Oggi nell’Islam è Festa del sacrificio, anche detta Festa del montone
L’unica delle tre grandi religioni che ancora pratica il sacrificio di un animale è l’Islam. La festa del montone, quest’anno si celebra in Marocco, giovedì 29 giugno
Qui a Casablanca fa caldissimo. Ci sono 35 gradi all’ombra con un tasso di umidità che arriva al 90%. Oggi ho incontrato il mio amico Ismael, mio ex allievo di canto, che da un anno si è trasferito negli Stati Uniti per motivi di studio ed è tornato in patria in occasione di quella che nell’Islam è considerata la festa più grande: la Festa del sacrificio, anche detta Festa del montone.
La Festa del sacrificio
Ismael è un marocchino ed è musulmano, ovviamente. Porta un nome molto importante nell’islam: Ismaele era il primogenito di Abramo, il patriarca delle tre grandi religioni monoteiste. Se domandassimo a un italiano chi è il figlio di Abramo, probabilmente ci risponderebbe Isacco, perché nella tradizione giudaico cristiana Isacco è il figlio di Abramo che Dio chiede in sacrificio.
Il Signore, per mettere alla prova la fede del patriarca, gli chiede di sgozzare il figlio ma ferma la lama poco prima del colpo ferale, soddisfatto della totale devozione dimostrata. In realtà il primogenito di Abramo, secondo le Sacre Scritture, è Ismaele, avuto da una schiava egiziana perché la propria moglie Sara era sterile. In seguito Dio gli concederà un secondo figlio, anni dopo, e Sara darà alla luce Isacco.
Così se nell’Antico Testamento, comune agli ebrei e ai cristiani, il figlio del sacrificio, rimasto fortunatamente incompiuto, è Isacco, nel Corano, il libro sacro dei musulmani, è invece Ismaele. Per questa ragione I musulmani chiamano essi stessi ismaeliti, discendenti appunto di Ismaele.
Musulmani, Ebrei e Cristiani, come distinguersi?
Musulmani ed ebrei si contendono il primato della discendenza da secoli, a suon di guerre e di recriminazioni, i primi accusando i secondi di aver falsificato il capitolo della Genesi in cui si racconta appunto del sacrificio, sostituendo il protagonista Ismaele col fratellastro Isacco. Ai tempi di Alessandro il Grande furono addirittura intentate delle cause che avevano come oggetto l’eredità di Abramo.
Negli ultimi 4000 anni le tre grandi religioni sembrano aver fatto a gara per distinguersi l’una dell’altra. Così per i musulmani il giorno di festa è il venerdì, per gli ebrei il sabato, per i cristiani la domenica. In Sinagoga ci si copre il capo con la kippah, prima di entrare in moschea ci si tolgono le scarpe e il Cristiano che accede in chiesa si leva il cappello. I Musulmani non mangiano maiale così come gli Ebrei e a questi ultimi è fatto anche divieto di nutrirsi di pesci privi di squame.
Noi cristiani siamo più fortunati e mangiamo di tutto.
Ma c’è un animale che è protagonista della cucina delle tre grandi religioni: l’agnello.
Ecco l’agnello di Dio
Termine spesso evocato anche nel Nuovo Testamento: Gesù è l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Questo perché i popoli che abitavano quelle terre erano fondamentalmente dei pastori nomadi ed allevavano quelli che in antichità venivano chiamati arieti e che poi, col tempo, furono distinti in Ovini e Caprini.
Quella del sacrificio a Dio è una pratica antica quanto l’uomo poiché il sangue è il simbolo della vita. Nell’Antico Testamento, Mosè indica come unico luogo, dove poter celebrare i sacrifici a Yahweh, il tempio di Gerusalemme e quando questo sarà distrutto definitivamente nel 70 dopo Cristo da Tito, figlio dell’imperatore romano Vespasiano (famiglia, quella dei Flavi, che fece costruire il Colosseo) gli Ebrei non ebbero più un luogo dove poter celebrare il rito del sacrificio e di conseguenza da allora gli Ebrei non immolano più animali a Dio.
La scena di Gesù che entra nel tempio e caccia via i mercanti di animali e i cambiavalute, resa celebre dallo sceneggiato Gesù di Nazareth di Zeffirelli o dal film musicale Jesus Christ Superstar, descrive quest’usanza, anche se non spiega esattamente la circostanza.
Ai tempi di Gesù affluivano a migliaia a Gerusalemme per celebrare il rito dell’offerta. C’era chi veniva da molto lontano e naturalmente non avrebbe avuto interesse a portare con sé, durante un lungo viaggio pericoloso e faticoso, l’animale da sgozzare. Avrebbe comportato una spesa in termini di denaro, per nutrire e abbeverare la pecora, la capra o il vitello, e di fatica.
Era più semplice acquistare l’animale sul posto ma, per farlo, occorreva del denaro che fosse accettato nel tempio perché per gli ebrei era peccato riprodurre immagini umane e sulle monete che circolavano all’epoca, vi erano incise le effigi di questo o di quell’imperatore. Ecco la necessità della presenza dei cambiavalute e dei commercianti di animali.
La Festa del Montone
Alcuni teologi, tra i quali Papa Benedetto XVI, ritengono che Gesù fosse un Esseno (comunità monastica giudaica dell’epoca) e come tale contrario al sacrificio degli animali e questo giustificherebbe in parte l’episodio dello scatto di ira del Messia nel tempio. Ad ogni modo, circa quarant’anni dopo, con la distruzione del Tempio, il problema del sacrificio sarà definitivamente archiviato.
I cristiani, sebbene siano un movimento nato dall’Ebraismo, non offrono animali a Dio. Noi al massimo ci rechiamo dal macellaio e compriamo l’abbacchio, che nel dialetto romanesco indica l’agnello da latte. E questo avviene soprattutto durante la Pasqua. Da non confondersi però con la Pasqua ebraica, la Pesach. Quella cristiana commemora la resurrezione di Cristo mentre gli ebrei celebrano la liberazione dalla schiavitù in Egitto ai tempi di Mosè.
L’unica delle tre grandi religioni che ancora pratica il sacrificio di un animale attraverso lo sgozzamento è l’Islam. La festa del montone, in questo 2023 si celebra, in Marocco, giovedì 29 giugno. La data varia ogni anno in base al calendario lunare. Si rievoca appunto il ricordo del sacrificio (incompiuto) di Abramo che come abbiamo già detto per i musulmani vedeva come oggetto il primogenito Ismaele.
E’ buona cosa, per ogni famiglia musulmana che ne abbia la possibilità economica, immolare almeno un animale. Generalmente si tratta di un montone, specie ovina molto diffusa nell’Africa settentrionale e nel Vicino Oriente. Già due settimane prima del giorno della festa vengono allestiti i mercati pubblici, un po’ ovunque, anche in città accanto ai centri commerciali dove i fedeli si recano per contrattare e procedere all’acquisto.
Col montone in motorino
Quest’anno, a causa delle forti siccità, i prezzi sono saliti alle stelle, molte famiglie si sono indebitate per trovare il denaro necessario e milioni di capi sono stati importati dall’Europa. Nei primi anni Ottanta si verificò una siccità ancora più dura di questa e l’allora sovrano del Marocco, il Re Hassan II, vietò la macellazione dei montoni durante la festa del sacrificio.
Una volta acquistata la bestia, questa viene condotta a casa in ogni modo possibile: chi se lo può permettere noleggia una sorta di Ape Car, altri, più temerari, trasportano il montone vivo in motorino. Qualcuno lo porta via al guinzaglio come fosse un animale domestico.
L’oggetto del sacrificio viene tenuto in casa quasi sempre in un bagnetto o in un terrazzino, nutrito ad acqua e fieno, fino al giorno fatidico in cui, persone qualificate allo sgozzamento, passano di casa in casa e procedono alla macellazione.
La prima volta che fui invitato alla festa del montone era il 1980. Non so per quale ragione ma i bambini maschi sono in genere attirati dal sangue e dalla violenza a differenza delle femminucce che ne provano ribrezzo. Oggi, pur rispettando le tradizioni altrui, non trovo alcun fascino in questo bagno di sangue. Dovete immaginare quello che accadrà il giorno della festa qui in Marocco: gli animali saranno sgozzati nelle cucine, sui terrazzini, sul portone di casa e il sangue colerà dai palazzi giù per le strade.
L’aria diventa irrespirabile
Alla fine della giornata i giovani raccoglieranno le teste degli animali e le bruceranno sui marciapiedi. Quando poi la festa capita d’estate, come quest’anno, il caldo afoso non aiuta e l’aria, a causa delle pelli in decomposizione abbandonate vicino ai cassonetti dell’immondizia, diventa irrespirabile.
L’Islam prevede che un terzo dell’animale sia donato ai più poveri, un terzo offerto ai vicini di casa e il resto consumato dalla famiglia che l’ha sacrificato.
Per tre settimane le macellerie e le pescherie restano chiuse. Gli stranieri come me, non musulmani, fanno scorte di carne da congelare prima della festa.
In realtà le scene che si svolgono nelle case marocchine il giorno della festa non sono dissimili da quello che si vede nel film di Olmi, l’albero degli zoccoli, nella sequenza della macellazione del maiale.
Un vicino di casa marocchino mi ha chiesto se avessi comprato un montone. Gli ho risposto che non essendo io musulmano non l’avevo fatto. Mi ha domandato, stupito, che cosa avrei mangiato il giorno della festa. Aumentando il suo stupore gli ho detto:
“Un piatto di spaghetti al pomodoro e basilico”.