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Pamela Mastropietro, “Smetterò di fumare quando la realtà sarà più bella dei miei viaggi”

Pamela Mastropietro, il 30 gennaio 2018, a soli diciotto anni, venne barbaramente uccisa e fatta a pezzi da Innocent Oseghale

Pamela Mastropietro

Pamela Mastropietro

Perché è morta Pamela?

Pamela Mastropietro, il 30 gennaio 2018, a soli diciotto anni, venne barbaramente uccisa e fatta a pezzi da Innocent Oseghale. Un 29enne che per molti ha semplicemente incarnato lo stereotipo dello straniero disadattato senza permesso di soggiorno e dell’ennesimo immigrato africano dedito a delinquere per sopravvivere.

Pamela non è morta perché ha avuto la disgrazia di incontrare sulla sua strada un nigeriano disadattato. E’ morta perché ha conosciuto la droga e la insana pazzia di un uomo oggi condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise d’Appello di Ancona per i reati  di omicidio volontario aggravato, violenza sessuale, vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere.

Una ragazza che ha conosciuto il degrado e la violenza che rappresentano l’essenza e l’ immanenza del mondo della droga. Questa violenza è sfociata in ferocia assassina.

Per Pamela la vita reale non era all’altezza dei suoi “viaggi”

Era “piena di gioia e dolore insieme”, afferma il responsabile della struttura di recupero per tossicodipendenti dove la ragazza alloggiava da tre mesi. L’inquietudine di Pamela, affetta da un diagnosticato  disturbo di personalità borderline, la rendeva schiava della droga. “Smetterò di fumare quando la realtà sarà più bella dei miei viaggi”, scriveva sul suo profilo Facebook.

La ragazza aveva più volte tentato la fuga dalla struttura di recupero che la ospitava. Fuggiva per procurarsi quella dose di piacere che per poche ore le avrebbe garantito di “viaggiare” verso mete meno “sofferenti”. L’ultima fuga, il 29 gennaio del 2018, le è stata fatale e non sono bastati gli accorati appelli della mamma e del papà a impedirne il tragico epilogo.

Ma chi è Innocent Oseghale?

Innocent Oseghale è un uomo di ventinove anni che, dopo aver abusato e accoltellato la ragazza  ha provveduto,  non soltanto al depezzamento e alla dissezione del corpo, ma anche all’accurato lavaggio di tutti i resti del cadavere con la varechina realizzando con fredda lucidità un inquinamento funzionale della prova omicidiaria.

La Corte di Assise di Macerata, in primo grado recepisce pienamente la tesi dell’accusa secondo cui: “le plurime versioni rese da Oseghale in riferimento allo svolgimento dei fatti, sono contraddittorie e di volta in volta adattive rispetto alle esigenze della difesa e agli sviluppi investigativi, evidenziando le inquietanti capacità mimetiche e simulatrici dell’imputato”.

L’effetto camaleonte per stabilire una relazione

La capacità mimetica, anche nota come “effetto camaleonte”, è una innata tendenza degli esseri umani ad imitarsi vicendevolmente. L’imitazione viene utilizzata per entrare in rapporto e in simbiosi con gli altri al fine di stabilire una relazione. L’imitazione può riguardare non solo lo stato emotivo dell’altro ma anche il suo tono di voce e la costruzione sintattica delle frasi.

Oseghale ha dimostrato molta dimestichezza in sede processuale con le tecniche mimetiche e di simulazione. Ha evidenziato di essere in grado di percepire le situazioni esterne e il significato delle esperienze altrui. Non perché apprese o consigliate da qualcuno, ma date da una capacità specifica del soggetto che lo rende in grado di strumentalizzare gli altri.

Questa dinamica psicologica è legata al desiderio o al bisogno dell’altro/a. Lui ha utilizzato lo strumento dell’eroina per arrivare ad uno scopo ben preciso, sfruttando in questo caso il bisogno che offre la crisi di astinenza.

Il mimetismo consente di “percorrere la via dei fatti” e di sfruttarla nel modo più opportuno.

Oseghale ha utilizzato le sue capacità mimetiche e simulatrici per condurre Pamela nella tana del lupo. L’omicida non si è limitato a cedere la dose di eroina richiesta ma è entrato in relazione con la ragazza al fine di conseguire uno scopo ben preciso: violentarla e poi ucciderla barbaramente.

Pamela non avrebbe mai potuto comprendere il reale pericolo!

Agli occhi di Pamela, Oseghale era colui che poteva accontentare il bisogno urgente di evadere da quella maledetta realtà che non era ancora diventata più bella dei suoi viaggi. Era colui che in quel momento aveva il mezzo per farle intraprendere il viaggio.

Lei ignorava che il suo “spacciatore” le stesse invece preparando una trappola. Pamela voleva solo evadere ancora una volta dalla realtà e sentirsi libera per qualche ora e non immaginava che quella dose di eroina rappresentasse in realtà solo il pretesto per arrivare ad essere utilizzata come giocattolo sessuale.

Pamela non immaginava che qualcosa di più pericoloso e subdolo della droga stesse per porre fine alla sua esistenza.

Il bisogno fisiologico della dose di eroina ha indubbiamente compromesso le capacità percettive della ragazza. Limitando e compromettendo ogni possibile cognizione percettiva della situazione. La droga, infatti, se da un lato non è stata la causa diretta della morte di Pamela, dall’altro ha indubbiamente costituito un antecedente idoneo a creare una alterazione delle capacità cognitive della realtà impedendo alla ragazza una analisi concreta dei pericoli in atto.

Oseghale è stato condannato all’ergastolo. Resterà forse a vita in carcere, ma resterà purtroppo a vita nel nostro inconscio, anche l’immagine di un uomo di 29 anni che cammina per la strada con un trolley con dentro una giovane fatta a pezzi. Giustizia è fatta potremmo dire.

Ma il rumore sull’asfalto delle rotelle di quella valigia continua a riecheggiare dentro ognuno di noi. E’ un rumore di fondo che ci fornirà quotidianamente la dose di veleno che un altro essere umano ha confezionato per noi.

Con la collaborazione di Fabio Fraissinet, Dottore in Giurisprudenza
e Psicologia
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