Non c’è trippa per gatti! Ecco il significato dei modi di dire
Usiamo spesso questi modi di dire, per dare velocemente un senso alle frasi, ma non ne conosciamo l’origine, l’etimologia e, sbagliando, pensiamo di farci comprendere se li traduciamo letteralmente nelle altre lingue
Quasi non ce ne accorgiamo ma quando parliamo usiamo molti modi di dire, espressioni gergali, tipiche di un idioma e che non possiamo tradurre alla lettera, perché se lo facessimo non avrebbero nessun significato logico.
Se dico a uno straniero di “Non avere peli sulla lingua” e glielo traduco letteralmente nel suo idioma, non capirà il significato di quello che sto dicendo. Devo trovare il corrispettivo linguistico per poterlo fare e potrei tradurlo probabilmente con outspoken (schietto),tutt’altra parola ma il senso è quello.
I modi di dire danno un sapore alla nostra conversazione
L’italiano è una lingua antica, ricchissima e molto complicata. Noi stessi che lo parliamo non conosciamo il significato di molti termini presenti nel vocabolario, delle origini di certe parole e della loro etimologia, ovverosia come si sono formate certe espressioni.
Parleremo qui dei “modi di dire” in italiano, che hanno, a volte, dei corrispettivi dialettali e stranieri. Il modo corretto di definirli sarebbe “espressioni idiomatiche”. Sono frasi che di per sé non hanno senso alcuno, funzionano per metafora o per convenzione, nascono da aneddoti, leggende, storie del passato, abitudini, tradizioni che hanno fatto sì che la gente cominciasse ad utilizzarli e poi, con il tempo, sono rimasti nel linguaggio comune.
Sono importanti perché in una conversazione aggiungono identità, danno un “sapore” alla nostra conversazione. Possiamo paragonarle un po’ le spezie della lingua e come le spezie bisogna saperle usare al momento e con le persone giuste, e nel luogo opportuno.
Di seguito farò un elenco dei più famosi modi di dire italiani che conosco con una spiegazione, per quanto possibile, della loro origine e dei riferimenti a espressioni similari nelle lingue straniere più in uso.
Toccare ferro, dal medioevo a oggi un talismano di fortuna
Nel Medioevo si usava inchiodare un ferro di cavallo alla porta, fissato con le estremità in alto e con un numero dispari di chiodi. Nel pensiero magico che sempre ci accompagna nonostante, siano nel XXI secolo, i portafortuna hanno una loro funzione e un potere sotterraneo di aiutarci nella quotidianità.
Un corno rosso, un numero positivo, il ferro da toccare sono tutte cose che tengono lontano il malocchio e la sfortuna.
Ma non è così dappertutto. In Inghilterra e in altri Paesi nordici si dice, ad esempio, “toccare legno”, un detto che potrebbe avere molteplici origini.
La credenza pagana che gli spiriti vivano negli alberi potrebbe essere la ragione di questo modo di dire. Ma c’è anche un gioco da bambini per cui toccando legno ci si mette in salvo. In francese infatti si dice ancora “toucher du bois et croiser les doigts” toccare legno e incrociare le dita, per scongiurare la sfortuna.
In spagnolo si dice “tocar madera”, toccare legno. Nella lingua inglese c’è la nota espressione “knock on wood” che ritroviamo nella canzone dall’omonimo titolo, cantata da Amii Stewart: “Il modo in cui mi ami è spaventoso, faresti meglio a toccare legno, toccare legno!”
Modi di dire: le calende greche
Niente a che vedere con Carlo Calenda, il front men di Azione. Le Calende erano il primo giorno del mese in epoca romana. Una espressione sconosciuta ai greci. Rimandare alle calende greche significa rinviare ad un tempo indefinibile perché del tutto sconosciuto.
Un freddo cane
Forse ci si riferisce al fatto che il freddo è in grado di mordere come la mascella di un mastino. Invece secondo alcuni più probabilmente deriva da qualcosa di antico. Quando i cani non vivevano accanto a noi ma restavano fuori della porta di casa, legati con la catena alla loro cuccia. In campagna succede ancora.
Quando arrivava l’inverno e il freddo erano i cani che per primi lo avvertivano perché fuori casa soffrivano di più il gelo. Da qui il detto “fa un freddo cane“. Per gli inglesi il freddo è maledetto: “It’s a bloody cold” o è davvero freddo fuori “It’s a really cold outside”. Sono espressioni che traducono la nostra ma non sono esattamente dei modi di dire.
Modi di dire e barzellette: campa cavallo, che l’erba cresce!
Si racconta nella leggenda che un contadino avesse un cavallo malandato e malnutrito per mancanza d’erba. Il cavallo, sopraffatto dall’indigenza, stava per morire e il padrone lo incoraggiava a resistere perchè l’erba stava per nascere nel prato.
In inglese questo stesso significato si può tradurre con “fat chance” ma non ha lo stesso impatto. A questo proposito ricordo anche una barzelletta che aveva per protagonista il solito contadino e il suo asino. Non lo nutriva per non spendere soldi e pretendeva che sopravvivesse.
Finché il somaro morì di stenti. “Peccato, disse il contadino, proprio ora che aveva imparato a non mangiare!”
Stare con le mani in mano, il preferito dei pigri
Si usa quando c’è da fare qualcosa di importante o di urgente e la persona a cui ci rivolgiamo sta perdendo tempo senza fare niente. Le mani in mano esprimono simbolicamente il non far nulla. Mentre l’artigiano, la massaia, il lavoratore le mani le usano senza tregua e noi Italiani spesso lo facciamo per sottolineare quello che diciamo, gesticolando e muovendole secondo modalità particolari che solo noi riusciamo a comprendere, come in una lingua dei gesti che in molti all’estero criticano ma secondo me un po’ li diverte.
Modi di dire: non avere voce in capitolo
Questa espressione viene sicuramente dalla storia medievale. L’assemblea di monaci, all’interno di un monastero o un’abbazia, si svolgeva una volta al giorno per la lettura della Regola del loro ordine o per prendere decisioni importanti.
Quella riunione si chiamava Capitolo, perché avveniva nella Sala Capitolare e benché potessero accedervi tutti i monaci, solo alcuni avevano diritto di parola nel corso di queste riunioni. I novizi e i “conversi” (coloro che si erano dati alla vita monastica solo in tarda età), ad esempio, non potevano esprimere la loro opinione. Dunque non avevano “Voce in Capitolo!”. Intraducibile nelle altre lingue, dove ci sono espressioni similari, ma non idiomatiche.
Non ci piove
Significa è così, è giusto, non potrebbe essere altrimenti. Descrive perfettamente l’idea di sicurezza e ineluttabilità di ciò che viene espresso. Se “non ci piove”, vuol dire che ci si trova in un posto protetto e irraggiungibile da qualsiasi dubbio.
Modi di dire: mangiare la foglia
Ha il significato di capire al volo, comprendere prestissimo le intenzioni di qualcun altro. In base alla spiegazione che ne dà Ugo Enrico Paoli, un filologo classico e latinista fiorentino, e che sembra la più convincente, le foglie sono quelle che si danno da mangiare ai bovini. Ovviamente si dividono i lattanti, che prendono latte dalla poppa materna e le bestie adulte, che hanno già cominciato a mangiare la foglia. Secondo il Paoli, quindi, il senso pratico del mondo contadino ha associato alla locuzione “aver mangiato la foglia” il concetto di saggezza.
Essere al verde, la candela che segnava il debito
Nella aste fiorentine del XVI secolo, come quelle del sale per esempio, i banditori utilizzavano delle candele come segnatempo. Quando il fuoco le aveva consumate del tutto l’asta era giunta al termine e bisognava pagare i lotti aggiudicati. La base di queste candele era verde, dunque “essere al verde” era sinonimo di non avere più soldi. Secondo un’altra credenza, invece, il detto deriverebbe dal fatto che nei portafogli di una volta, ma spesso ancora oggi, la fodera interna era verde e dunque, se si riusciva a vedere il verde, significava che il portafoglio era vuoto.
In spagnolo si traduce con “Estar sin blanca” o “Being broke” in inglese, più o meno essere distrutto, in bancarotta in entrambe i casi. Tra l’altro anche Bancarotta è un’altra espressione gergale. Sempre a Firenze c’era la pratica di rompere i banchi di banchieri e cambia valute insolventi, i quali usavano esporre i propri beni sopra ad un banco di legno nella pubblica piazza, in attesa degli affari.
Modi di dire: andare in Gattabuia
Una volta si usava il termine gattabuia per dire prigione. Probabilmente deriva da gattaiola, la porticina per far entrare e uscire i gatti da casa. Secondo alcuni studiosi, potrebbe però derivare anche dal greco katogeia (sotterraneo), da cui deriverebbe anche il termine dialettale siciliano catoio (o catoia), cioè una stanza buia, di scarso valore, seminterrata. Un po’ come il carcere.
É un termine ancora in uso in Toscana specialmente in campagna, come molti altri che Carlo Collodi ha utilizzato nel suo famoso racconto del 1883. Infatti nel libro Le avventure di Pinocchio, quando il celebre burattino di legno viene arrestato per avere denunciato il Gatto e la Volpe si legge: “E i gendarmi gli tapparono la bocca e lo condussero in gattabuia”.
Legarsela al dito, quel gesto per ricordare un torto subìto
Questa è un’antichissima tradizione. Un metodo per non dimenticarsi le cose. C’è chi ancora fa il nodo al fazzoletto. Un tempo invece si legavano alle dita della mano piccole strisce di pergamena, contenenti i precetti religiosi, sempre per non dimenticarli. Inoltre in Turchia i cavalieri legavano un filo d’oro al dito dell’amata, come promessa d’amore. Col tempo il filo è stato sostituito dall’anello e l’espressione ha perso ogni aspetto romantico . Oggi indica soltanto la volontà di non dimenticare un torto subìto, attendendo il momento della vendetta.
Vai a quel paese! Uno dei modi di dire più usato
Molto nota e molto usata questa espressione gergale che fa parte degli insulti. Le frasi più apprezzate da chi studia una lingua nuova.
Una delle cose più divertenti è imparare gli insulti in un altro idioma. Quando queste espressioni vengono dette in modo scherzoso, possono essere davvero divertenti, inoltre hanno spesso delle origini misteriose che li rendono ancora più affascinanti. In italiano, per esempio, quando qualcuno ci ha fatto esasperare, o ci ha fatto un torto, lo mandiamo a quel paese: ma quale paese?
Nessuno lo sa, ma sapeste quanta gente che c’è andata. Alberto Sordi interpretò nel 1981 un brano che è rimasto famosissimo, di Mattone e Migliacci, dal titolo romanesco: “Te c’hanno mai mannato a quer paese?” Un gioco di doppi sensi e di farsi gergali molto divertenti, basati su uno dei modi di dire più usati dai nostri concittadini. In spagnolo c’è l’espressione colorita “Vete al infierno!” o “Vete al diablo!” ma non sono espressioni gergali intraducibili come “quel paese”. Si avvicina di più al gergale l’americano: “Fuck off!”
Piove sul bagnato
Assieme a “chi ha denti non ha pane e chi ha pane non ha denti”, questo modo di dire esprime in modo perfetto tutta l’indignazione quando succede qualcosa di veramente ingiusto a chi non se lo merita per niente. Se, ad esempio, un miliardario vince la lotteria oppure uno che è appena stato mollato dalla fidanzata perde anche il portafoglio, ecco, in quei casi piove proprio sul bagnato! In spagnolo ne esiste una simile “llueve sobra el mojado!” Con lo stesso significato il cantante Camilo Sesto ha interpretato Llueve sobre mohado un bravo del 2017. In inglese invece viene tradotto con “it never rains but it pours” letteralmente “non piove ma, ma diluvia”.
Modi di dire: acqua in bocca!
Questo detto nasce dal fatto di impedirsi di parlare come se si tenesse dell’acqua in bocca. Secondo la leggenda è quello che il prete confessore avrebbe consigliato alla sua parrocchiana pettegola per evitare di commettere il peccato di spettegolare sulle altre persone, rivelandone segreti e difetti. In inglese non va tradotto letteralmente ma con la frase gergale: “Take it for yourself!”, tienitelo per te… Ma questo è più un consiglio o una imposizione. Niente a che fare con la colorita espressione idiomatica “Acqua in bocca!” pronunciata magari con un mezzo sorrisetto di complicità.
Si chiama Pietro e torna indietro, ma ne basta la metà
È la frase che si pronuncia quando si presta qualcosa. Tanto è conosciuta che è sufficiente pronunciare la prima metà soltanto. “Ti presto questo libro, guarda che si chiama Pietro!” l’altro già comprende che va restituito assolutamente.
Tanto funziona che lo chiamiamo in causa ogni volta che prestiamo qualcosa. Chiedere la restituzione è quasi offensivo, visto che si tratta di una persona di fiducia, altrimenti non faremmo il prestito. Tuttavia con questa frasetta si riesce a dire la verità, che lo rivogliamo indietro, senza essere sgarbati.
In spagnolo sembra che si dica: “Se llama ida y vuelta”, ovvero si chiama andata e ritorno. In francese potrebbe essere: “S’appelle reviens!” ovvero si chiama torna indietro. Ma come si vede non ci sono né Pedro né Pierre, i modi gergali di un idioma difficilmente si ritrovano in un’altra lingua.
Chiodo scaccia chiodo, modi di dire per relazioni finite male
Succede quando si viene lasciati o si perde qualcosa di importante che ci fa star male, molto male e per superare quella mancanza che sembra impossibile non c’è che scacciare il male con qualcosa che lo faccia dimenticare.
Così chiodo scaccia chiodo diventa il modo di dire che significa sostituire un amore andato con un’altra storia, un amante con un altro, una fidanzata con una nuova fiamma.
Si dice esattamente anche in spagnolo: “Clavo saca otro clavo”, così come in inglese “One pain drives out another” , un dolore ne scaccia un altro e in francese “Combattre le mal par le mal“, sconfiggere il male con un altro male!
Pomo della discordia
Gli antichi credevano che ci fosse una dea, figlia della Notte, sorella di Nèmesi (vendetta) e delle Parche (brutte vecchie dalle mani artigliate) Questa dea, amica di Marte, dio della guerra, si chiamava Discordia e faceva onore al suo nome aizzando continuamente litigi, pettegolezzi e malignità.
Giove la sopportò per un bel po’ ma alla fine perse la pazienza e scacciò Discordia dal cielo. Rabbiosa per questo smacco, Discordia cercò ogni occasione per vendicarsi. Quando ci fu il matrimonio di Teti (dea del mare) e Peleo (semplice mortale) , i futuri genitori di Achille, furono invitati le divinità, uomini e donne, ma certo non fu invitata la Discordia.
Al culmine della festa, lei getto sulla tavola una mela d’oro su cui era scritto: “alla più bella”. Le dee più belle presenti al banchetto erano tre: Giunone, Minerva e Venere. Ciascuna voleva la mela per sé e nacque un putiferio, la pace della festa fu turbata e l’allegria finì. Le tre dee si rivolsero ad un pastorello, Paride, perché decidesse quale fra loro fosse la più bella e Paride scelse Venere. Le altre due non si rassegnarono e giurarono vendetta. Da qui si intuisce dove nascono i guai per gli uomini, secondo la saggezza dei greci.
Andarsene con le pive nel sacco, modi di dire in battaglia
La piva è uno strumento a fiato (simile ad un piffero o ad una cornamusa) tipico delle regioni dell’Italia Settentrionale. Poiché tale strumento veniva utilizzato negli eserciti per suonare durante le avanzate contro il nemico o per scandire una marcia vittoriosa, quando la piva rimaneva “nel sacco“, solitamente significava che la battaglia era stata perduta e che ci si stava ritirando. Ecco perché quando qualcuno ha l’aria mesta in seguito ad una delusione di qualche tipo diciamo che ha “le pive nel sacco“!
Fare un quarantotto, ma di che anno parliamo?
Questa la sanno in molti anche per reminiscenze scolastiche. Il detto deriva dal fatto che durante l’anno 1848 l’Europa intera fu attraversata da un’ondata di tumulti, moti e e ribaltamenti politici che diedero una svolta al corso della storia.
Nel ’48 scoppiò la Prima Guerra d’Indipendenza italiana. In Francia ci fu una rivoluzione che portò alla proclamazione della Seconda Repubblica e anche negli stati tedeschi e nell’Impero austriaco si verificarono sommosse per chiedere ai regnanti una nuova Costituzione.
Più recentemente qualcuno l’ha sostituita con Fare un ’68, con ovvie motivazioni ma certamente il ’48 ebbe ben altro spessore e impatto sull’immaginazione popolare.
Vecchio come il cucco, il profeta dei modi di dire
Nella tradizione biblica Abacucco era un profeta minore. Ultracentenario come Matusalemme, veniva raffigurato con una lunga barba bianca. Un profeta minore, molto vecchio e saggio. Dal cui nome abbreviato deriverebbe il detto.
Per altri invece, l’origine del termine Cucco potrebbe risalire al cuco, un fischietto antichissimo in terracotta, spesso a forma di uccellino: probabilmente è il più antico giocattolo sonoro mai costruito. Comunque sempre una cosa vecchissima, della quale si sono perse le tracce.
Le metafore di Pierluigi Bersani
Nella politica in questi anni recenti sono nate molte espressioni gergali colorite e simpatiche, grazie a Pierluigi Bersani. “Siam mica qui a smacchiare i giaguari” è forse la più famosa delle sue tante metafore. Le aveva notate anche Umberto Eco, studioso di semantica, molti anni fa, sottolineando la portata comunicativa eccezionale di queste rappresentazioni.
Colpivano la capacità di comprensione della gente comune più di tanti paroloni, per spiegare la situazione politica del momento. Bersani usa queste sue metafore, che non so se sono inventate al momento o frutto della sua storia emiliana di frequentatore dei ritrovi degli amici al bar. Possono sembrare assurde ma riescono sempre a dare il senso di quello che vogliono dire.
Sul filo del siam mica qui a… ce ne sono diverse:
Siam mica qui ad asciugare gli scogli e Siam mica qui a pettinare le bambole
Tutte con il senso per cui ci hanno votato per fare delle cose importanti, non per non far nulla.
Andiamo a riprendere chi è scappato nel bosco
In tv, all’avvio della campagna elettorale per le politiche, voleva dire andiamo a caccia degli elettori che votavano Pd ma adesso sceglierebbero altri partiti o l’astensione.
Se bevi l’acqua non dimenticarti chi ha scavato il pozzo
La frase era rivolta al rottamatore Renzi, intenzionato come segretario a far piazza pulita della vecchia dirigenza Pd.
La mucca nel corridoio sta bussando alla porta
Nel 2016 citò questo aforisma, commentando la rabbia sociale per la vittoria di Trump.
Tu vuoi un tortello a misura di bocca
Sempre all’indirizzo di Renzi, per quanto riguarda la gestione dei conti pubblici, nel corso del lungo battibecco che ha preceduto la definitiva separazione dei renziani dal Pd.
Non è che puoi fare una scarpa e una ciabatta
“E scusa Crozza”, aggiunse esclamando così dal palco di un convegno dem, a proposito di federalismo fiscale.
E’ difficile rimettere il dentifricio nel tubetto
Il motto scelto quando il Pd litigava al suo interno su Jobs act e sull’articolo 18.
Ci hanno levato la briscola e siamo rimasti col due in mano
Per descrivere e spiegare i problemi economici. A Bersani piace spesso attingere al repertorio di immagini della provincia emiliana.
Il consenso è come una mela al ramo, vien giù quando c’è un cestino che la prende su
Così negli studi di Ballarò, nel 2009 : il giorno dopo lo staff democratico pubblico sul sito bersanisegretario.it la pagina “Cogli la mela insieme a Bersani”.
C’è chi preferisce un passerotto in mano che un tacchino sul tetto
L’equivalente del più noto “meglio un uovo oggi che una gallina domani”.
Oh ragassi, siam mica qui a mettere la crema da barba nei Ringo, invece sarebbe frutto di una delle celebri imitazioni di Maurizio Crozza, a testimonianza del successo del personaggio Bersani nella cultura popolare di massa.