Next Gen Eu, mentre gli “euroinomani” esultano arriva già l’ennesimo stop
Il Commissario Gentiloni plaude all’intesa tra Consiglio e Parlamento Ue sul Recovery Fund. Come se i fondi europei fossero imminenti, laddove a Bruxelles è ancora battaglia
Il programma Next Gen Eu – dove Gen sta per “Generation” – torna a far sognare. Letteralmente, nel senso che per l’ennesima volta i soliti noti hanno scambiato i loro (euro)desiderata per la realtà. La quale, come di consueto, non ci ha messo molto a riportarli con i piedi per terra.
Next Gen Eu, un’esultanza prematura (as usual)
Mentre in Italia si disquisiva di bazzecole come la divisione clinico-cromatica del Paese e la prospettiva di un lockdown (leggero), Bruxelles pensava alla prossima generazione. Che poi sarebbe quella che beneficerà realmente dei fondi del Next Gen Eu (cioè del Recovery Fund), ammesso che verranno mai effettivamente erogati. Non a caso, come abbiamo già abbondantemente ironizzato, lo strumento porta quel nome.
Un passo avanti, a dirla tutta, c’è stato, anche se da noi se ne sono accorti in pochi. Consiglio Ue ed Eurocamera hanno infatti trovato un’intesa preliminare sul finanziamento del Quadro Finanziario Pluriennale dell’Unione. Ovvero il Bilancio settennale della Ue, cui è legato il Fondo per la Ripresa.
Lo ha annunciato via social Sebastian Fischer, portavoce della presidenza tedesca di turno dell’assemblea degli Stati membri. Scrivendo che «i negoziatori del Consiglio e del Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico sul budget Ue e sul pacchetto di rilancio. I principali elementi: un rafforzamento mirato dei programmi europei, nel rispetto delle conclusioni del vertice» di luglio. Ora saranno i due consessi a «dover dare l’ok definitivo».
Quest’ultima postilla avrebbe potuto far subodorare qualcosa, ma meglio non destare gli euroinomani dal loro “onanirismo”. Esemplificato dall’esultanza di risposta al cinguettio sopracitato da parte del Commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni: «Fumata bianca per Recovery e Bilancio».
Bisogna ammettere che la volontà di credere all’immenso miraggio collettivo chiamato Europa è quasi encomiabile. Peccato che poi arrivi, as usual, l’ora del risveglio.
Illusioni e realtà
A dare nuovamente fuoco alle polveri è stato il Partito Popolare Europeo, ironicamente guidato da un altro rappresentante teutonico, Manfred Weber. Colpa, pare, dei “soliti” Paesi frugali ossessionati dall’idea di (re)introdurre condizionalità macro-economiche che trasformerebbero la sbandierata solidarietà pandemica nell’abituale farsa. I rigoristi nordici, infatti, continuano ad assaltare la Recovery and resilience facility, che con i suoi 672,5 miliardi di dotazione sarebbe il fulcro del piano Next Gen Eu.
Bisognerà comunque fare i conti anche con il Gruppo di Visegrád, le Nazioni dell’Est che frenano su un altro punto, lo stato di diritto. Eppure, il numero uno del Ppe ha chiesto un’unica votazione per le tre gambe dell’accordo. Che, sostanzialmente, significa mandarlo a gambe all’aria, visto che allo stato una convergenza sembra possibile solo sul QFP.
In realtà non tutti i mali vengono per nuocere, considerando per esempio che le risorse comunitarie dovrebbero derivare da una pletora di nuove tasse. Oltre al fatto che almeno il 30% dell’importo sarebbe ipotecato dalle farneticazioni ambientaliste del Green Deal e di un’Europa a impatto climatico zero.
Comunque sia, anche nell’improbabile evenienza che l’iter di approvazione del Recovery Fund si concluda entro l’anno, l’acconto (da 20 miliardi, per l’Italia) non dovrebbe arrivare prima della tarda primavera. Per quanto ci sia un orizzonte che pare decisamente più credibile: quello delle calende greche. Però non diciamolo agli eurofanatici, s’il vous plaît.