Non c’è vera pace senza verità
Fa discutere il Presidente colombiano Santos presente alla canonizzazione della religiosa Laura Montoya
Il 13 maggio è una data speciale per i cattolici del mondo che guardano tradizionalmente alla Santa Sede. Questo anno non sarà un’eccezione perché sarà la prima celebrazione mariana del pontificato di Sua Santità Francesco. Però al di là di ciò, perché la vigilia sarà canonizzata la religiosa Laura Montoya Upegui (1874-1949), colombiana missionaria cattolica beatificata nell’aprile 2004, prima santa colombiana della Chiesa.
Quando solo un mese fa più di 150 dignitari concorsero alla intronizzazione di Francesco, i colombiani si stupirono per l’assenza del loro presidente. Essendo la Colombia un paese in maggioranza cattolico (90%), ha celebrato pertanto con giubilo l’elezione di un porporato latinoamericano. Dato che il presidente aveva giustificato la sua permanenza in Colombia in vista della sua prossima visita nella Santa Sede per l’occasione della canonizzazione di Madre Laura, aveva inviato al Vaticano in sua rappresentanza la ministra delle relazioni con l’estero.
Assieme al presidente dei colombiani si aspetta una nutrita comitiva e una grande diffusione mediatica, che il governo spera di capitalizzare a proprio vantaggio all’interno del suo paese in maggioranza cattolico. E non ne mancano le ragioni. Dopo quasi tre anni di governo ed a un anno dalle elezioni presidenziali, l’attuale presidente colombiano ha un’immagine non favorevole (48%) che supera quella favorevole (47%) e un 63% dei colombiani ha detto di non voler la rielezione dell’attuale presidente Juan Manuel Santos, dato che il 53% considera che il paese procede su una strada non conveniente .
Buona parte di queste statistiche così preoccupanti sono dovute al tema di enorme importanza a cui sono molto sensibili i colombiani: la sicurezza. La Colombia è una nazione che negli ultimi 50 anni è stata segnata dalla violenza. In quanto vittime della violenza bipartitica e degli espropri delle terre, correlati alle tesi marxiste, che allora cominciavano a diffondersi nel continente latinoamericano, ha spinto un gruppo di contadini ad avviare le prime guerriglie rurali all’inizio della prima decade degli anni Sessanta per armarsi contro il governo e rivendicare i loro diritti agrari.
Nei successivi decenni, senza esser preparata, la Colombia, da paese agricolo che era, ha avuto una urbanizzazione a causa dell’abbandono statale delle politiche agricole e ciò è stato l’inizio della sua maledizione: la coltivazione e il traffico degli stupefacenti. I campi si sono tinti di sangue, a causa di una nuova guerra, quella tra guerriglieri e trafficanti. Si sono perduti sia i discorsi che le tesi ideologiche di sinistra quando i narcotrafficanti hanno deciso di togliere il controllo delle campagne ai guerriglieri, mentre questi convergevano nel più grande cartello delle droghe del mondo, oggigiorno responsabile di più dell’80% della cocaina che si traffica globalmente.
Diversi governi hanno tentato di conseguire la pace. Tra il 1982 e il 2002, quattro governi fecero della pacificazione una bandiera nel periodo in cui la Colombia era sempre più emarginata internazionalmente. Il suo maggior isolamento arrivò attraverso l’ignominia dell’elezione di un suo presidente ottenuta con i soldi della mafia. Nel 2002, e dopo il nuovo fallimento del processo di pace, l’attuazione dello stato colombiano è stato interdetto.
Nel 2002 i colombiani hanno eletto presidente Alvaro Uribe Vélez, a cui si attribuisce il riscatto della Colombia con la sua politica di sicurezza democratica e l’aver riportato entusiasmo. E’ stato il primo presidente rieletto dai colombiani. Ha governato per 8 anni, nei quali avviò un processo di sottomissione dei violenti, tirando fuori dalla guerra 51.000 persone, 35.000 dalle milizie correlate con il narcotraffico e 16.000 dalle guerriglie, allora considerate terroristi da gran parte dei paesi del mondo. Nel febbraio 2008 14 milioni di colombiani nel mondo intero marciarono contro le azioni di questi terroristi, noti come FARC, sigla di Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia.
Verso la fine del secondo governo di Alvaro Uribe Vélez, le FARC era un gruppo dimezzato di meno 3.000 unità, riduzione ottenuta dalla politica del governo il cui ministro della difesa era l’attuale presidente Juan Manuel Santos. Approfittando della popolarità del governo nel quale aveva operato e con la benedizione del presidente uscente Uribe, i colombiani elessero Santos con il più alto numero di voti mai registrato nella storia del suo paese. Santos ottenne un mandato indiscutibile e un appoggio elettorale senza precedenti durante la rinascita che ha avuto la Colombia con la politica di sicurezza democratica.
Arrivando alla presidenza, Santos aveva ricevuto un paese che era tornato una stella del continente. Classificato entità CIVETS, la Colombia convertì il suo destino rispetto al mondo in uno dei paesi col maggior indice di crescita del PIB della regione, negoziando bilaterali trattati di commercio con le maggiori economie del mondo occidentale.
Come se la politica di sicurezza democratica non avesse ottenuto tanti successi, Santos decise di imbarcarsi in un nuovo processo di pace con i terroristi. Dopo aver negoziato segretamente a Cuba, durante 5 mesi con l’appoggio di Fidel Castro, suo fratello Raul e il recentemente scomparso presidente del Venezuela Hugo Chávez, Santos avviò un dialogo con le FARC. La comunità internazionale approvò l’iniziativa e il medesimo popolo colombiano l’appoggiò. Però per realizzare ciò, Santos propose al Congresso una riforma di giustizia transitoria della Costituzione colombiana, la quale avrebbe permesso la sospensione delle condanne date ai terroristi, prevedendo anche per loro la possibilità di partecipare alla politica.
A fronte di questa prospettiva e dopo circa cinque mesi di negoziati segreti a Cuba, i colombiani hanno ritirato l’appoggio al processo di pace del presidente. E non è poco. Di tutti i capi guerriglieri incriminati di lesa umanità, tutti, eccetto uno, è stata richiesta l’estradizione agli Stati Uniti. La Colombia ha sottoscritto il Trattato di Roma e la Costituzione colombiana proibisce l’amnistia e l’indulto per i delitti di stampo politico. Le FARC hanno lasciato in Colombia milioni di vittime di varie tipologie e oltre a costituire il cartello della droga più grande del mondo, sono responsabili del sequestro di persone, del reclutamento forzato di minori, della più grande disseminazione di mine antipersona e di massacri di intere comunità che non ha pari nella storia contemporanea.
Infatti, una volta iniziato il processo di dialogo, hanno sequestrato 13 bambini in uno stato rurale della Colombia. In piena festa di Halloween fecero esplodere una bomba le cui vittime furono in maggioranza bambini che sciamavano festosamente mascherati per le strade, inoltre a novembre 2012 hanno decretato una tregua unilaterale di due mesi, durante la quale hanno commesso ben 57 atti terroristici.
La reazione dei colombiani non s’è fatta aspettare. Oggi una grande maggioranza (62%) disapprova il processo di pace e il 79% è contrario alla decisione che i terroristi possano partecipare alla politica senza aver pagato con la prigione i loro delitti. E’ così grande la posta del governo di Santos per il processo con le FARC che è diventata la sua unica bandiera, che gli occorre per ottenere la rielezione nel 2014.
Per questo, nonostante la popolazione fosse contraria al processo e quasi unanimemente nemica delle FARC (94%), al fine di recuperare la legittimazione del processo, il governo di Santos ha deciso di appoggiare la marcia del passato 9 aprile promossa da alcune Organizzazioni di sinistra vicine alle FARC. Lo stesso presidente era a capo della marcia, avendo obbligato i militari e la polizia a marciare con lui. E’ stata la prima volta nella storia repubblicana della Colombia in cui i militari, non belligeranti per mandato costituzionale e principali vittime del conflitto, furono obbligati a prender parte ad un atto di tipo politico.
Il governo colombiano voleva mostrare al mondo un gesto per la pace, anche in favore delle vittime del conflitto, che si contano in milioni. Nonostante ciò, la stampa e gli analisti concordano che si trattò di un atto che non coinvolse più di mezzo milione di persone, cifra esigua se si tiene conto dei milioni che avevano marciato contro le FARC, ragione per la quale alcuni sostengono che il processo di pace con le FARC è rimasto senza legittimazione, discutendo seriamente a proposito del mandato dello stesso presidente.
In tale contesto arriva il presidente della Colombia alla Santa Sede. Non senza timore di non ottenerlo, il governo pretenderebbe un messaggio d’appoggio del Santo Padre al processo di pace che si svolge in terra cubana. La sua speranza è in linea con la riconciliazione e il perdono che abbiamo già ascoltato da papa Francesco. Di tutto ciò alcune fonti assicurano che Santos pretende con la sua visita alla Santa Sede di riparare al chiasso che si verificò col flop della marcia del passato 9 aprile a favore del processo di pace. Però il Vaticano ha ricevuto numerose notizie relative all’opposizione della popolazione a tale processo, al punto che le istanze diplomatiche hanno preferito far sapere alla Santa Sede che il governo non considera prudente mescolare i temi politici con la canonizzazione prima di non aver ricevuto l’appoggio di Francesco.
Dalla loro parte, alcuni alti gerarchi della Chiesa e la maggioranza del popolo colombiano confidano che questa sarà un’occasione per dare grande visibilità alle vittime del conflitto colombiano e per manifestare lo scetticismo che proviene da una pace senza verità, senza riparazione, ma soprattutto senza vera giustizia terrena. Per ciò confidano che il Santo Padre dica a Santos che la giustizia divina è di Dio e non degli uomini e che la giustizia terrena del perdono e l’oblio la possono applicare le vittime e non i governi. I portavoce delle vittime hanno sostenuto che queste non saranno disposte a che i suoi boia evitino il carcere, perché temono che ci sia la possibilità che i loro discendenti divengano gli aguzzini di domani.