Orgoglio italiano, i Campioni d’Europa e Berrettini sono già nella Storia
La Nazionale ha almeno raggiunto l’ultimo atto di un grande torneo (quasi) ogni decennio. E il tennista è il quarto di sempre in una finale Slam, e il primo nel “tempio” di Wimbledon
Dopo qualche giorno e a mente fredda, sono i freddi numeri a darci la misura delle imprese, e a gonfiarci il petto di orgoglio italiano. Orgoglio per la Nazionale di calcio che dopo 53 anni è tornata sul tetto d’Europa, orgoglio per Matteo Berrettini, primo finalista nostrano a Wimbledon. Gesta che resteranno nei cuori di tutti, e non solo: perché i nostri alfieri sono già entrati di diritto nella Storia.
I numeri dell’orgoglio italiano
Dunque, oltre mezzo secolo dopo Roma 1968, gli Azzurri hanno riconquistato la Coppa Henri Delaunay. Trofeo che prende il nome dal dirigente francese che ideò gli Europei e che, come spesso accade, morì qualche anno prima che diventassero realtà.
Molto, naturalmente, si è già detto sul trionfo dei ragazzi di Roberto Mancini. Che – lo ricordiamo – ha preso una selezione reduce dall’umiliazione della mancata partecipazione al Mondiale russo, e in quattro anni l’ha portata al successo continentale.
La conquista della “Scala del calcio” di Wembley ha consentito all’Italia di inanellare nuovi e prestigiosi record, tra cui uno piuttosto particolare. Infatti, dalla prima edizione della Coppa del Mondo nel 1930, gli Azzurri hanno disputato almeno una finale di un grande torneo a decennio. Con la sola eccezione degli anni ’50 (nella decade precedente non si era giocato per motivi bellici). Primato eguagliato, nel Vecchio Continente, soltanto dalla Germania, che ha “saltato” gli anni ’30.
L’orgoglio italiano e i record
Il grande merito del Mancio è aver costruito una squadra coesa che, come nel 2006, ha fatto del gruppo il suo punto di forza. Potendo comunque contare su trascinatori come capitan Giorgio Chiellini, il suo “gemello diverso” Leonardo Bonucci, il figlio d’arte Federico Chiesa e, fino all’infortunio, un monumentale Leonardo Spinazzola.
L’uomo copertina della manifestazione è stato però il portiere Gianluigi Gigio Donnarumma, alla fine premiato come Player of the Tournament ad appena 22 anni. Giusto riconoscimento, dopo che l’estremo difensore era stato decisivo nella fase “calda” della competizione. Parando ben tre rigori sui nove calciati complessivamente dalla Spagna, in semifinale, e dall’Inghilterra, all’ultimo atto.
Proprio i padroni di casa sono stati assoluti protagonisti in negativo, e non certo per la sconfitta tra le mura amiche. Passi l’arroganza dello slogan “it’s coming home”, più che altro perché si è ritorto contro la perfida Albione al punto che sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.
Quello che è davvero difficile da mandare giù è l’ignoranza degli atleti britannici che si sono tolti dal collo la medaglia d’argento appena ricevuta. Con un disprezzo e un’antisportività indegni della patria del fair-play.
Berrettini e la lezione di inglese
E pensare che poche ore prima, a sole 15 miglia di distanza, era andato in scena tutt’altro spettacolo. In un altro tempio dello sport internazionale come Wimbledon, infatti, si era conclusa la finale del terzo Major tennistico stagionale. Che, come le due precedenti in Australia e in Francia, aveva visto prevalere il numero 1 Novak Djokovic, stavolta su un altro italiano, Matteo Berrettini.
Anche qui ci sono record che stanno andando in frantumi, nazionali e assoluti. Il serbo, per dire, è ancora in corsa per realizzare il Grande Slam, che tra gli uomini è riuscito ai soli Don Budge e Rod Laver. Qualora vincesse anche le Olimpiadi, Nole potrebbe addirittura ultimare il Golden Slam, come solo Steffi Graf ha potuto finora (in campo femminile). Nel frattempo ha già raggiunto gli eterni rivali Roger Federer e Rafael Nadal come giocatore ad aver vinto più prove dello Slam (20).
Per parte sua, il tennista romano ha riportato il Tricolore all’atto conclusivo di un Major 45 anni dopo il trionfo parigino di Adriano Panatta nel 1976. Era la settima finale Slam per un rappresentante del Belpaese, ma la prima sull’erba londinese – anzi, la prima lontana dalla terra rossa del Roland Garros. Dove si erano giocati il titolo anche Giorgio De Stefani, nel 1932, e Nicola Pietrangeli (4 volte, con due successi nel 1959 e nel 1960).
Ebbene, Berrettini, pur conscio di essere giunto a un passo dalla leggenda, ha fatto i complimenti all’avversario e salutato la sconfitta come un’occasione di crescita. Dimostrando a tutti che si può vincere anche perdendo. Il solo discrimine, infatti, è la dignità.
Insomma, una bellissima lezione. D’inglese, naturalmente.