Palazzo Chigi chiede l’espulsione di Broili, il pugile della federazione con tatuaggi nazisti
La federazione nazionale di pugilistica ha preso le distanze dal pugile, difendendosi da ogni accusa
Gli ideali di Michele Broili sono facilmente intuibili dai segni che ha incisi, indelebili, sul corpo. Si tratta dei tatuaggi di chiaro inneggiamento al nazismo che il pugile ventottenne di Trieste ostenta ogni qualvolta salga sul ring a petto nudo. Peccato che Broili sia un tesserato della Federazione pugilistica italiana, e che sul suo corpo siano milioni gli occhi puntati ogni volta. Da adesso, anche quelli dei membri dell’Unar, l’Ufficio nazionale Antidiscriminazioni razziali, che risponde direttamente alla presidenza del consiglio, e che ha preso la vicenda molto seriamente, al punto da chiedere l’espulsione del tesserato.
I tatuaggi di Michele Broili
Sabato 18 settembre il pugile è salito sul ring a Trieste per battersi contro il suo sfidante, Hassan Nourdine, e aggiudicarsi il titolo italiano dei superpiuma. Non ha vinto, ma il suo nome è cominciato lo stesso a comparire sulle pagine di moltissime testate nazionali. Il motivo? I tatuaggi di chiaro inneggiamento al nazismo che Broili ha su tutto il corpo; a cominciare dal simbolo delle “SS” o dal totenkopf, la testa di morto che fa riferimento al gruppo paramilitare di custodia dei campi di concentramento. Anche il numero 88 (ad indicare la doppia “h” delle iniziali di Hitler) che simboleggia l’appartenenza ai naziskin; così come la ragnatela sul gomito, simbolo di protesta dei disoccupati tedeschi contro la presenza degli ebrei prima della Seconda guerra mondiale. Come se non bastasse, presente all’appello anche il castello sull’addome con scritto “Ritorno a Camelot” che corrisponde al nome del raduno quinquennale indetto dal Veneto Fronte Skinheads, organizzazione di ispirazione neonazista.
La Federazione italiana prende le distanze
Esploso lo scandalo, in tutta risposta la Federazione Italiana ha immediatamente dichiarato di voler prendere le distanze dal pugile triestino, ma anche la volontà di prendere provvedimenti nei confronti del ventottenne. L’iter, in particolare, porterebbe alla sua squalifica. La Federpugilato ha condannato con forza il comportamento del tesserato “in palese contrasto con le norme” e in particolare con l’articolo 5 del Codice Coni. Anche se, secondo l’allenatore del pugile, Denis Conte, “la federazione sapeva da anni di quei tatuaggi”.
Le locandine rimosse del 2020
L’allenatore di Broili fa riferimento probabilmente al fatto che quegli stessi tatuaggi avevano già suscitato scalpore e polemiche nel febbraio 2020; in quell’occasione la sua foto a petto nudo era apparsa sulla locandina della “Boxe Night”, vicino al logo del Comune di Trieste. Alla fine, le locandine furono rimosse, ma il pugile non ebbe alcuna ripercussione per quel che riguarda la sua permanenza nella Federazione, permanenza che a oggi sarebbe invece fortemente a rischio.
Un comportamento inaccettabile
Nonostante, infatti, nella locandina della disputa per il titolo nazionale di quest’anno i tatuaggi fossero scomparsi dal corpo di Broili, cancellati con un programma di Photoshop, alla cerimonia ufficiale del peso, eccoli ricomparire sul busto del pugile. Le foto hanno così cominciato a circolare sul web. La federazione pugilistica ha condannato il tutto, definendolo “un comportamento inaccettabile” però difendendosi e sostenendo che “non può essere a conoscenza delle scelte personali di ogni singolo tesserato sino a quando non ne abbia contezza”. Ma adesso, a intervenire è anche il Governo della Repubblica.
Intanto, l’allenatore del vincente Hassan Nourdine ha confermato a Il Fatto Quotidiano che “nella passerella verso il ring, dagli spalti, ci sono stati saluti romani e inni nazisti”. Siamo di fronte a una vicenda che, da un lato, rischierebbe di offuscare la vittoria del meritevole Nourdine, mentre dall’altro mette in cattiva luce uno sport nobile, tra i cui principi si annoverano proprio il rispetto assoluto per l’altro e l’integrità della persona.