Niccolò Machiavelli a teatro: “La Mandragola”
Visitando la villa di Machiavelli nei pressi di Firenze, si avverte, nell’atmosfera malinconica e quasi cupa, come la letteratura coincise con la parte tragica della sua vita
Nella grande tradizione letteraria italiana, Niccolò Machiavelli occupa un posto di prima grandezza. Innanzitutto, per i capolavori del pensiero politico da lui composti, il “Principe” sopra ogni altro. Genio e spregiudicatezza, egli è il simbolo di un’epoca incantata e sovrana, il Rinascimento, che ha dato alla cultura europea qualcosa di unico ed incomparabile. Suo fratello in spirito e nella vita, Francesco Guicciardini.
Entrambi sono, sul piano della politica e della storia, ciò che Marsilio Ficino e Pico della Mirandola furono sul terreno della filosofia e ciò che Leonardo e Michelangelo furono nell’ambito delle arti figurative. Ma, come è noto, Machiavelli ci ha lasciato anche una delle più belle commedie dell’intero Rinascimento ed è la “Mandragola”.
La cesura
Visitando le sale dell’Albergaccio in Sant’Andrea in Percussina, la villa di Machiavelli nei pressi di Firenze, in cui egli trascorse una parte significativa della sua vita, si avverte, nell’atmosfera malinconica e quasi cupa, come la letteratura coincise, per Machiavelli, con la parte tragica della sua vita. Post res perditas, ci ha insegnato la critica, “dopo che tutto è perduto”, si potrebbe tradurre liberamente.
Poiché, per una natura come quella di Machiavelli a contare, molto più che la creazione letteraria e l’elaborazione teorica, era la vita politica attiva. Ciò che Hannah Arendt – soprattutto in “Vita activa” del 1958 – chiamava l’azione, quello spazio pubblico in cui gli uomini liberi avevano modo di esprimersi attraverso le parole e le gesta, spesso grandi. Se si vuole, si tratta del tema vero e proprio dei “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio”, la grande opera del Machiavelli repubblicano, cui anche il “Principe” è, teoricamente, subordinato.
Machiavelli esplicò la sua vocazione per la politica attiva, mentre fu al servizio della Repubblica di Firenze, tra la fine del Quattrocento e il primo decennio del Cinquecento. Complice Savonarola, i Medici avevano abbandonato la città, lasciando una forma di governo repubblicana, sotto la guida del gonfaloniere a vita Piero Soderini. Machiavelli era segretario della seconda Cancelleria. Al rientro dei Medici, nel 1512, egli fu violentemente scalzato dal suo incarico, con scarsissime possibilità di reinserimento. Quel vuoto aveva creato lo spazio per il suo grande pensiero.
L’onda della Storia
Come ha dimostrato Alberto Asor Rosa in un bel libro pubblicato in anni recenti, “Machiavelli e l’Italia. Resoconto di una disfatta” (Einaudi 2019), il destino di Machiavelli e Guicciardini si intreccia, profondamente, con quello dell’Italia. I due grandi spiriti si accorgono della decadenza degli stati italiani, venuta meno la funzione equilibratrice di Lorenzo il Magnifico come signore di Firenze. Il grande Lorenzo morì nel 1492.
Dopodiché la dominazione degli eserciti stranieri, il cui episodio culminante è il Sacco di Roma del 1527, è irresistibile. Fino al Risorgimento e all’unificazione italiana, nella seconda metà dell’Ottocento. L’ultimo capitolo del “Principe”, il ventiseiesimo, ne dà conto con un’efficacia unica. La grande “Storia d’Italia” di Guicciardini farà il resto.
Machiavelli visse, dunque, una duplice tragedia. Sul piano personale e su quello generale. Le lacrime saranno molte, moltissime. Ma l’uomo era geniale, molteplice, complesso. E, accanto alle lacrime, c’è spazio per il riso. Per la commedia, da porre accanto alla tragedia. Il momento della “Mandragola”, dunque.
Il comico non ha mai trovato, nella cultura occidentale, una dignità pari a quella del tragico. Eppure Aristofane, il grande commediografo dell’Atene classica, non fu poeta inferiore a Eschilo, Sofocle e Euripide, i tre grandi tragediografi dello stesso periodo. La vena profonda del “Nome della Rosa” (1980) di Umberto Eco, ci aiuta a trovare una chiave di lettura in questa direzione.
Se il secondo libro della “Poetica” di Aristotele, dedicato alla commedia, fosse sopravvissuto, il serioso Medioevo avrebbe visto scricchiolare sé stesso. Del resto, il riso è l’unico balsamo che è possibile spargere sulle ferite provocate dalla tragedia. Difficile che una natura come quella di Machiavelli non se ne rendesse conto.
Critica del testo
Come per ogni autore fondamentale, Dante o Nietzsche ad esempio, anche per Machiavelli è cruciale la mediazione critica, cui ci si affida per comprenderlo. Per quanto concerne la “Mandragola”, una delle edizioni migliori è quella curata da Gennaro Sasso e Giorgio Inglese (Rizzoli 1980-2009). Il secondo allievo del primo, la curatela congiunta di un filosofo e di un filologo offre la miglior presentazione possibile di una delle grandi opere della nostra letteratura.
Allievo di Federico Chabod e di Guido Calogero, Gennaro Sasso è uno dei migliori conoscitori internazionali dell’opera del pensatore fiorentino. Attenzioni non minori egli ha rivolto a Dante e Benedetto Croce, nonché al pensiero di Giovanni Gentile. Capace di un livello di scavo teoretico impressionante sugli autori da lui presi in esame, egli è uno dei più significativi filosofi italiani.
Nonché uno dei maestri della facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza”, che si rimpiangeranno veramente. Dal punto di vista teorico, a lui si deve l’elaborazione del neo-parmenidismo che lo accomuna ad Emanuele Severino.
Non tutti i contributi critici disponibili su Machiavelli sono dello stesso tipo, dunque. Analogamente, non è la stessa cosa se ci si lascia guidare alla scoperta di Nietzsche da Martin Heidegger o da Massimo Fini. Saper scegliere tra le diverse offerte del mondo culturale, è garanzia, in questo caso ancor più che negli altri, di una buona presa critica sull’autore trattato.
Nella forma e nella vita
Come Heidegger ci ha insegnato a riconoscere, nella sua opera cinquantennale, niente è più difficile, per la cultura occidentale, che oltrepassare la metafisica. Non solo ma, nelle opposizioni coatte che hanno dominato e determinano la cultura europea, è altrettanto complicato riconoscere pari dignità al femminile di fronte al maschile, alla diversità rispetto alla normalità, al comico al cospetto del tragico.
Ed è il punto cui si accennava. Che cosa, dunque, ci vuole trasmettere Machiavelli, con la sua luminosa e potente commedia? Si tratta solo di una ripresa della sua visione tragica delle cose, sotto le forme del comico? Oppure c’è qualcosa di più? L’intuizione che l’ironia è un’arma tanto potente, da raggiungere quel risultato cui il tragico stenta ad arrivare?
Ossia, la possibilità di stendere un velo di oblio creativo sul dolore che, in varie forme e maniere, attanaglia le nostre vite? Era così fuori fuoco l’indicazione contenuta nella frase una risata vi seppellirà?Viviamo in tempi perigliosi, pieni di incertezze ed incognite. Allo stesso modo di Machiavelli e Guicciardini, si potrebbe aggiungere. Eppure le nostre incertezze sono, forse, più profonde.
Siamo privi di segni di grandezza, al contrario degli uomini del Rinascimento. Viviamo nel dubbio, che l’energia nucleare applicata all’industria delle armi possa pregiudicare la stessa sopravvivenza della specie uomo sul pianeta terra. Eppure anche il Sacco di Roma del 1527, l’ultimo grande avvenimento storico di cui Machiavelli fu testimone, non fu esattamente una passeggiata di salute.
Allora, forse, sarà doveroso e legittimo abbandonarsi alla potente scossa dell’ironia e del riso, al fine, sia pure per un momento, di dimenticare in modo salutare noi stessi. Si tratta di una ricetta che la filosofia occidentale non conosce, ma il fruttivendolo sotto casa nostra, invece, sì e non c’è motivo di escludere, a priori, che abbia ragione lui…