterebbe tenere sempre a mente che chi porta nell’anima simili cicatrici non merita di soffrire ulteriormente: soprattutto a causa dell’incuria altrui.