Non usate quel titolo: Black Friday! L’Inquisizione, poi, valuterà White Xmas
Il Corriere dello Sport demonizzato per un gioco di parole che non aveva nulla di offensivo. Chi sarà il prossimo?
Siamo in pieno delirio. E non è solo un episodio. E non c’è niente su cui scherzare.
La demonizzazione del Corriere dello Sport per il titolo “Black Friday”, utilizzato giovedì scorso a mo’ di annuncio in prima pagina del match tra Roma e Inter e come omaggio al nerazzurro Lukaku e al giallorosso Smalling, è una di quelle cose che in astratto sembrano incredibili. Ma che stanno accadendo davvero. E che in futuro, ci si può scommettere, accadranno sempre più spesso.
L’Inquisizione fa così. Si mette in moto cominciando dai Massimi Sacrilegi (a suo insindacabile giudizio, si intende) e via via si estende a ogni altra violazione. Ivi incluse le più piccole. O le più equivocate. Magari ti sei inginocchiato anche tu, ma non abbastanza. Magari hai pregato anche tu, ma non con il dovuto fervore. Magari hai cantato anche tu, nel coro possente degli adoratori del Politicamente Corretto, ma la tua voce non è stata – o non è sembrata – così forte ed entusiasta come avrebbe dovuto.
Pertanto devi essere punito. Additato come esempio negativo. Investito dalla pubblica riprovazione.
È quello che è successo al Corriere dello Sport. Il semplice utilizzo del termine “black” è stato ritenuto offensivo. Nonostante la stessa parola sia impiegata da moltissimo tempo dai diretti interessati, e con orgoglio, in alternativa all’antico “nigger”, reso sprezzante dal suo essere associato agli schiavi “negri”. Avete presente il Black Power degli anni Sessanta? Avete presente la Black Music che ricomprende, senza che nessuno se ne sia mai avuto a male, quei grandi patrimoni emozionali e artistici che sono il blues, il soul, il funky e le loro tante derivazioni e contaminazioni? Avete presente, per pescare nelle cronache degli ultimissimi anni, il movimento Black Lives Matter (“le vite nere contano”) contro gli omicidi di afroamericani da parte della polizia statunitense?
E allora, perdio, dove sta il problema?
Ivan Zazzaroni, direttore del quotidiano sportivo e giornalista navigatissimo, ha replicato alle accuse – anzi: agli anatemi – centrando pienamente il bersaglio.
“Bianchi, neri, gialli. Negare la differenza è il tipico macroscopico inciampo del razzismo degli antirazzismi. La suburra mentale dei moralisti della domenica, quando anche giovedì è domenica. “Black Friday”, per chi vuole e può capirlo, era ed è solo l’elogio della differenza, l’orgoglio della differenza, la ricchezza magnifica della differenza. Se non lo capisci è perché non ce la fai o perché ci fai. Un titolo innocente, peraltro perfettamente argomentato da Roberto Perrone, viene trasformato in veleno da chi il veleno ce l’ha dentro”.
Perfetto. Ma c’è da aggiungere dell’altro.
I pessimi scopi dietro le buone intenzioni
“Poveracci, ma in che società vivono?”
Se una vicenda come quella di cui stiamo parlando la si fosse vista in un film, qualsiasi spettatore non ottenebrato dalla medesima follia dei censori di turno, l’avrebbe percepita come qualcosa di inverosimile.
Una caccia alle streghe talmente esagerata, nelle sue pretestuose motivazioni, da risultare grottesca. Detto in termini colti, una distopia su un futuro minaccioso, autoritario e per nulla augurabile. Detto in linguaggio corrente, uno schifo di mondo in cui ti viene vietato di pensare con la tua testa e di esprimerti di conseguenza.
Il contrario del liberalismo. L’opposto della democrazia.
Viceversa, ecco qua che ci siamo cascati dentro. Che ci hanno trascinati dentro. Una spintarella alla volta, ma con una strategia di lunghissimo corso, siamo stati avviluppati in questa ragnatela di vincoli via via più stringenti. Più cavillosi. Più infidi.
Tanto più infidi perché si ammantano di buone e filantropiche intenzioni, mentre invece mirano a sottrarre alla libera riflessione porzioni crescenti delle vicende umane, a cominciare da quelle su cui si basa il potere economico dell’establishment: se dico che uno sfrenato speculatore di Borsa è un avido e pericoloso bastardo lo sto dipingendo, e denunciando, per quello che è, o sto offendendo il suo legittimo amore per il denaro? Se affermo che il modello di produzione e di consumo che oggi domina il mondo è agli antipodi dello sviluppo interiore delle migliori potenzialità umane, è un parere lecito, ancorché personale, o verrò incriminato per “intralcio al PIL”?
Laddove questi atteggiamenti maniacali venissero da un singolo individuo si parlerebbe, a ragion veduta, di nevrosi. Per non dire di psicosi. Nel momento in cui le insofferenze personali smettono di avere un saldo ed equilibrato legame con la realtà, si sconfina appunto nello squilibrio. Le preferenze soggettive diventano avversione generalizzata. E quindi, se non si rende inoffensivo chi ne sia dominato, le premesse di comportamenti aggressivi. Più o meno violenti. Più o meno letali.
Beninteso: chi tira i fili non è affatto un isterico. Gli isterici sono quelli che gli danno manforte pervasi dal Sacro Fuoco della caccia al razzista e al discriminatore, benché presunti. La Storia sta lì ad attestarlo. Qualsiasi idea potente, buona o cattiva che sia, aggrega e incendia i suoi fedeli, i suoi sagrestani, i suoi “utili idioti”.
A un livello più alto, invece, questo è puro calcolo. È fare leva su una battaglia che all’origine è giusta, e che consiste nel valutare le persone senza fermarsi agli aspetti epidermici come appunto il colore della pelle, ma che degenera in un dogmatismo illimitato e assurdo. Si comincia vietando le parole. Si prosegue vietando i concetti.
Il “razzismo degli antirazzismi”, come ha scritto Zazzaroni.
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