Partite sospese e stadi chiusi, ma il calcio è un rito collettivo fondamentale
A causa dell’epidemia da Coronavirus le partite della Serie A si giocheranno a porte chiuse ma il fermento del rito è da salvaguardare
A causa del Coronavirus, ovvero della Sars-coV-19, ci troviamo in un momento critico per la salute, l’economia e la vita sociale e pubblica mondiale: le possibilità di aggregazione devono essere ridotte, le vicinanze corporee evitate, e da questi provvedimenti viene colpito anche il calcio e gli altri sport, infatti per almeno 30 giorni le manifestazioni sportive si terranno a porte chiuse in Italia. In questo momento di insicurezza vorrei parlare di rituali collettivi e di come il calcio lo sia in modo emblematico ed eccezionale. La mia visione è da neuropsichiatra, certamente, ma anche da tifoso.
Da quando l’uomo è sceso dagli alberi, ha iniziato a vivere con i suoi simili, ha diviso i compiti tra donne nelle grotte-abitazioni e uomini fuori a caccia, e tra un fulmine e l’alto ha scoperto il fuoco, il cui calore e protezione ha spinto famiglie e gruppi umani a raccogliersi intorno ad esso, anche per cuocere i cibi e proteggersi dagli altri animali. In cerchio, intorno a questo fuoco, si è creato uno spirito di gruppo, il quale ha solidificato dei clan, ai quali si apparteneva se si possedevano delle caratteristiche e vissuti comuni. Nei millenni i clan si sono rinforzati con le guerre, le ideologie e le paure, creando fazioni, divinità e miti. Tutte compensazioni alla morte, secondo me.
Con questo potenziamento storico dello spirito del clan si sono creati i primi giochi e primitivi sport, dimostrazioni di forza e potere di una tribù, poi di famiglie signorili, corti, fino a noi. Quando è arrivato quell’oggetto magico e meraviglioso che è la palla, il mondo è stato rivoluzionato dal suo rotolare; la palla veniva usata con le mani inizialmente, poi piano piano cadendo a rimbalzando, anche con i piedi. Stava nascendo l’antenato del calcio, lo sport più diffuso e amato al mondo. Un rito collettivo che canalizza aspettative, rabbia, sofferenza e gioia di milioni e milioni di persone di ogni età e ceto sociale. Il calcio assorbe e al contempo esprime sentimenti individuali e collettivi con un potere seduttivo e una forza magnetica straordinaria, perché nella specie umana, nello stadio soprattutto, quelle emozioni di adrenalina, appartenenza collettiva, richiamano la nostra memoria atavica. Questa passione sfrenata di oggi negli stadi, ci salvaguardava come identità collettive nelle caverne e nei primi villaggi, ieri. Il tifo, questa epidemia (!) scatena fortissime pulsioni di autodifesa e necessità di appartenenza per proteggere la prole, il cibo, le risorse. Siamo scesi dagli alberi ma siamo ancora un po’ sui rami. Perciò questo rito è da preservare e difendere da scandali, razzismi e violenza, per il bene della salute psicologica e sociale di tutti noi.