Pandemia, la pedagogista: “Ragazzi non sanno più fare amicizia”
“Anche quando si vedono non sanno che dirsi, stanno seduti vicini ma col cellulare in mano”
“Non sappiamo più come si fa a stare insieme”.
E’ questa la frase che Chiara Borgia, pedagogista e vicedirettrice di ‘Uppa magazine’, la rivista per i genitori scritta da specialisti che si occupano di età evolutiva, si sente ripetere sempre più spesso dai ragazzi che incontra nell’ambito del suo lavoro.
“E’ soprattutto la fascia dei preadolescenti, tra i 10 e i 14 anni, a subire maggiormente i disagi dovuti alla pandemia, a cominciare dalle aperture ‘a singhiozzo della scuola’. “L’impossibilità di vivere una vita di relazione con i pari, il far parte di un gruppo, il confronto”.
“Quando si vedono non sanno che dirsi”
Tutte quelle esperienze in cambio delle quali i ragazzi costruiscono sé stessi, da un anno a questa parte, sono venute meno. E così anche quando si vedono non sanno che dirsi, stanno seduti vicini ma col cellulare in mano, dicono di non sapere più come si fa a fare amicizia”.
Per la pedagogista “la situazione ha ormai superato il limite. Ci sono moltissimi ragazzi e moltissime famiglie in grande difficoltà – evidenzia Borgia – perché sono venuti fuori disagi che esistevano prima del Covid e che ora esplodono, aggiungendo difficoltà a difficoltà perché molte opportunità che c’erano prima sono andate a cadere. Anche le strade che noi professionisti abbiamo a disposizione non sono semplici.
Ragazzi e fare amicizia in pandemia: scuole aperte la priorità
Abbiamo bisogno che la rete intorno ai bambini e ai ragazzi sia forte dal punto di vista istituzionale, abbiamo bisogno che ci sia scuola“, dice Borgia. La pedagogista non ha dubbi: “Mantenere le scuole aperte dovrebbe essere la priorità. Nel corso di quest’anno si è parlato tanto e si sono fatti tanti buoni propositi, ma nella realtà dei fatti i bisogni di bambini e ragazzi sono stati calpestati.
Non li abbiamo ascoltati, non abbiamo mai chiesto neanche il loro parere e, invece, questo permetterebbe anche di innescare dei processi di responsabilizzazione”. Tanti gli aspetti da tenere in considerazione. “Innanzitutto l’apprendimento-dice Borgia- è l’ambito su cui ci si è concentrati di più ma sbagliando la mira: apprendere non significa ingoiare una valanga di informazioni e tenerle a mente, e invece è questo che si è fatto la maggior parte delle volte”.
Mancano le relazioni di amicizia durante la pandemia
E’ passato il concetto per cui la didattica a distanza fosse “la supplente della scuola secondo il pensiero ‘possiamo chiudere tanto c’è la dad e i ragazzi l’esperienza scolastica la fanno lo stesso’. Ma così non è – evidenzia la pedagogista – la dad non può riempire il buco lasciato dall’assenza della scuola in presenza perché l’assenza della scuola è assenza di didattica ma è anche assenza di relazioni”.
Borgia ci tiene a ribadire come la scuola non sia “un luogo in cui un insegnante trasferisce dei contenuti, ma il contesto per eccellenza dove i ragazzi crescono, incontrano i loro coetanei, fanno delle esperienze. La scuola è il laboratorio del futuro – dice – e tutte queste esperienze non è possibile farle in dad”. La preoccupazione della pedagogista è per i vissuti emotivi.
“Anche quando la scuola è in presenza i ragazzi fanno ormai fatica ad andarci – dice – hanno difficoltà a partecipare alla vita scolastica perché la scuola per come è organizzata oggi ha perso un po’ di senso”. In particolare “l’alternanza di chiusure e aperture ha rotto tutti quei processi che di solito si creano come la socialità, la formazione del gruppo classe ecc. Chi è passato da un ciclo all’altro, per esempio, non ha quasi avuto modo di stringere relazioni né con i compagni né con i professori.
Alto rischio dipendenza da tecnologie
E poi ci si è concentrati molto sull’organizzazione delle aule, il distanziamento dei banchi ecc, condizioni che mettono i ragazzi un po’ in difficoltà”
Certo “i social hanno aiutato a mantenere i contatti – dice Borgia – ma sono quasi l’unica esperienza di relazione con l’altro che i ragazzi possono avere in questo contesto e, se diventano l’unico canale che ho per incontrare l’altro, il rischio di dipendenza da tecnologie diventa elevato”. Da qui l’importanza di guardare al futuro e soprattutto all’estate.
“Dovrebbe essere al centro delle idee educative – dice Borgia – non allungando i tempi della didattica scolastica ma pensando a soluzioni per far vivere a pieno la socialità ai ragazzi, all’aperto, insieme, facendogli fare esperienze nuove. E’ possibile farlo in sicurezza.
Quella a cui andiamo incontro dovrebbe essere un’estate ad altissima intensità educativa – dice in conclusione Borgia – bisogna ricominciare a garantire dei diritti, esperienze fondanti per la crescita, tasselli che se vengono a mancare non è facile ricucire”.