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Omicidio Ilaria Sula: la doppia faccia di Mark Samson e la calma dopo la violenza

Il caso Ilaria Sula non è ancora risolto. Anche due amici di Mark avrebbero avuto un ruolo nell’occultamento del cadavere

Mark Samson, omicida Ilaria Sula

Mark Samson, omicida Ilaria Sula

C’è qualcosa di disturbante nel comportamento di Mark Antony Samson nelle ore successive all’omicidio di Ilaria Sula. Disturbante non solo per la freddezza del gesto in sé, ma per l’assenza di qualsiasi cedimento visibile. Nessun segno di smarrimento, nessuna incrinatura nel tono o nei gesti. Chi lo ha visto poco dopo il delitto non ha avuto il sospetto di trovarsi di fronte a un ragazzo che aveva appena ucciso la propria ex fidanzata e occultato il corpo. Ed è forse proprio questo che ha colpito gli inquirenti e che ha spinto il giudice per le indagini preliminari a usare parole precise: “forte autocontrollo e lucidità”.

La mattina dopo il delitto, mentre Ilaria era già chiusa in una valigia gettata in un dirupo, Mark pranzava con un’amica comune, raccontandole dei problemi che aveva con la ragazza. Una conversazione surreale se si considera che parlava di lei al passato prossimo, come se fosse ancora viva. Il racconto è arricchito da dettagli quasi grotteschi: si parla del compleanno del fidanzato dell’amica, dei cornetti per una misteriosa “nuova fiamma”. Tutto nel tentativo – riuscito, almeno temporaneamente – di restituire un’immagine di sé normale, inserita nella quotidianità. Un Mark “funzionante”.

L’ansia di prestazione come copertura

Durante l’interrogatorio, Samson ha cercato di orientare il suo gesto come frutto di una “crisi”, un impeto di rabbia, gelosia, stress accumulato per l’università. Un tentativo goffo ma non privo di strategia: riconoscere l’atto, svuotarlo di premeditazione, ammorbidirne i contorni. È la narrazione di un giovane sopraffatto dalle pressioni. Eppure, la ricostruzione degli investigatori smonta questa versione pezzo dopo pezzo.

Le celle telefoniche, i movimenti documentati, le testimonianze delle persone incontrate dopo il delitto raccontano una storia diversa. L’azione appare pianificata almeno nei suoi sviluppi immediati: il corpo nascosto, la casa ripulita, i messaggi inviati dal telefono di Ilaria alle sue amiche e al padre. Una messinscena. Il tentativo di tenere viva la presenza digitale della vittima per guadagnare tempo. Fino a quel messaggio pubblicato su Instagram il 31 marzo: “Sto bene. Grazie a tutti”. Ma chi lo ha scritto? Samson si è rifiutato di rispondere a questa domanda. Un silenzio che pesa più di molte parole.

La rete silenziosa attorno all’assassino di Ilaria Sula

Col passare dei giorni, l’indagine ha allargato il proprio raggio. La figura della madre di Mark, inizialmente sullo sfondo, è entrata al centro del fascicolo. È stata lei stessa ad ammettere di aver aiutato il figlio a pulire l’appartamento dopo l’omicidio. Un gesto che apre interrogativi sulla complicità, sulla dinamica familiare, sulle scelte compiute dentro uno spazio privato che diventa improvvisamente scena del crimine.

Non è finita. Anche due amici avrebbero avuto un ruolo nell’occultamento del cadavere. Il gip parla di versioni poco chiare e di elementi ancora da chiarire. Ma il punto non è solo giuridico: la vera questione è umana. Com’è possibile che più persone abbiano partecipato, anche solo passivamente, a una catena di azioni così gravi? Si tratta di una solidarietà distorta, di paura, di una forma cieca di protezione?

Il delitto come messa in scena

Nel cuore di questo caso c’è una dissonanza che non smette di colpire. Da un lato c’è il gesto violento, irrazionale, definitivo. Dall’altro una capacità inquietante di rientrare nella normalità, di simulare una quotidianità priva di incrinature. È come se la morte di Ilaria fosse stata trattata da Mark Samson come un elemento da “gestire”, non da affrontare. E questa gestione ha incluso il controllo dell’apparenza, delle comunicazioni, delle relazioni. Anche dopo l’omicidio, Mark non ha interrotto il suo ruolo sociale. È rimasto figlio, amico, conoscente. E questo è forse ciò che rende tutto più difficile da metabolizzare.

La giustizia farà il suo corso, tra interrogatori, accertamenti, perizie e processi. Ma già ora, a prescindere dalle eventuali responsabilità penali dei soggetti coinvolti, il caso di Ilaria Sula mostra quanto possa essere spiazzante e ambiguo il volto della violenza quando si nasconde dietro la normalità. E quanto il male, quando non ha il volto del mostro, ma quello del ragazzo tranquillo e ben educato, diventi ancora più difficile da comprendere.