Parità di genere politica e salariale: donne al voto ma senza rossetto
Cos’è la parità di genere? Avere gli stessi diritti e opportunità in ogni ambito della vita sociale, politica e economica
Cos’è la parità di genere? Semplicemente si può rispondere: avere gli stessi diritti e opportunità in ogni ambito della vita sociale, politica e economica. E allora mi pongo subito una domanda: perché il tempo lavorativo di un uomo è diverso dal tempo lavorativo della donna? Se entrambi lavorano otto ore al giorno e fanno lo stesso mestiere, per quale motivo le donne guadagnano circa il 15% in meno?
Parità di genere e disparità salariale
Riguardo al tema della disparità di trattamento salariale, i dati del Global Gap Report 2020 collocano l’Italia al 125° posto su 153. E’ chiaro a tutti che la pandemia ha aggravato molto la situazione lavorativa soprattutto delle donne che hanno visto triplicarsi il carico assistenziale. Devono badare ai figli in DAD, ai genitori anziani bisognosi di maggiore assistenza e nel contempo, le più fortunate hanno potuto continuare a lavorare da casa. La grande disparità in Italia è rappresentata dal tempo della cura che le donne dedicano alla famiglia rispetto agli uomini. Si stima che le donne dedichino il 70% del tempo ai lavori di cura, lasciando ben poco tempo al lavoro fuori casa.
E’ naturale che dopo alcuni anni di convivenza, la coppia pianifichi di allargare la famiglia e purtroppo, nella maggior parte dei casi sarà la donna a rinunciare al lavoro. Per il semplice motivo che è il meno remunerativo e la scelta viene vista come l’unica possibile. Il grande problema o privilegio delle donne è sempre stata la maternità. Le donne hanno sacrificato per secoli la loro indipendenza perché relegate al ruolo di spose e madri protettici del focolare domestico. J.J. Rousseau, affermava che le donne, poiché custodi della sfera privata e dell’affettività, dovevano garantire che le pulsioni dell’uomo non lo allontanassero dall’universalità della ragione.
Il ruolo della donna
La donna quindi aveva due ruoli di fondamentale importanza: garante dell’affettività e protettrice della psiche dell’uomo, affinché questo non perdesse la capacità di discernere. Questi compiti così ardui non le permettevano, però, di far parte della sfera pubblica, perché c’era una separazione netta dei compiti in base alla distinzione morale del lavoro: l’uomo s’identificava con la ragione e la donna con il desiderio. M. Wollstonecraft (una delle prime femministe in Inghilterra), nel 1792 dichiarò apertamente la sua indignazione per le teorie sull’educazione delle bambine e sul ruolo femminile nella società esposti ne l’Emile di Rousseau.
Secondo Wollstonecraft le bambine dovrebbero essere educate come i loro coetanei maschi ed essere più indipendenti possibile. Sia da un punto di vista fisico che psicologico, ed era convinta che le abitudini e le attività che si impongono ai bambini nell’educazione li segnassero profondamente per tutta la vita. Al di là della Manica, la scrittrice francese O. De Gouges proclamava nel 1791 la “Declaretion des droits de la femme et de la citoyenne” con la quale chiedeva, la piena uguaglianza giuridica e legale delle donne nei confronti degli uomini. Due grandi eroine che volevano restituire la donna alla storia. Purtroppo solo dopo due secoli si valorizzarono le teorie di De Gouge e di Wollstonecraft da parte dei movimenti femministi di tutto il mondo.
Parità di genere e maternità
È la maternità il cuore delle argomentazioni portate avanti dalle prime femministe proprio in risposta alle concezioni di grandi pensatori sul ruolo della donna nella società. Rousseau formulava tre criteri: la differenza- inferiorità di funzioni che i due sessi devono svolgere; esclusione delle donne dalla sfera della libera scelta morale e l’iscrizione della donna in un tempo non storico ma biologico legato cioè a custodire la prole. L’elemento che più di ogni altro esclude la donna dalla politica e quindi dalla cittadinanza è la maternità.
Sofia futura sposa di Emilio, deve quindi essere educata a diventare una perfetta sposa e madre. Dovrà imparare l’arte del cucito, del ricamo, del disegno e ciò allo scopo di affinare l’arte della seduzione e conquistare le attenzioni del giovane. Inoltre dovrà avere un’educazione religiosa e “per il fatto stesso che la condotta della donna è soggetta alla pubblica opinione, la sua fede religiosa è soggetta all’autorità.” (J.J. Rousseau, Emilio ed. Einaudi 2002)
Maternità come capacità dell’individuo e non come dono della natura
La maternità accompagnerà le grandi conquiste femministe del novecento. La maternità è intesa come una capacità individuale e non un dono concesso dalla natura, e proprio la maternità verrà usata in seguito dalle suffragiste. Nelle loro battaglie in difesa dei diritti utilizzarono il dolore del parto e il rischio per la mamma e il bambino, per rispondere a quanti sostenevano che la donna non aveva diritto al voto perché non rischiava la vita in difesa della patria. Questo fu un primo strumento impiegato dalle donne per portare avanti il diritto di rappresentanza; la loro superiorità morale derivante dalla maternità porterà a creare il valore collettivo del sesso femminile non solo in ambito familiare ma anche e soprattutto in ambito politico e sociale (A. Rossi Doria, 2007).
Il suffragio femminile negli altri paesi
Nonostante anni di battaglie femministe, le donne italiane ottennero il diritto al voto e a essere votate solo nel 1945. Negli altri paesi europei tale diritto fu concesso molti anni prima.
Nel 1918 le donne inglesi vinsero la loro dura battaglia e il parlamento del Regno Unito approvò la proposta del diritto di voto per le mogli dei capifamiglia al di sopra dei 30 anni e nel 1928 il suffragio fu esteso a tutte le donne.
In altri paesi come la Nuova Zelanda, il suffragio universale fu introdotto nel 1893 mentre in Norvegia e Finlandia nel 1906 e nel 1907.
Invece Germania le donne ottennero il diritto al voto nel 1919.
Mentre in Italia, nella seduta del 30 gennaio 1945, il Consiglio dei ministri presieduto da Bonomi sottopose la questione del voto alle donne. Il Consiglio approvò un decreto legislativo dove veniva riconosciuto il diritto al voto alle donne che avessero compiuto 21 anni di età al 31 dicembre del 1944.
Però “dimenticarono” (o forse non fu semplice dimenticanza) di estendere il diritto delle donne a essere elette. Tale diritto fu concesso con decreto del 10 marzo 1946, n. 74 “Norme per le elezioni dei deputati all’Assemblea Costituente”. Le donne votarono la prima volta nel marzo del 1946 per le elezioni amministrative e poco dopo, nel giugno 1946, furono chiamate di nuovo alle urne per il referendum su Monarchia o Repubblica e la successiva elezione dell’Assemblea Costituente.
Al voto ma senza rossetto
Alle donne venne raccomandato di presentarsi al voto senza rossetto, per non macchiare la scheda elettorale.
Questa raccomandazione fu pubblicata sul Corriere della Sera, a significare ancora una volta la relativa limitata libertà della donna anche nel giorno più importante della storia politica femminile. Il 2 giugno è la data delle prime votazioni politiche nazionali dopo la liberazione; dopo oltre vent’anni di cesura dei diritti politici non solo per le donne. Nell’immaginario collettivo, quella data e la vittoria della Repubblica saranno per sempre associate al volto di una donna, andarono a votare l’89% delle aventi diritto. Uscirono da casa, con l’abito più elegante, con i loro bimbi al seguito, fiere di poter finalmente esprimere il loro pensiero, ma senza rossetto!
Gli articoli 3, 29 e 37 della Costituzione
Da quell’anno molte furono le conquiste in materia legislativa ed enorme fu influenza e l’impegno delle madri costituenti nella definizione di alcuni articoli fondamentali della nostra Costituzione. Basti pensare all’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Inoltre l’articolo 29: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
Non meno importante l’art. 37: La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. Infine, l’articolo 48: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”.
Il soffitto di cristallo
Quindi tornando al dubbio iniziale, si può concludere affermando che, se a livello legislativo la posizione delle donne è migliorata, il soffitto di cristallo purtroppo persiste nel mondo del lavoro, Il soffitto di cristallo, cioè la presenza di una barriera “trasparente” “non visibile” ma pesante ed insormontabile che ostruisce la strada verso i vertici della politica e dell’economia, è tutt’oggi invalicabile anche a causa della discriminazione derivante dalla maternità, per cui le imprese tendono ad offrire alle donne un percorso di carriera meno impegnativo, ma anche meno retribuito e meno soddisfacente, infatti è dimostrato da dati statistici che uomini e donne accedono in misura differenziata alle diverse professioni, e diversa è la possibilità di fare carriera.
Eppure a livello mondiale le donne vengono definite una delle tre forze portanti del XXI secolo, le tre ―Ws: Weather, Women and the Web (Clima, Donne e Web) (Wittemberg & Mitland, 2010).
La “Womenomics”, diffusa da Kathy Matsui nel 1999, analista di Goldman Sachs, mette al centro le donne e le definisce uno dei principali motori di crescita economica. Tale teoria è stata in seguito ripresa dall‘Economist riguardo alla necessità d’inserimento delle donne nel mondo del lavoro come fondamentale principio di efficienza economica.
Le donne italiane sono più istruite degli uomini
Nonostante siano più istruite, le donne italiane hanno maggiori difficoltà ad accedere al mondo del lavoro; i dati Istat sui laureati in Italia registrano un divario tra uomini e donne sempre più netto: dal 2007 al 2017 si registra un + 23,8 per cento tra gli uomini e un + 52,3 per cento tra le donne. I paesi del nord Europa confermano il primato di donne istruite. Purtroppo le donne italiane, nonostante siano più istruite dei loro compagni di sesso maschile, continuano ad avere difficoltà ad accedere al mondo del lavoro.
Il tasso di donne inattive cresce dopo i trent’anni e quasi sempre in occasione della maternità. Un dato che ci fa ben sperare: la parità di genere è stata inserita nel P.N.R.R. (piano nazionale di ripresa e resilienza) e sarà una delle tre priorità trasversali presenti in tutto il programma. Infine il P.N.R.R. dovrà essere compatibile con il criterio fondamentale del gender mainstreaming.
«Le donne hanno urgente bisogno di essere aiutate nella gestione dei figli e non essere discriminate sul piano retributivo e professionale, o con la perdita del lavoro in quanto donne. Anzi. Sempre di più la loro presenza è preziosa al centro dei processi di rinnovamento sociale, politico, occupazionale, istituzionale. Se saremo bravi a metterle in queste condizioni positive, potranno dare un apporto determinante alla ricostruzione dell’economia e delle società che verranno, perché la donna fa il mondo bello e rende i contesti più inclusivi». Papa Francesco, Marzo 2021.
A cura di Catia Liburdi
Bibliografia di riferimento:
- Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia” A cura della Fondazione N. Iotti (2013)
2) Rossi- Doria, A. (2007). Dare forma al silenzio. Perugia: Viella.