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Papa Francesco, selfie-mania dinnanzi alla salma: la spiegazione della professoressa Daniela Villani

Secondo la professoressa dell’Università Cattolica, “è un modo per dire ‘Io c’ero’, ma senza esserci davvero. Il punto

La salma di Papa Francesco durante la Constatazione

La salma di Papa Francesco durante la Constatazione

Le immagini sono nitide, brevi, ma inequivocabili. In una Piazza San Pietro silenziosa, gremita da migliaia di persone accorse per rendere omaggio a Papa Francesco, morto il 21 aprile, spuntano alcuni volti che sembrano stonare. Mani che impugnano lo smartphone non per una preghiera, ma per un’inquadratura. Scatti rubati davanti al feretro, volti sorridenti o serissimi, ma comunque rivolti alla fotocamera. Selfie, in un momento che dovrebbe appartenere alla memoria collettiva e non al feed personale.

Selfie dinnanzi alla salma del Papa, il punto dell’esperta

I video, registrati da altri fedeli in fila e poi rilanciati sui social, hanno acceso un’ondata di critiche che ha superato il perimetro della comunità cattolica. L’indignazione ha unito credenti e laici, giovani e adulti, tutti a chiedersi come sia possibile che un momento così intimo venga trasformato in una scena da condividere.

Per provare a comprendere, senza giudicare, serve uno sguardo che vada oltre la superficie. La professoressa Daniela Villani, psicologa della religione e docente all’Università Cattolica di Milano, ha offerto all’Adnkronos una chiave di lettura interessante. Secondo l’esperta, questi gesti non sono semplicemente atti di superficialità, ma la manifestazione visibile di una nuova modalità con cui le persone attraversano le esperienze.

“È un modo per dire: ‘Io c’ero’ – spiega Villani – ma senza esserci davvero.” Una presenza che si fa digitale prima ancora che emotiva. L’atto di immortalare il momento in tempo reale – con la morte davanti agli occhi e l’icona religiosa per eccellenza a pochi metri – sembra diventato un rituale a parte, parallelo a quello liturgico. Un rito laico, spesso inconsapevole, che serve più a proteggersi che a partecipare.

Per la psicologa, questo atteggiamento ha una funzione difensiva: mettere una distanza tra sé e ciò che si sta vivendo. “Non vuol dire che chi fa un selfie non abbia a cuore il significato dell’evento, ma è come se ne svuotasse l’intensità per reggerne il peso.”

La tecnologia svuota il senso di ciò che si vive?

La morte di un Papa, specie di un Papa come Francesco, non è un evento qualsiasi. La sua salma esposta in San Pietro rappresenta una soglia simbolica tra la vita e l’eternità, un’occasione di raccoglimento per milioni di persone. In quel contesto, il gesto di scattarsi una foto solleva domande sul senso della partecipazione, sulla sua autenticità e sul ruolo dell’immagine nell’epoca dei social.

Non si tratta di demonizzare la tecnologia, né di trarre conclusioni affrettate. Ma forse è il momento di chiedersi se, nel tentativo di “conservare” tutto, non stiamo perdendo la capacità di vivere davvero quello che ci accade.

Lo smartphone, in questi casi, diventa più di un mezzo. È il filtro attraverso cui si attraversano anche le esperienze più sacre. E quando la condivisione prende il posto del silenzio, quando l’esibizione scalza il raccoglimento, il rischio è che anche la morte perda il suo carattere universale per diventare solo l’ennesimo contenuto.