Ooooh: la UE ci vuole bene. Parola, per oggi, di Ursula von der Leyen…
Letterina al miele della presidente della Commissione Europea. E spunta il Sure, un nuovo fondo da 100 miliardi
Ultima puntata, e relativo trailer, della fiction attualmente in onda a getto continuo: “2020: Salvataggio Italia”.
La trama ce l’avete sotto il naso tutti i giorni e se ancora non vi fosse chiara, quantomeno nelle linee generali, dovreste fermarvi almeno un po’ e domandarvi il perché. Domandarvi che cosa vi sfugge. Ripartendo dall’antefatto: un Paese, il nostro, in piena crisi politica ed economica. All’interno di un Occidente, e in particolare di un’Europa, che al di là degli stessi dati ufficiali sta implodendo sotto il peso delle sue contraddizioni, e debolezze, e ipocrisie.
Ipocrisie, appunto. Con una lettera aperta pubblicata oggi da Repubblica, Ursula von der Leyen sfodera l’ennesimo discorsetto all’insegna di principi e di valori che, nell’odierna Unione Europea, risplendono soltanto nelle dichiarazioni ufficiali. O al massimo quando non costa nulla travasarle in provvedimenti concreti. Ma che si dissolvono in un amen quando le esigenze degli stati in difficoltà vanno a interferire con gli interessi e gli egoismi degli stati più forti. Più forti o presunti tali: perché già sul significato e sulle cause di tale supremazia ci sarebbe moltissimo da discutere.
La lettera comincia con una lunga premessa sulle sofferenze e le traversie dell’Italia,che per il suo modo di affrontare l’emergenza “è diventata anche la più grande fonte di ispirazione per noi tutti”.
Vale a dire?
Vale a dire che dopo lo scontro sui Coronabond, e la diatriba sul Mes, si pensa di uscire dall’impasse con un marchingegno finanziario creato appositamente. Una riverniciatina. Una dilazione. Un dispositivo tecnico che dia modo di sfuggire, una volta di più, alle due questioni fondamentali e intrecciate tra di loro: la sovranità monetaria e la moneta-debito.
“L’Europa – scrive la presidente della Commissione Ue – vuole dare una mano, stanziando nuove risorse per finanziare la cassa integrazione. L’Unione stanzierà fino a cento miliardi di euro in favore dei Paesi colpiti più duramente, a partire dall’Italia, per compensare la riduzione degli stipendi di chi lavora con un orario ridotto. Questo sarà possibile grazie a prestiti garantiti da tutti gli Stati membri – dimostrando così vera solidarietà europea. Tutti i Paesi membri contribuiranno a rendere possibile questo nuovo strumento, che si chiama “Sure”. (…) E questo è fondamentale per far ripartire al più presto il motore dell’economia europea”.
Seguono svolazzi vari, tipo gli omaggi di maniera a “agricoltori e pescatori, che ogni giorno danno da mangiare al nostro continente”, e si arriva al gran finale: “Questa crisi è una prova per l’Europa. E non possiamo permetterci di fallire. Le decisioni che prendiamo oggi verranno ricordate per anni. Daranno forma all’Europa di domani. Credo che l’Europa possa riemergere più forte da questa situazione, ma dobbiamo prendere le decisioni giuste – qui ed ora. Abbiamo già intrapreso alcune azioni coraggiose. Molte altre saranno ancora necessarie. Preferiremmo tutti vivere tempi più facili. Ma oggi quello che possiamo decidere è come reagire. Ho in mente un’Europa fondata sulla solidarietà – la nostra più grande speranza e il nostro investimento in un futuro comune”.
Mattarella, di sicuro, correrebbe ad abbracciarla. Covid-19 permettendo.
Solidali, yes-ja-oui
Avessimo un euro ciascuno, per ogni parola retorica che ci è stata ammannita nel corso dei decenni riguardo all’Unione Europea, saremmo decisamente più agiati. Se non proprio straricchi.
Ursula von der Leyen è tra le new entry, in questa sterminata folla di imbonitori (oops: di sognatori), ma sta inanellando anche lei la sua collezione personale. Vedi, l’11 marzo scorso, il video in cui aveva declamato un altisonante, benché un tantino stereotipato, «In questo momento siamo tutti italiani”.
Come no? Una sciagura alla volta in giro per il mondo, anzi per l’Occidente, e siamo tutti questo e quello. Americani dopo l’Undici Settembre. “Charlie Hebdo” dopo la strage nella redazione dell’omonima rivista. Francesi dopo la carneficina del 13 novembre 2015 a Parigi. Commossi all’istante. Empatici per un paio di giorni. Superficiali come al solito.
All’apparenza è un risveglio: perché non siamo sempre così vicini e solidali come adesso?
Di fatto è il consueto Grande Sonno in una forma diversa: ci atterrisce il sangue versato una tantum dai terroristi; ci lascia indifferenti, o comunque inerti, quello succhiato giorno per giorno da un intero sistema economico imperniato sulla competizione sfrenata e sullo sfruttamento a oltranza. Ci hanno abituati all’idea dell’ineluttabile e l’abbiamo assimilata fino a trasformarla in un riflesso condizionato. Che forse può aiutare noi a sopportare il peso della nostra impotenza a cambiare la realtà. Che di sicuro regala un alibi a priori, e all’infinito, alle classi dirigenti. Mica è un problema locale: è planetario. È globale.
L’odierna lettera “latte e miele” della von der Leyen si inserisce perfettamente – e quindi nel modo più deprecabile e odioso – in questo quadro di acquiescenza generale che impedisce di tirare le somme da ciò che è accaduto in precedenza. E di tirarle una volta per tutte.
Passando finalmente dal malcontento sterile del popolino che si lamenta alla rabbia lucidissima e implacabile di un popolo che si ribella.