Non ha mai visto la tv, l’incredibile storia di Matteo
Viene da Madrid ma ha girato il mondo, Matteo però non ha mai avuto una televisione in casa e il cellulare è sotto controllo dei genitori
Matteo è nato all’estero e ha vissuto in vari Paesi, grazie ai genitori. Ora ha 14 anni e vive a Roma. Non ha mai avuto un televisore. Ha il cellulare e un computer, dei quali non è dipendente come i suoi coetanei. È la prova che, se i genitori volessero, potrebbero educare un figlio a sentirsi libero dai video violenti, dal consumismo, dai valori di sopraffazione ed egoismo.
Non ha mai visto la tv
Matteo è nato a Madrid ma vive a Roma. Ha 14 anni e non ha mai visto la televisione. Sembra che i suoi genitori non l’abbiamo mai comprata e quindi non ne ha mai avuta una, anche se ovviamente sa che cos’è. Solo a 8 anni s’è reso conto che questo gesto dei genitori non fosse una cosa abituale, che anzi era un’anomalia nella società moderna. Vivere senza televisione può sembrare perfino assurdo e impossibile a molti di noi, ma se ci pensiamo bene, molti Italiani hanno vissuto per secoli così, fino alla metà degli anni ’50. E le cose non andavano peggio di adesso, anzi.
La televisione ha avuto un ruolo importante per la nostra società
Non si tratta imputare tutte le colpe del mondo alla tv. Sarebbe stupido e poco reale. Le colpe della tv sono degli ultimi decenni e sono imputabili a chi l’ha gestita e l’ha voluta com’è oggi. In passato, specialmente nei primi decenni, ha avuto un ruolo fondamentale per la nostra società.
Contribuendo a dare un’unità linguistica al Paese. A unificarlo superando le divisioni culturali economiche e geografiche. Tutti noi sappiamo che ancora oggi l’Italia non sia un paese unito sotto l’aspetto etnico, con profonde differenze e incomprensioni che ancora attraversano la sua popolazione e le sue regioni. Forse, e nemmeno tanto, solo lo sport è riuscito a realizzare quell’unità di intenti e di sentimenti che ne farebbero una “Nazione”, come lo sono altre realtà europee, con una storia di indipendenza molto più lunga della nostra.
Berlusconi e il berlusconismo televisivo
Quindi la tv ha avuto dei meriti nel mettere in moto il meccanismo di unificazione attraverso messaggi unificanti e di crescita che però, ad un certo punto s’è interrotto. È successo negli anni ’70, con l’entrata in campo delle tv commerciali.
Un fenomeno voluto dalla pubblicità che non riusciva a trovare sufficienti spazi nel servizio pubblico, perché la legge a tutela della stampa, impediva la diffusione libera degli spot promozionali. La nascita delle tv locali e poi l’intervento di Berlusconi con Fininvest, anche grazie all’appoggio di Craxi e di alcuni partiti della maggioranza di allora, consentì la nascita di una tv nazionale in concorrenza al servizio pubblico.
La tv degli anni ’50 e ’60 tuttavia era un’altra tv. La facevano i maestri e non la si poteva fare se non si era professionisti. Da quegli anni la tv commerciale ha importo una tv completamente in mano e in funzione della pubblicità. I professionisti c’erano ma per vendere modelli di consumo, non per favorire una crescita culturale. Oggi i professionisti nella tv si contano sulle dita di una mano.
Tecnici, dirigenti e autori se ne sono andati o sono stati estromessi. I nuovi arrivano da formazioni disparate: partiti, pubblicità, uffici stampa, dj, cantanti, serial… I sistemi per fare carriera sono slegati dalle capacità e l’azienda Rai ha perso il contatto con la realtà del Paese.
Mediaset ha subito una involuzione commerciale che ora il suo presidente sembra voler interrompere. Sta sparendo il servizio pubblico, il cui spazio altre emittenti cercano di occupare (La7, Tv200) e così anche la programmazione di Canale 5 e Rete 4 sta cambiando nei contenuti, lasciando via via il gossip e prediligendo i talk show e le inchieste. Le tv generaliste sono incalzate da Youtube, Prime video, Netflix e dai programmi di sport Dazn e Sky.
La concorrenza non sempre migliora il prodotto
Sempre s’è detto che la concorrenza migliora il prodotto. Nel caso della comunicazione e della cultura non è così, semmai lo è per i tondini di ferro e le saponette. Ma quando si comunica informazione e cultura la concorrenza significa portare al ribasso il livello della comunicazione. Il motivo è evidente.
La tv commerciale vive e nasce per dare spazio alla pubblicità. La pubblicità chiede numeri grandi di ascolto in tv e in qualsiasi altro mass media, radio, cinema e adesso il web. La tvb di adesso non produce per il pubblico, vende il pubblico che la segue alla pubblicità.
La quale acquista tempi e spazi a costi diversi a seconda della fascia oraria. Per avere grandi masse che seguono un programma, la storia di quegli anni ce lo ha in segnato, ove non fosse abbastanza chiaro, ci sono due cose su cui puntare: il sesso e la comicità.
Due temi sui quali la Rai ha sempre avuto grosse lacune, almeno fino a poco tempo fa. Per il sesso ha sempre subito censure legate alla dirigenza democristiana, in ottemperanza ai dettati vaticani. Sulla comicità pure, perché spesso diventava irrispettosa o palesemente critica del potere dominante.
Le censure più famose, a senso unico, che hanno segnato la tv
Si ricordano in proposito censure rimaste storiche che hanno riguardato fatti che oggi ci farebbero sorridere: Tognazzi e Vianello in “Un due tre” che alludevano a Gronchi, Alighiero Noschese che ironizzava su Fanfani e la ballerina Alba Arnova con le gambe coperte da una calzamaglia color carne. Dario Fo e Franca Rame allontanati da Canzonissima, nel ’62 per le scenette sulla mafia e sugli incidenti sul lavoro. Il woytilaccio di Benigni nel 1980, la bestemmia di Mastelloni a Blitz nell’84.
La battuta su Craxi e i socialisti in viaggio in Cina, che costò il posto a Beppe Grillo nel 1986: “Se in Cina sono tutti socialisti a chi rubano?” Fino alle battutacce del trio Marchesini Solenghi Lopez sull’Ayothollà Khomeini e l’editto bulgaro con cui Berlusconi fece cacciare dalla Rai, Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi. Nel 2003 poi vengono allontanati Sabina Guzzanti e Paolo Rossi per interventi troppo irriverenti versoil governo di destra di allora. La storia che si ripete.
I giovani: i primi ad abbandonare la tv
La televisione italiana ha avuto per molti anni una Tv dei ragazzi che ha segnato e influenzato molte generazioni, compresa quella del ’68. Personaggi come i protagonisti di Rin Tin Tin, Fonzie, Il marziano, Scaramacai, Lassie, Zorro, Furia ecc. non sono ascrivibili a una forma diseducativa della tv, al contrario. Erano programmi in cui i valori del sentimento, del rispetto e della tolleranza erano prioritari. Specie se confrontati con i programmi e i video che i ragazzi guardano oggi.
La televisione, dall’anno 1975 in poi, ha iniziato una sua involuzione verso il basso, una discesa di contenuti, per carpire più ascolto possibile, che ha degradato tutto il mondo della comunicazione audiovisuale, favorendo la violenza, la forza, il razzismo, in controtendenza con i valori della scuola e della famiglia tradizionale.
Perché questi messaggi raccoglievano maggior consenso di pubblico. Questa tendenza si è manifestata anche con le tecniche di realizzazione, che hanno favorito il montaggio rapido, i primissimi piani, i dettagli rispetto ai campi lunghi, una costruzione della sceneggiatura non lineare, con salti continui del racconto, che risulta così spezzettato, più facilmente divisibile per dare spazio alle inserzioni pubblicitarie, il tutto con ritmi serrati che riducono le capacità critiche e fidelizzano l’ascolto.
Gli amici di Matteo sono rimasti sorpresi dall’assenza del televisore
Scoprire che possa esserci, non un adulto, ma un ragazzo, un preadolescente di 14 anni, che ha fatto a meno della tv e dei suoi programmi, in tutta la sua vita, è una sorpresa troppo interessante per chi si è sempre occupato di mass media e dei loro effetti sulla società moderna. Quando Matteo ha invitato a casa alcuni suoi compagni, questi sono rimasti interdetti nel non vedere un televisore campeggiare nel salotto. Sono rimasti sorpresi e lo hanno messo in imbarazzo, proprio perché si è scoperto “diverso da loro”.
«Ma davvero non hai la tv in casa?» gli hanno chiesto. Matteo ha dovuto ricorrere a delle scuse per rispondere perché lui stesso non si era neanche posto il problema prima e non aveva una risposta convincente. Invece che una scelta di alto profilo culturale, oggi, non avere la tv, per i compagni di Matteo, potrebbe sembrare appartenere a un’appartenenza a una cultura emarginata. La mancanza di uno status symbol. Così lui ha risposto che gli piaceva leggere! Ed era la verità.
Gli amici si sono sorpresi più per l’assenza dell’elettrodomestico
Di fatto, i giovani come Matteo ormai sono anni che non guardano la tv generalista. Il televisore però è uno strumento che hanno trovato in casa fin dalla nascita. Li avrà interessati i primissimi anni, con i canali di cartoons o con il cinema a loro dedicato.
Poi quando sono passati al telefono e al tablet o al computer, quello schermo se lo sono dimenticato. O lo hanno usato come schermo finale di software provenienti dalla Rete. La loro sorpresa nei confronti di Matteo quindi è più per l’assenza dell’elettrodomestico che per la sua programmazione. Già oggi i programmi delle tv generaliste interessano poco gli stessi adulti e il popolo della tv e normalmente composto da anziani over 65.
I ragazzi vivono incollati al cellulare, in ogni frangente della loro esistenza. Se ne separano solo quando passano al computer. Ma è la stessa cosa, perché il loro software resta identico: Instagram, Tik Tok, Whatsapp, Telegram. Ovvero canali in cui ci si comunica più per immagini e frasi telegrafiche o a voce. Hanno inventato un linguaggio innovativo fatto di frasi e interlocuzioni ridotte, segnali, emoticons, stickers. Non sanno più scrivere una frase, un tema, un racconto.
La loro formazione si va impoverendo perché non leggono più, non si pongono problematiche esistenziali e quando se le pongono non c’è nessuno che li ascolti.
Matteo ha un ricordo felice dell’infanzia trascorsa coi genitori
Matteo è spagnolo ma vive con la sua famiglia a Roma. Sua madre è una consulente familiare per migliorare i rapporti tra genitori e figli, e suo padre lavora alla FAO. Hanno cresciuto i loro tre figli (Matteo è il maggiore), con l’idea di condividere tempo di qualità in famiglia.
«Ho un ricordo molto felice della mia infanzia perché siamo stati senza televisore e questo ci ha permesso di passare molto tempo insieme facendo cose creative. Con le scatole di cartone abbiamo costruito macchine che non funzionavano mai bene, abbiamo realizzato perfino mobili che sembravano più o meno belli.
Come dice mia madre, l’importante non è il risultato, ma il processo, l’abilità, l’apprendimento e la risoluzione dei problemi, l’immaginazione, la pazienza… e il divertimento», ha detto ancora il giovane ad Abc Network.
Il primo cellulare a 13 anni, sotto la guida dei genitori
Matteo ha avuto un’infanzia invidiabile. A Madrid resta fino all’età di tre anni. Poi si è trasferisce con la famiglia negli Stati Uniti, in Inghilterra e ora vive in Italia. Sono esperienze che formano un ragazzo. Aprono la mente.
Lo spazio dove normalmente si mette il televisore è occupato dai libri. Le sue passioni sono la lettura e gli scacchi. I suoi ricordi d’infanzia sono di giochi e di interazione con i genitori e gli amici. Tutta la sua crescita non è stata contaminata da slogan pubblicitari, canzonette, mode, prodotti, personaggi.
Da questo punto di vista è un’analfabeta mediatico. Ha avuto il suo primo cellulare a 13 anni: “Da allora ho avuto un accesso limitato, i miei genitori mi controllano. Utilizzo telefono e computer per i compiti, ma anche per giocare a scacchi online e guardare il calcio. Il cellulare solo per inviare WhatsApp e parlare con i miei amici. Non mi sembra male avere tempi di consumo limitati. Quando mi hanno dato il dispositivo, i miei genitori mi hanno avvisato che volevano che rimanessi libero e potessi continuare a fare quello che facevo prima e che mi piaceva”, ha aggiunto.
Matteo ha più strumenti critici dei suoi coetanei grazie ai genitori
Quando parla dei suoi amici spiega: «Ero consapevole che potevo diventare dipendente perché li vedevo sempre in attesa di notifiche, come soffrivano se rimanevano senza batteria. Non riuscivano a svolgere un’attività per più di 20 minuti di seguito. Se giocavamo a calcio, si fermavano a guardare il cellulare»
«Mi sono reso conto che non passare molto tempo ogni giorno sul cellulare mi ha aiutato non solo ad avere un interesse, gli schermi, ma ad interessarmi a tante altre cose».
Matteo sa, ha capito, si rende conto del vizio che attanaglia i suoi coetanei. Ma è qualcosa da cui non riesci a strapparli. La loro vita è segnata. Dipenderanno sempre da un video, una notizia, spesso inutile, un marchio, un suggerimento. Sono figli del Grande Fratello, non il programma più stupido della tv ma quello di Orwell, l’occhio che ti segue e ti indirizza, gli algoritmi pubblicitari. Matteo sa, decide, pensa per sé stesso. Ha un bagaglio critico che lo aiuta a scegliere.
Se volessimo sapremmo cosa fare. In Svezia, nella scuola, hanno proibito l’uso di cellulare e computer e si torna a scrivere con la penna e a dare valore al libro, alle storie, alla narrazione scritta. Si torna ad imparare a scrivere e a parlare. L’uomo di domani deve pensare con la propria testa.