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Padel, altro che succedaneo del tennis: tattica, tecnica e spettacolo

Padel, sport emergente in Italia, considerato il fratello “sfigato” del tennis, si rivela invece un’appassionante scoperta

Padel

Della querelle estiva aperta da Nicola Pietrangeli a proposito del confronto mai compatibile tra l’antico Tennis e il moderno Padel, tra smentite e deboli correzioni, quello che comunque ci rimane è l’assunto che il Padel, sport emergente per numero di praticanti e nuovi impianti, rappresenti in definitiva “il trionfo delle pippe!”.

Padel, succedaneo del tennis?

Un succedaneo del tennis, una simulazione facilitata dei colpi dei campioni della racchetta con le corde, ancora peggio il rifugio dei tennisti mancati o falliti. Più che i distinguo della FIT (Federazione Italiana Tennis) che è al contempo lo stesso ente che gestisce il Padel con benefici per quest’ultimo poco individuabili, ci ha pensato Adriano Panatta a smontare le tesi quasi denigratorie divulgate dal suo ex capitano di Coppa Davis. Questo perché Andriano Panatta, pur essendone un purista, rappresenta il tennis senza la spocchia di un’elite di cui nessuno ha più necessità. Da campione del popolo universalmente riconosciuto, ha dato la giusta lettura su quello che da disciplina sportiva è diventato in Italia un vero e proprio fenomeno di costume anche se ancora alla ricerca di una più appropriata veste agonistica.

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Padel, una vera sorpresa di tattica e tecnica

Va detto però, che fino a ieri, io stesso, da giocatore e appassionato del tennis, non ho potuto che vedere rappresentati i miei pensieri in quelli di Pietrangeli. Per quanto conoscessi il Padel da oltre 20 anni per i lunghi soggiorni tennistici nella Barcellona già capitale agonistica del Tennis europeo, quasi con repulsione avevo sempre rifiutato anche una semplice e gratuita lezione di prova pur vedendo l’entusiasmo con cui giovani e meno giovani affollavano le “gabbie” del padel. Per anni, per volontaria ignoranza, l’ho pensata alla maniera del mitico Pietrangeli.

Se non peggio. Neanche la convivenza delle “pistas” delle accademie spagnole, la vista continua dei campi sempre occupati, la rispettosa equivalenza dei giocatori di entrambe le discipline e l’equiparata importanza sui mass media iberici, mi avevano convinto che il Padel potesse essere considerato uno sport ( e non un gioco ) con pari dignità del Tennis.

Va anche detto, che le modalità di diffusione nei Circoli di tennis della nostra nazione, hanno inevitabilmente contribuito a forgiare il malevolo pensiero quanto alle concrete possibilità del padel di elevarsi a sport agonistico il cui finale scopo è quello di far nascere campioni o campionesse.

La sgraziata promozione dettata da ex calciatori, attori e veline unita al rumore sordo e costante delle “pale” e delle urla da stadio di pentiti del calcetto hanno accentuato i pensieri negativi sugli accostamenti sacrileghi al Tennis, nobilitato negli anni da campioni favolosi e tornei intrisi di storia secolare.

Eppure, quando alcune settimane fa, per motivi personali ho “dovuto” avvicinarmi al Padel per poterlo realmente comprendere, non immaginavo di scoprire una disciplina sportiva vera, difficilissima, spettacolare e ricca della necessaria partecipazione di tutti i “sensi” umani. Tecnica, concentrazione, tattica, potenza, agilità, sensibilità, fantasia, studio.

Il padel è più difficile per i tennisti!

Soprattutto, ho potuto scoprire che, il padel vero, è molto difficile proprio per i tennisti, solo inizialmente facilitati, per via di quel “maledetto” vetro che da ipotetico aiuto (così è considerato ed usato dai padelisti puri) è in realtà l’ostacolo più pressante ed inamovibile ed il cui unico modo per affrontarlo è violentare il proprio istinto acquisito negli anni di tennis fin da bambino.

Di più, il numero di colpi da dover allenare in egual misura e le innumerevoli combinazioni di gioco da poter sviluppare prendendo in considerazione ogni centimetro del campo (e del fuori campo)e delle pareti di vetro e ferro porta inevitabilmente ad un impiego costante di infinite ore di addestramento. Acquisita questa prima fase conoscitiva, ho cominciato a studiare le regole, i colpi, i campioni, i circuiti professionistici. Insomma, prima di parlare di “pippe” è meglio verificare di persona. Come c’era da aspettarsi, Spagnoli e Argentini la fanno da padrone (sia nel maschile che nel femminile) grazie alla filosofia di approccio sportivo estremamente competitiva, dove l’applicazione e la disciplina sono protagonisti indiscussi.

Il guadagno del padelista professionista

Malgrado un padelista professionista di prima fascia guadagni fino a 300 volte meno del corrispondente tennista, la considerazione ed il rispetto del pubblico che riempie le tribune durante i tornei, che acquista scarpe e racchette dei propri beniamini, che frequenta i numerosi campi disseminati nell’estesa penisola iberica è pari a quella espressa per un mito come Rafa Nadal.

Il mondo juniores spagnolo è già ricco di padelisti puri e di futuri campioni. Le academy di padel sono diffuse come e quanto quelle del tennis. Gli sponsor iniziano a proporre contratti milionari ai campioni la cui popolarità è estremamente capillarizzata. A questo punto, qualche giorno fa, dopo aver scoperto che l’Italia è il terzo paese mondiale per praticanti nel mondo del padel e che il fenomeno non sembra arrestarsi, dopo aver scoperto che la Nazionale femminile del Padel nostrano ha vinto la medaglia di bronzo ai recenti campionati del mondo, un po’ con la sensazione di chi tradisce ho deciso di andarmi a vedere una partita di torneo del circuito open regionale.

La prima esperienza come spettatore di padel

Si trattava di un torneo con montepremi di 8 mila euro al Padel Club Aprilia, cittadina alle porte di Roma, in provincia di Latina. L’occasione giusta (un turno di semifinale) per vedere dal vivo una coppia di prima categoria composte dalle giocatrici della Nazionale, recenti vincitrici del bronzo mondiale a squadre, Giorgia Marchetti ed Erika Zanchetta.

Arrivato al Circolo, (una struttura dedicata unicamente al Padel di 5 campi coperti e 2 esterni che si affaccia sulla trafficata via Pontina), con la curiosità del neofita in cerca di emozioni mi sono timidamente introdotto all’interno dell’impianto, aspettandomi la ressa degli spettatori, visto l’ampio parcheggio quasi completamente occupato.

Sotto il tendone, il rumore assordante dei campi occupati da giocatori più improbabili non riusciva a distogliere l’attenzione immediatamente prodotta dalle giocatrici professioniste che stavano compiendo la fase di riscaldamento.

Nessun spettatore, niente tribune per l’occasione, nessun arbitro a formalizzare l’evento, nessun tifoso o soltanto curioso. Soltanto io e qualche distratto familiare. Le numerose persone presenti erano tutte impegnate per proprio conto senza alcun interesse per l’evento. Nel senso che una molto più banale partita di tennis tra giocatrici di terza categoria avrebbe avuto più attenzione e considerazione.

Il talento di Erika Zanchetta

Eppure, fin dai primi scambi del riscaldamento mi ero reso conto di trovarmi di fronte ad una campionessa, una giocatrice capace di elevare il padel da semplice “social game” a sport spettacolare ed avvincente.

Dotata di un talento evidentissimo, capace di eseguire con classe tutti i numerosi colpi del padel, Erika Zanchetta ha reso unica questa prima esperienza da spettatore del padel.

Il match, svoltosi nel più lontano campo dell’impianto si era consumato senza alcun pathos regalando la vittoria alla coppia più blasonata, senza un applauso, senza un secondo di tensione, senza una contestazione. Uno spreco di talento puro all’interno di un circolo pieno di gente non curante ed avulsa dalla manifestazione.

Nello sport non esistono “pippe”

Piuttosto destabilizzato dalla situazione, ho lasciato mestamente il circolo, quasi irritato per la mancanza di rispetto nei confronti di quelle atlete che avevano dato la reale rappresentazione sulle possibilità spettacolari ed agonistiche di una disciplina sportiva così piena di una propria personalità e pienamente idonea ad elevarsi al giusto rango di appartenenza.

Allontanandomi definitivamente dalle snobistiche considerazioni del Nicola nazionale, ho pensato che in fondo, senza il fenomeno Panatta, il tennis italiano non sarebbe mai andato oltre il giardino dei Finzi Contini.

Escludendo così dalla giusta fama tutti i campioni e le campionesse italiane del tennis moderno che ne hanno raccolto l’eredità, così come un formidabile talento come quello di Erika Zanchetta è stato fino ad oggi ignorato.

Purtroppo, un’industria sportiva incapace di produrre e valorizzare i propri campioni è destinata nel tempo a fallire rimanendo un gioco per “pippe” o ad essere sostituita da una nuova moda social.

In conclusione, anche il solo nominare la parola “pippe” nello sport è quanto di più diseducativo ed offensivo si possa commettere. Soprattutto se a farlo è un campione che ha avuto il meglio dalla propria disciplina proprio quando ancora era considerata più un gioco per borghesi o nobili che uno sport ultra competitivo estremamente oneroso e fisicamente invasivo.

Chissà se Michael Jordan direbbe mai qualcosa del genere riferendosi alla pallamano.