Palamaragate, il j’accuse del tonno espiatorio contro i “cecchini” in toga
L’ex presidente dell’Anm in un’intervista attacca il “sistema” che non se ne è mai andato. E l’ex Pm De Magistris spara a zero su Napolitano: “Ha tradito la Costituzione”
Bastano un libro e qualche intervista e il Palamaragate torna su. Così, parafrasando Mary Poppins, si potrebbe sintetizzare la recrudescenza di attenzione mediatica nei confronti di Luca Palamara. L’ex togato radiato a ottobre dalla magistratura per il caso delle designazioni pilotate di alcuni Procuratori, dopo essere già stato espulso dall’Anm (da lui presieduta). Il quale aveva subito fatto capire che non aveva alcuna intenzione di fungere da “tonno espiatorio” per lo scandalo Magistratopoli.
«Ero parte di un sistema» ha sempre affermato l’ex membro del Csm, che proprio “Il Sistema” ha intitolato il suo libro-intervista rapidamente divenuto un best-seller. Il sistema delle correnti, che faceva e disfaceva le tele delle carriere in ambito giuridico anteponendo l’appartenenza ideologica al merito. E il sistema dell’alleanza tra (una parte dei) poteri giudiziario e politico, denunciato dal Nostro anche nel salotto televisivo di Non è l’Arena, su La7.
Una commistione che, secondo Luigi De Magistris, attuale sindaco di Napoli, avrebbe portato al boicottaggio dell’inchiesta Why Not, di cui era titolare nel 2007. All’epoca, da sostituto Procuratore di Catanzaro, De Magistris stava investigando sull’allora Premier Romano Prodi e sul Guardasigilli Clemente Mastella. Secondo l’ex Pm, però, l’allora Capo dello Stato Giorgio Napolitano intervenne per ostacolare le indagini.
«In un Paese normale questa vicenda dovrebbe portare il Presidente della Repubblica sotto accusa per aver tradito la Costituzione» il pesantissimo j’accuse. Talmente grave che è impensabile possa rimanere semplicemente lettera morta.
Il Palamaragate non è ancora finito
Allo stesso modo, difficilmente si potranno ignorare le parole dell’ex numero uno dell’Associazione Nazionale Magistrati. «Sono tornati i cecchini, anzi non se ne sono mai andati», la bordata.
Il riferimento è a una delicata inchiesta disciplinare nei confronti del Procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, per una vicenda nota al Consiglio Superiore della Magistratura dall’aprile 2020. Ma che, curiosamente, è esplosa appena prima che il Tar del Lazio si pronunciasse sul ricorso dello stesso Creazzo sulla nomina di Michele Prestipino a Procuratore di Roma. La poltrona al centro dell’ormai celeberrima cena all’Hotel Champagne dell’Urbe, l’8 maggio 2019, che ha dato il via al Palamaragate.
«Dobbiamo capire se il sistema delle correnti è ancora attuato e se ha escluso i magistrati meritevoli» ha chiosato l’ex Pm capitolino. Facendo tra l’altro il nome dell’icona antimafia Nino Di Matteo, penalizzato «perché non era allineato al sistema», come il giudice del Tribunale di Napoli Alfonso Sabella.
È comunque difficile credere che Palamara si sia improvvisamente convertito sulla via di Damasco – dunque sulla purezza delle sue intenzioni si può legittimamente questionare. Però non è detto che le sue rivelazioni non mostrino uno spaccato autentico, e sulla giustizia, soprattutto adesso, non possono esserci dubbi.
La verità fa male, ma dissipa qualsiasi ombra. E, mai come in questo caso, è sotto ogni aspetto un diritto.