Non si laurea e si suicida: ultima tragedia di un fenomeno con le stesse dinamiche
Cosa scatta nell’interiorità di un ragazzo che sceglie di rinunciare alla propria vita per paura di deludere la famiglia?
Tornano le sessione di tesi in presenza e con esse il drammatico ripetersi di gesta disperate di coloro che avevano promesso una laurea, ma in verità ancora molto indietro con gli esami.
Così a Bologna una coppia di genitori con addosso abiti eleganti e con la bottiglia di spumante in borsa, pieni di orgoglio e forse una busta di coriandoli da lanciare in aria per festeggiare la laurea in economia e commercio del figlio 29enne tanto attesa, si ritrova a dover riconoscere sotto le arcate di un ponte il corpo senza vita del giovane.
Non si laurea e si suicida: ultima tragedia di un fenomeno con le stesse dinamiche
Il fatto in questione è solo l’ultimo di una lunga sequela di suicidi alla base dei quali si rilevano le stesse dinamiche. Un piano di studi non in regola con le tempistiche accademiche e la paura di recare delusione. Ventinove anni significa essere fuori corso, significa gravare ancora sulle finanze della famiglia, significa non essere riusciti a concretizzare tutti gli sforzi e gli investimenti fatti per raggiungere l’agognata laurea. Ma più di tutto significa aver fallito, aver deluso e in qualche modo tradito.
La cronaca non è nuova rispetto a certi episodi che vedono spesso come protagonisti ragazzi introversi e molto fragili. Ragazzi che non riescono a trovare il coraggio di confidare ai genitori o agli amici le proprie preoccupazioni rispetto la carriera universitaria, costruendo una realtà parallela per scappare da eventuali reazioni troppo frustranti da poter gestire.
Senso di fallimento e il circolo vizioso delle bugie
Il fallito superamento di un esonero o di un esame viene tenuto nascosto e da lì in poi si innesca un pericoloso circolo vizioso fatto di bugie che si sommano, fino a costituire un peso insostenibile da sopportare, ed è proprio quando la bugia perde ogni copertura si viene inesorabilmente smascherati. E’ qui che l’angoscia diviene insopportabile e l’unica via di fuga è il voler scomparire da una vita in cui ci si sente inadeguato.
Questo genere di strategie messe in atto nel tentativo di sopravvivere momentaneamente al proprio iniziale fallimento, accendono un vero e proprio timer che scandisce un conto alla rovescia. Da quel momento in poi il destino è segnato. Il giovane finisce per perdere il contatto con il proprio Sé, restando incastrato fra la realtà vera e quella creata per non deludere la famiglia. Uno spazio di tempo più o meno lungo vissuto nella totale preoccupazione e attesa dell’epilogo finale. È in questo preciso limbo che diviene importante saper riconoscere eventuali cambiamenti di umore o le più sottili espressioni di preoccupazione.
È in questa fase che ancora si può intervenire facendo capire al giovane che qualsiasi reazione dei propri cari non potrà mai essere più devastante della scelta di farla finita. Proprio in questo esatto momento che si deve lavorare sulla piena consapevolezza di una propria autorealizzazione che va oltre la riuscita accademica.
Una storia ogni volta diversa, ma con un Sé sempre fragile
Malgrado la dinamica di base possa risultare simile, per spiegare il fenomeno è assolutamente necessario poi scavare nella soggettività dei protagonisti. Perché ogni volta dietro c’è una storia e una vita diversa.
Immaginiamo solo quello che può accadere nei giovani che dopo aver vissuto in contesti più semplici e ben organizzati si ritrovano improvvisamente proiettati in metropoli gigantesche dove l’offerta del divertimento, come anche quella delle frequentazioni è diversificata e ad ampio raggio. In questi casi un “Sé” fragile e non ancora ben strutturato può facilmente crollare e perdersi all’interno del caos che certi contesti presentano.
In egual misura quel giovane che non ha ancora maturato una propria personalità e una forma di autogestione, può vivere grande difficoltà nel riorganizzare se stesso difronte alle scadenze di un piano di studi che magari non è neanche pienamente riconosciuto dallo stesso.
I modelli della società e le pressioni della famiglia
Per non parlare della pressione che alcune volte la società stessa impone con i suoi modelli vincenti e con il suo nuovo concetto di tempo. Un tempo che attraverso le scadenze detta le regole e decreta sentenze continue. Infine le grandi aspettative della famiglia che finiscono per proiettare sui figli il riscatto di una vita non pienamente soddisfacente e tutti gli sforzi finanziari. Tanto che quel giovane, ancora troppo giovane, si ritrova non più a investire sul proprio futuro, quanto più a dover riscattare il passato di qualcun altro, caricando sulle sue spalle tutta l’angoscia e la responsabilità di un’eventuale fallimento.
Tuttavia per intervenire bisognerebbe intercettare certi segnali che non sempre sono comprensibili, specie ai non addetti ai lavori.
Sportelli di sostegno psicologico nelle università
Anche per far fronte a questo, già in passato si è parlato della creazione di sportelli appositi nelle università. Servizi di ascolto che possano in qualche modo ricevere le richieste di aiuto da parte dei giovani laureandi in difficoltà.
Un vero e proprio supporto psicologico che oltre ad aiutare il giovane nella scelta dei programmi di studio e nell’apprendimento, possa accogliere le varie ansie o paure che l’esperienza accademica può presentare. L’università è un percorso di crescita formativa con una componente selettiva. All’interno di queste due caratteristiche intrinseche del vissuto universitario, il giovane si barcamena per un riconoscimento personale verso il quale crede.
Se le motivazioni che spingono verso tale obiettivo non coincidono più con se stessi, ma rispondono ad altri, tutto il meccanismo s’inceppa e in alcuni casi l’epilogo risulta essere drammatico.
Invitare i propri genitori per la tesi e sapere bene che quella tesi non può essere discussa perché non si è riusciti a dare gli esami dovuti, ci restituisce il forte grido di dolore, il grande senso di colpa e un messaggio di profonda delusione.
Un grido di paura e disperazione che chissà quante volte si sarebbe voluto urlare al mondo. Un grido che però purtroppo non si è mai avuto il coraggio di far uscire fuori rinunciando così al valore della vita.
In collaborazione con la Dott.ssa Teresa Forcina – Psicologa dello sviluppo e dell’apprendimento