“Parlateci di Bibbiano”? L’aberrazione nei servizi sociali è (quasi) la prassi
Da neuropsichiatra sono intervenuto per decenni nel lavoro con i servizi sociali, occorre che imparino l’ascolto delle famiglie e che si eviti l’azione solitaria di questa figura
Ho considerato per anni, perché ho lavorato con essi, il Tribunale dei minori e i servizi sociali una vera peste per la salute delle famiglie perché essi stessi, in generale, muovono da una concezione deviata della salute psicologica. C’è una visione di fondo centrata sulla tutela del bambino, sacrosanta ovviamente, ma che difende strenuamente l’individuo come se fosse indipendente dal suo contesto familiare. I servizi sociali spesso non puntano a offrire i servizi della sussidiarietà, come uno psicologo, l’aiuto nell’inserimento del lavoro, una qualche pedagogia familiare, ma puntano immediatamente alla sottrazione del minore. Vi è in tale contesto una sopravvalutazione della tecnica sulla funzionalità del gruppo familiare, ideologia che ha permeato queste istituzioni. Hanno di solito una sfiducia per le competenze spontanee di genitori e figli. Tali figure non nascono dall’idea di tutelare la famiglia e la salute psicologica del nucleo ma tutelare il bambino da genitori sempre inadeguati. Io dico che ad esempio se un padre perde il lavoro e la madre si prostituisce, occorre prima dare un sussidio economico, per tamponare la situazione mentre si cerca di trovare almeno ad uno di essi un’occupazione, e non togliere loro il bimbo, disperando tutti e tre.
La carenza di ascolto e l’azione solitaria di queste figure sono o più gravi errori dei servizi sociali italiani. Non si parte dall’ascolto della famiglia, ma dal giudizio che i genitori siano incapaci se non dei mostri, e i bambini completamente incapaci di farsi capire e spiegare a modo loro, ciò che accade nel contesto familiare. Vorrei invitare ad una riflessione sul nido, il nido da cui tutti proveniamo. Anche laddove fosse pieno di spine, è il nucleo emotivo dal quale apprendiamo ad amare e essere amati, e occorre tentare di lavorare sulle spine, non direttamente all’allontanamento del minore. L’assistente sociale deve aspirare alla comprensione della famiglia, non solo all’individualità del bambino che altrimenti verrà comunque compromessa per l’allontanamento dalle figure che ci piaccia o no, sono le sue, figure di riferimento. Le voci dei coinvolti sono in capitolo e sono rilevanti.
Si badi bene che non è una questione morale o politica, anche se lo diventa, ma psicologica e comportamentale. Da neuropsichiatra ho visto spesso con dispiacere come la percezione della colpa per l’allontanamento ricade sul bambino incidendo un’indelebile fragilità che poi da adulto può comportare scarsa autostima, autolesionismo, ansia e panico, iper sessualità o frigidità e inibizione nella vita di coppia. Quella dell’allontanamento è una ferita dell’io che inciderà per tutta la vita quindi occorre davvero essere certi e aver valutato in più di uno specialista, meglio se in equipe, la situazione.
Non deve accadere che i servizi sociali, anche in buona fede e con le migliori intenzioni, possano trasformare la patologia individuale in un potere di sistema, ma il loro ‘potere’ deve essere sempre decentralizzato e condiviso. Altrimenti Bibbiano sarà all’ordine del giorno, o almeno un rischio costante.