Nessuno dovrebbe più essere lasciato solo: le solitudini di Giulia e Filippo
La vicenda di Giulia e Filippo racconta due solitudini che nessuno ha saputo colmare. Se fossero stati aiutati, oggi non piangeremmo per un ennesimo femminicidio
La vicenda di Giulia e Filippo fa emergere due solitudini che nessuno ha saputo colmare. Se i due ragazzi fossero stati consigliati, aiutati, dagli amici e da uno dei familiari, oggi non piangeremmo per un ennesimo femminicidio. Forse la piccola rivoluzione che dovremmo fare tutti è solo quella di esserci, rendersi disponibili quando qualcuno soffre per la fine di un rapporto.
La storia del femminicidio di Giulia Cecchettin ha colpito l’Italia intera, forse più di altre storie, perché in sé contiene molti degli elementi, spesso inspiegabili o inspiegati, delle ragioni di questo genere di omicidi. Ma prima ancora dell’omicidio in sé, atto efferato, esecrabile, che costerà una condanna severa al suo autore e lascerà una profonda ferita nella famiglia della vittima e anche nella famiglia dell’assassino, ci dovremmo soffermare sulle solitudini dei due ragazzi. Le solitudini che vivono oggi tutti i nostri ragazzi. Perché se è certo che c’è un omicida e una povera ragazza assassinata, ci sono responsabilità di tutti noi nel lasciare queste persone da sole ad affrontare problemi emotivi, affettivi, duri e difficili da superare, da elaborare.
Chi erano i due ragazzi, Giulia Cecchettin e Filippo Turetta
Giulia Cecchettin viveva a Vigonovo, in provincia di Venezia, insieme al padre Gino, alla sorella Elena e al fratello Davide, minorenne. La madre di Giulia, Monica, era deceduta soltanto un anno fa, a 51 anni. Con Filippo Turetta, studiava Ingegneria biomedica all’Università di Padova. La discussione della sua tesi di laurea era prevista per giovedì 16 novembre. L’ex fidanzato sembra che avesse osteggiato molto questa laurea, che avveniva prima della sua, quasi come se non sopportasse l’umiliazione di arrivare secondo in questa deviata gara di affermazione sociale.
La scomparsa e una settimana di ricerche
La storia, per chi ancora non l’avesse presente, provo a riassumerla in pochi fatti. Giulia Cecchettin e Filippo Turetta, entrambi di 22 anni, scompaiono la notte di sabato 11 novembre. Si erano lasciati ad agosto ma erano rimasti (apparentemente) in buoni rapporti. Per giorni non si hanno più notizie. I due giovani si erano dati appuntamento per vedersi e trascorrere la serata insieme, la classica ultima volta. La ragazza era uscita di casa attorno alle 18 ed era stata vista salire a bordo della Fiat Punto nera di Turetta. Sono stati visti l’ultima volta seduti ai tavolini del McDonald all’interno del centro commerciale Nave De Vero a Marghera alle 8 di sera circa.
A posteriori s’è scoperto che la ragazza aveva portato con sé il computer con la tesi di laurea, forse per mostrarla con orgoglio all’ex fidanzato. Mentre lui avrebbe avuto con sé almeno due o tre coltelli, uno dei quali è risultato l’arma del delitto. Il ché lascia pensare a una sorta di premeditazione, come l’avere in tasca circa 300 euro che sarebbero serviti per una possibile fuga. Risultata poi comunque male organizzata.
Il testimone e il mancato soccorso dei carabinieri
Un testimone si accorge della lite tra i due ragazzi e vede l’uomo trascinare la ragazza e prenderla a calci. Sente chiaramente la frase: “Così mi fai male…” pronunciata da Giulia. Chiama i Carabinieri ma la Gazzella non arriva in tempo per salvare Giulia, arriva solo il giorno seguente. Questo disservizio è materia di indagine del magistrato ma parrebbe non vi fosse la disponibilità di pattuglie, impegnate altrove.
Il parcheggio in cui è avvenuta l’aggressione alla ragazza dista solo circa 150 metri dalla casa di Giulia. Qui i Carabinieri hanno trovato “numerose tracce ematiche” e un “coltello da cucina” lungo 21 centimetri. Secondo gli inquirenti, già lì Giulia sarebbe stata accoltellata e bloccata. La Cecchettin è stata ripresa, in un secondo momento, dal sistema di videosorveglianza di uno stabilimento nella zona industriale di Fossò. E nelle immagini la si vede scappare dal suo aggressore “prima di essere raggiunta, scaraventata a terra e nuovamente aggredita” anche con calci.
Quando viene raggiunta e spinta “con forza“, cade violentemente a terra, vicino al marciapiede, “e dopo pochi istanti non dà segno di muoversi”. L’agonia, come si legge sul Corriere della Sera, sarebbe durata 22 minuti circa. Giulia sarebbe morta dissanguata. Alla fine Filippo ha preso il corpo e lo ha caricato in auto. Così è iniziata la fuga. Nella zona di Piancavallo, Turetta si è sbarazzato del corpo della ragazza.
Perché si è arrivati all’epilogo dell’omicidio?
Il corpo di Giulia Cecchettin è stato ritrovato poi nei pressi del lago di Barcis. Il cadavere della 22enne era nascosto da una grande roccia che ne impediva l’individuazione anche dalla carreggiata stradale e coperto con due sacchi neri. Anche questo lascia pensare ad un occultamente studiato e niente affatto causale, frutto di sconforto da parte dell’assassino.
Il magistrato dovrà stabilire se Turetta è sano di mente e se ha agito con premeditazione. Mentre sulla prima considerazione non dovrebbero esserci dubbi, sulla seconda la difesa potrebbe avere qualche possibilità di far valere delle attenuanti. Staremo a vedere. Ma a noi ora interessa maggiormente in che condizione si sono venuti a trovare i due ragazzi e il perché c’è stata questa incapacità, da parte delle famiglie, degli amici, degli insegnanti che li frequentavano, di comprenderli e di aiutarli.
Le frasi di richiesta di aiuto di Giulia alle amiche
Per questo sono illuminanti delle frasi che Giulia aveva inviato a delle amiche. Una richiesta di aiuto su come fosse possibile liberarsi di Filippo senza che lui avesse a soffrirne troppo. La preoccupazione di Giulia era quella di essersi stancata del rapporto e delle lamentele dell’ex, al punto di desiderare che sparisse lui o che potesse sparire lei. Il termine sparire è significativo, come dice lo psicoterapeuta Paolo Crepet: “Si chiama ghosting in termini tecnici, cioè nel senso che c’è la possibilità di chiudere improvvisamente un rapporto. Ma quando c’è una dipendenza emotiva legata a quel rapporto, che a sua volta è legato alla rete, diventa molto complicato, è come una sorta di doppio doppio legame. E questa ragazza lo ha detto nella maniera più chiara, più dolce, più disperata che si possa dire“.
Vorrei che lui sparisse per un periodo
“So che eh… non c’entra che è un fatto un po’ egoistico… però eh… vi devo chiedere un consiglio sulla mia situazione. So che sono un disco rotto e che il problema è sempre lo stesso. Eh mm… però sono arrivata al punto in cui.. mm… non ce la faccio più a stare dietro a Pippo, non lo sopporto più (lo dice con un sorriso amaro, contratto). Cioè vorrei che lui, almeno per un periodo sparisse, perché em… Ho l’impulso comunque di scrivergli perché per me è abitudine ma vorrei che sparisse. Solo che questa cosa a lui non la posso scrivere perché credo che darebbe di matto”
“Mi sento in una situazione in cui vorrei che sparisse, vorrei non avere più contatti con lui, però allo stesso tempo lui mi viene a dire cose che… è super depresso, che ha smesso di mangiare, che passa le giornate a guardare il soffitto, che pensa solo ad ammazzarsi che vorrebbe morire. Non me lo viene a dire per forza, secondo me, come ricatto, però suona molto come ricatto. E mi dice che l’unica luce che vede nelle sue giornate sono le uscite con me o i momenti in cui io gli scrivo. E quindi questa cosa che io vorrei non vederlo più perché comincio a non sopportarlo più… (qui s’incrina la voce di Giulia) mi pesa… e non so come sparire, nel senso, vorrei fortemente sparire dalla sua vita, ma non so come farlo, perché mm… perché mi sento in colpa! Ho troppa paura che possa farsi… male in qualche modo.”
Nessuno che ti dia una mano, che esca con te per parlare
Secondo Crepet “Quella ragazza, con quella telefonata ha voluto lasciarci un messaggio. Quella telefonata contiene tanto, a partire dalla solitudine, un’enorme solitudine. Ecco, quella telefonata è la morte dell’empatia; una telefonata nel vuoto, come se una persona camminnasse da sola in mezzo al deserto“. E ha aggiunto: “Intorno a lei, non c’era nessuno. Nessuno che le abbia detto ti do una mano, non ti far venire i sensi di colpa…”
Come sarebbe possibile dare una mano in questi casi? Basterebbe gettare via il telefono, i social, i video e uscire, parlarsi, confidarsi. Basta un amico o un’amica, un genitore, un parente, un insegnante con cui si abbia confidenza. Una persona che ti ascolti e sappia darti l’unico consiglio giusto in casi del genere. Non lo vedere più. Mai sarebbe meglio, ma diciamo per un tempo lungo, il tempo necessario a non provare più senso di colpa verso le sofferenze dell’altro. Ciascuno dei due ex fidanzati deve trovare altre spalle su cui piangere e confidarsi, le loro sono malate, sono pericolose, perché accanto all’emozione di sentirsi di nuovo uniti, c’è, nascosto, il germe della fine della relazione.
La stanchezza, il non sopportare più le ragioni dell’altro, per lei, e il senso di possesso e di dominio che si va sfaldando, come un attentato al suo orgoglio, per lui. È ormai una relazione malata, va chiusa! Ma da soli è difficile chiuderla. Serve chi ti dia una mano e ti conduca altrove, fisicamente. Serve un viaggio, una fuga, una distrazione emozionale profonda.
Nessuno è di qualcun altro. Non possiamo avere il controllo della mente del partner: sarebbe plagio non amore
Al di là della grave colpa di cui s’è macchiato, anche Filippo è una vittima. Vittima del suo modo di pensare, del modello maschilista, del carcere virtuale in cui era chiuso, quello di chi sente di perdere potere, di perdere stima e fiducia in sé stesso. Per questo cercava di attirare l’attenzione della ex con minacce, neanche tanto mascherate, di morte. Si sa che chi progetta un suicidio di solito non ne parla. Lo fa solo chi lo vuole usare come ricatto.
Questo faceva Filippo, commiserando sé stesso, nella sua cameretta, mentre fissava il soffitto. Nella speranza di riconquistare l’attenzione della “sua Giulia”. Non rendendosi conto che nessuno è di qualcun altro, noi siamo tutti di noi stessi e basta. Gli altri non possono mai essere nostri, come una motocicletta, una casa, un quaderno. Neanche quando sono figli, figuriamoci una fidanzata. Non possiamo entrare nella testa di un altro, neanche quando è stato o è il nostro partner. Meglio rinunciarvi e accettare una relazione su altre basi. Egualitarie e libere.
Chi fosse Filippo lo descrivono bene i suoi conoscenti. Secondo Gino Cecchettin, il padre della ragazza, Filippo Turetta non avrebbe accettato la fine della relazione. I genitori stessi di Filippo hanno detto che negli ultimi giorni il ragazzo mangiava a malapena, era molto giù di morale. Era evidente che lui soffrisse per quella rottura del rapporto con Giulia.
Bravo ragazzo lo è davvero, come molti suoi coetanei
Filippo Turetta è stato descritto come il classico bravo ragazzo, molto timido e riservato.
Gennaro Zecchino, allenatore del giovane della palestra che frequentava fino a poche settimane fa, dice che aveva occhi tristi e che non parlava con nessuno, era introverso, ma non c’erano mai stati litigi o problemi. Lo descrive come timido, uno che non ha mai avuto reazioni strane in campo, uno che non esultava mai, sempre sulle sue. Non aveva grandi amici, aveva rapporti educati con tutti. Ha giocato con loro fino a giugno, poi ha smesso. La rottura con Giulia è avvenuta ad agosto, poco dopo.
Come dicono gli psichiatri non esiste il raptus. Non è che uno è bravo e tranquillo e un bel giorno impazzisce. Questi atteggiamenti hanno una incubazione lunghissima. Si fanno strada nella mente con fatica, per trovare il modo di tacitare le voci che ti tormentano, che ti fanno stare male. In altre parole chiunque può essere un omicida. Dipende dalla capacità di frenare gli istinti più bassi che possiamo avere, che ciascuno può avvertire.
Ad Amare si impara: non è un processo naturale come la passione e il possesso
La incapacità di avere una relazione egualitaria, a vivere un amore vero: questo è il punto! Amare non è qualcosa di naturale, come in molti pensano. Naturale è pensare di avere una femmina per sé. Per soddisfare il proprio egoismo, magari anche per procreare. Gli animali non si amano tra loro. Procreano obbedendo a un istinto. Amare presuppone un apprendimento, una educazione sentimentale. Che può avvenire nel tempo, frequentandosi, dopo aver superato una passione emotiva forte, la fase d’innamoramento. Si può imparare ad amare, a condividere, a capire l’altro, ad accettarne i difetti, amandoli come i pregi.
Amare è condividere. È vivere per il bene dell’altro, volere sempre il meglio per lui o lei. Un Filippo che soffriva perché Giulia stava per laurearsi prima di lui non è una persona che ama. Non possiamo fargliene una colpa. Nessuno sa amare se non lo impara in famiglia, con l’esempio dei genitori, con le letture, con la crescita culturale. Non saper amare tuttavia non fa di lui un assassino potenziale. Lo diventa quando non trova altra soluzione alla propria sofferenza, che mettere a tacere la persona che gliela procura. Se non vuoi stare con me, allora non sarai di nessun altro!
Le frasi di Elena Cecchettin rivolte ai maschi
Qualcuno l’ha attaccata, altri lo faranno ancora, persone evidentemente ignoranti, che non solo non sanno rispettare il dolore di una familiare di una vittima di femminicidio, ma che neanche riescono a capire il messaggio forte e alto che sta lanciando. Mi riferisco a Elena, la sorella di Giulia, che ha scritto in una lettera pubblicata dal Corriere Veneto e poi lo ha ripetuto in tv. Filippo Turetta non è un mostro, ma un “figlio sano della società patriarcale, che è pregna della cultura dello stupro”. Che “il femminicidio non è un delitto passionale, ma di potere, è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela e non ci protegge. Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere”.
“Viene spesso detto “non tutti gli uomini”. Tutti gli uomini no, ma sono sempre uomini”.
Elena lancia una richiesta razionale ma anche molto carica di emozioni agli uomini, che tuttavia è difficile venga raccolta: “Dovete smantellare la società che vi privilegia tanto. Educare e richiamare amici e colleghi non appena sentano il minimo accenno di violenza sessista. Ditelo a quell’amico che controlla la propria ragazza, ditelo a quel collega che fa catcalling (importuna con apprezzamenti volgari) alle passanti, rendetevi ostili a comportamenti del genere accettati dalla società, che non sono altro che il preludio del femminicidio”.
Del maschilismo c’è in ogni uomo. Bisogna combatterlo.
Elena si riferisce al maschilismo che alberga comunque in ogni maschio, alla tolleranza verso le forme superficiali di misoginia, alle battute, alle barzellette, ai giudizi… Era quel richiamo al linguaggio, di cui parlò Paola Cortellesi in una memorabile serata del David di Donatello, dove sottolineava come certi termini al maschile abbiano un significato positivo e al femminile diventino dispregiativi. Cortigiano e cortigiana, uomo di strada e donna di strada, massaggiatore e massaggiatrice, playboy e playgirl, e via dicendo. È un invito a una rivoluzione lenta, garbata, gentile, culturalmente elevata.
Ma è ancora un tema elitario che non sarà compreso dalla maggioranza, anche di giovani, che poco leggono, poco sanno di sentimenti ed emozioni, di arte, di relazioni costruttive. Siamo un Paese in cui in centomila leggono le strampalate tesi del generale Vannacci, mentre tanti si sciolgono alle parole di Alba Chiara di Vasco Rossi o di Sally sempre sua ma interpretata da Fiorella Mannoia. Ora il conflitto di questi due mondi è venuto alla luce, ora non si può voltare più la testa dall0’altra parte. Ora ogni maschio e ogni femmina deve fare la sua parte per frenare questo senso di possesso che fa solo stragi.
Giulia stava iniziando a distaccarsi dall’ex anche fisicamente
Secondo le indicazioni della famiglia Cecchettin, Filippo stava ancora faticando ad accettare la fine della sua relazione con Giulia. “Era geloso del fatto che Giulia stesse per laurearsi, capendo che questo avrebbe segnato un distacco definitivo”, ha rivelato una zia della ragazza in un’intervista con l’Ansa. “Era molto possessivo, e utilizzava il ricatto emotivo per mantenere un contatto con lei. Giulia, che era di natura gentile, cedeva alle sue richieste, consapevole della sua solitudine.”
Il rapporto tra i due giovani era ormai arrivato al capolinea. “Giulia avrebbe dovuto laurearsi oggi. Aveva già iniziato un corso a Reggio Emilia”, ha spiegato Edoardo Genovese, criminologo dell’associazione Penelope che assiste le famiglie Cecchettin e Turetta. “Giulia stava iniziando a distanziarsi anche fisicamente, e questa potrebbe essere stata la scintilla che ha innescato tutto.”
A Massimo Recalcati, psicoterapeuta, è stato chiesto se alla base del gesto estremo commesso da Filippo possa esserci la paura della parità dei sessi. “Da sempre gli uomini che odiano le donne sono uomini che non sopportano la loro libertà. Non è tanto l’invidia ad avere spinto Filippo ad uccidere, ma la frattura di un legame che per lui costituiva la sola salvezza possibile dal buio della depressione. Una rottura che avviene in due tempi: il primo è quello nel quale Giulia dichiara la fine del suo amore; il secondo quando si approssima a discutere la sua tesi di laurea. Sono due fratture irreversibili inflitte all’ideale della coppia simbiotica“.
Non arriviamo alla scintilla. Fermiamoli prima. Basta ascoltare, rendersi disponibili, gettare via telefono e computer, non pensare solo alla discoteca e alla partita, trovare un’ora per l’amico e l’amica per uscire a prendere una birra assieme. Ovviamente vale per i ragazzi ma anche per i padri e le madri in difficoltà dopo una separazione difficile.