Papa Benedetto XVI è il “katéchon” preannunciato da San Paolo?
Anche in sede impedita, Joseph Ratzinger sottolinea la necessità di “separare il grano dal loglio”: così è diventato il “trattenitore” dell’apostasia nella Chiesa
C’è un filo lungo quasi 2.000 anni che potrebbe legare San Paolo e Papa Benedetto XVI. Il quale sta forse dando compimento – chissà quanto consapevolmente – a una profezia escatologica i cui echi risuonavano già nel Vecchio Testamento, oltre che nell’Apocalisse di San Giovanni. E la chiave – ancora una volta – può essere ricercata tra l’altro tra le pieghe sottili della celeberrima Declaratio del febbraio 2013.
Papa Benedetto XVI è il katéchon?
Nella Seconda lettera ai Tessalonicesi, Paolo di Tarso esortava i fratelli nella fede a non considerare imminente la seconda e ultima venuta di Gesù Cristo. «Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione» ammoniva l’Apostolo delle Genti (2Ts 2, 3). «Ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene» (2Ts 2, 6-8).
In greco, quest’ultima espressione è resa con il termine Κατέχων, katéchon, che indica proprio colui che tiene a freno l’Anticristo prima della Parusia finale. E c’è chi ipotizza che Papa Benedetto XVI sia il katéchon contemporaneo, l’odierno trattenitore del Male che cerca di dilagare nella Chiesa cattolica.
Allo stesso tempo, però, Joseph Ratzinger potrebbe aver favorito proprio lo smascheramento del modernismo clericale che si era coagulato attorno alla Mafia di San Gallo. E lo avrebbe fatto attraverso il “passo di lato” della non-rinuncia interpretata però come dichiarazione di dimissioni. Attestando la (Santa) Sede impedita, il Pontefice tedesco ha permesso che i nemici della Chiesa rivelassero il loro vero volto. Però non ha consentito loro di distruggere la bimillenaria dottrina cattolica, a costo di dover lanciare messaggi in codice.
Come quello che il giornalista Andrea Cionci ha individuato in un’intervista rilasciata a luglio da Papa Benedetto al giornale cattolico teutonico Herder Korrespondenz. In cui il mite teologo bavarese sottolineava la necessità di «separare i credenti dai miscredenti». Inclusi quelli travestiti da agnelli.
Il grano e il loglio
Potrebbe essere una coincidenza, ma l’intervista di Papa Ratzinger è stata pubblicata pochi giorni dopo il motu proprio “Traditionis custodes”. Quello con cui Jorge Mario Bergoglio ha condannato a morte la Messa vetus ordo (in latino), che proprio Benedetto XVI aveva invece liberalizzato con l’altro motu proprio “Summorum Pontificum”.
Di per sé, questo potrebbe sembrare un peccato veniale, un po’ come quando (mutatis mutandis) vengono spacciate per «sessiste» le battute bergogliane sulle suore “zitelle”. Però si accompagna agli altri sciagurati cambiamenti dottrinali e liturgici che hanno ormai stravolto anche la celebrazione eucaristica post-conciliare.
Si pensi, ad esempio, al riferimento para-massonico alla rugiada nel nuovo Messale, oppure all’assurda genuflessione al politically correct rappresentata dall’espressione “fratelli e sorelle”. Per non parlare della ridicola traduzione del Padre nostro (chiedetelo a Giobbe o Abramo, se Dio non induce in tentazione: ma lo fa perché tutto si volga poi al Bene). Mentre è rimasta lettera morta l’unica modifica auspicabile – il “per molti” al posto del “per tutti” durante l’Elevazione, a immagine del latino pro multis.
Sull’intronizzazione in San Pietro dell’idolo pagano Pachamama e sul guerriero cornuto con un teschio in fronte nel Presepe vaticano stendiamo invece un velo pietoso. Anche se queste follie fanno capire benissimo perché Papa Benedetto XVI indicasse come dirimente la “separazione del grano dal loglio”. E se fosse davvero lui il katéchon dei nostri tempi?