Oh, il “povero” Cecchi Gori che rischia di finire in cella per bancarotta etc.
Dal Giornale a Libero, da Sgarbi a De Sica e a diversi altri attori. Parola d’ordine: esecrare il carcere, minimizzare i reati
Fossero solo degli auspici ispirati all’umana pietà, vabbè. Il condannato è effettivamente molto anziano, 78 anni il prossimo 27 aprile, ed è in condizioni di salute assai precarie, avendo subìto un’ischemia che gli rende difficile anche solo camminare.
Ma una levata di scudi, e per di più scandalizzata come se si trattasse di un intollerabile abuso perpetrato ai danni di un povero cristo senza la benché minima colpa, proprio no. Dice Sgarbi: è una «barbarie della magistratura». Dice Christian De Sica: «portare in carcere un povero vecchio malato è un po’ una follia». Titola Libero, in prima pagina: “Giustizia crudele: Cecchi Gori in cella a 78 anni”. E al di sopra di questa frase, nel cosiddetto occhiello, va addirittura oltre: “Vergogna, punito per vicende antiche”.
I dati di fatto stanno nei dispositivi delle sentenze, che sfociano in un totale di otto anni, cinque mesi e ventisei giorni di reclusione, e fino a prova contraria vanno presi per buoni. Occhio: dicendo “fino a prova contraria” non ci riferiamo necessariamente a un ulteriore pronunciamento giudiziario, che ormai potrebbe arrivare solo attraverso una revisione del processo e che perciò, dopo la Cassazione, è praticamente escluso. Sappiamo alla perfezione che i giudici sono tutt’altro che infallibili e che su non poche delle loro iniziative, specialmente se dalle pesanti ripercussioni politiche, grava l’ombra di finalità oscure.
Ergo, andrebbe benissimo anche un’analisi serrata delle vicende che hanno portato a questo epilogo. Un’analisi che smentisse la fondatezza delle indagini, dei reati contestati, delle condanne irrogate.
Niente di tutto questo, invece.
Bancarottiere sì, ma pazienza
In un articolo pubblicato ieri, il Giornale esordisce così: “È come se tante assurdità della giustizia si concentrassero all’improvviso sulla testa di quest’uomo anziano e malconcio, orfano di un passato spettacolare e segnato da una fresca ischemia”.
Una perversa combinazione, insomma, di rigidità burocratica e di disavventure personali. Di qua il cieco incedere dei tribunali, che chissà perché si ostinano a emettere delle sentenze penali anche quando l’imputato è un vecchio e ormai scassato filibustiere del mondo dello spettacolo. Di là un imprenditore dinamicissimo che sarà pure incappato in una serie di fallimenti per nulla cristallini, vedi l’indebita sottrazione di beni aziendali alle pretese dei creditori, ma che – suvvia – rimane un personaggio esuberante e a suo modo simpatico.
Prosegue lo stesso articolo: “Vittorio Cecchi Gori, anni 78, è un concentrato di ex: ex produttore, ex sciupafemmine, ex deputato, ex padrone della Fiorentina, ex simbolo di un’Italia arraffona e allegra, geniale e disinvolta. Da giovedì sera, però, è soltanto un detenuto”.
Strano approccio: oggettivamente sono reati e su questo si sorvola; amichevolmente si riducono a un miscuglio di circostanze sfavorevoli e di spregiudicatezza appena un po’ smodata. Ma in fondo scusabile, appunto, perché tipica di “un’Italia arraffona e allegra, geniale e disinvolta”.
Una sorta di salvacondotto giudiziario per raggiunti limiti di età. E per acquisiti meriti di trafficone-viveur.
Il Codice penale adattato al jet set, e dintorni. Chi è avvezzo ai salotti, e alle terrazze con vista sugli scorci più belli di Roma, o di Milano, o di Firenze, mica può finire in galera. Ma dai: i crack finanziari non si possono certo confondere con i crimini veri e propri, come ad esempio le rapine a mano armata. Eh no, che diamine. Diciamo che assomigliano di più a delle perdite al gioco: colpi di sfortuna che si abbattono su chi tenta la sorte, su chi azzarda, su chi si assume i rischi della libera impresa.
Andrea Scaglia, sul quotidiano di Vittorio Feltri, lo scrive quasi pari pari: “Posto che non stiamo parlando di un assassino – qualcuno ci spiegherà quanto sia più dannoso per la società un bancarottiere di un omicida, ma tant’è – (…)” .
Traduzione: chi se ne frega. Il delinquente di strada deve finire in galera. Quello di alto bordo si merita al massimo i domiciliari.
Ma proprio a volersi accanire, ecco.